Di sicuro si tratta solo di misteriose e affascinanti coincidenze (e non lo dico in senso ironico). Coincidenze che mettono un po’ i brividi. Ma mi piace immaginare (proprio nel senso di fantasticare) di aver magicamente contribuito a far rifiorire l’ispirazione del grandioso Paul Auster, il mio scrittore preferito, che negli ultimi anni sembrava essersi irrimediabilmente inaridita.
Nel 2012 pubblicai “Quattro soli a motore”. Il libro recava una doppia dedica: “A mio padre. E a Paul Auster”. Una cosa che non si fa quasi mai, dedicare un romanzo a un altro autore (in seguito l’avrei fatto anche per Paolo Zardi), ma a lui mi sentivo legato da un legame invisibile, difficile da spiegare.
L’ho sempre considerato un fratello maggiore (anche se, avendo 20 anni più di me, tecnicamente potrebbe essermi padre) un po’ perché ne adoro la scrittura, e un po’ per il fatto che pure lui ha esordito molto più tardi di quanto meritasse, dopo aver rischiato addirittura, incredibilmente, di non farcela. (Anche se le rispettive voci sono assai dissimili, come ben esemplificato dalle nostre autoproduzioni adolescenziali: lui un giornalino serio che imitava i giornali veri, io… L’Inkazzo Periodiko!)
Su una copia di Quattro soli scrissi una seconda dedica di mio pugno, e decisi di spedirgliela. Non riuscendo a procurarmi il suo indirizzo di New York, su suggerimento della mia splendida amica Giacinta, anche lei innamorata della scrittura di Paul, domandai all’ufficio stampa del suo editore italiano (Einaudi) il favore di inoltrargliela. Cosa che probabilmente non è mai stata fatta, o in ogni caso non è andata a buon fine, altrimenti penso che uno come Lui mi avrebbe mandato, o fatto mandare da una segretaria, due righe di ringraziamento.
Non so neppure se Paul Auster sia in grado di leggere un testo in Italiano. E comunque. Ho da poco finito di leggere il suo nuovo, mastodontico “4 3 2 1”.
In “Quattro soli a motore” c’è un bambino che rischia di morire strozzato da una caramella che gli è andata di traverso, e la madre lo salva prendendolo per i piedi e scrollandolo a testa in giù.
Anche in “4 3 2 1” c’è un bambino che rischia di morire strozzato da una caramella che gli è andata di traverso, e la madre lo salva prendendolo per i piedi e scrollandolo a testa in giù.
In “Quattro soli a motore” il protagonista non riesce a essere triste al funerale di zia Trude, perché era una persona ottusa, orrenda e cattiva che lo trattava male.
In “4 3 2 1” il protagonista non riesce a essere triste al funerale del cugino Andrew, perché era una persona ottusa, orrenda e cattiva che lo trattava male.
In “Quattro soli a motore” si parla dei misteri dell’infinitamente piccolo, a proposito di una certa astronave «grande come la capocchia di uno spillo di un mondo racchiuso dentro un altro spillo che stava dentro un altro spillo che stava dentro un altro che stava dentro un altro ancora…»
Anche in “4 3 2 1” si parla dei misteri dell’infinitamente piccolo, a proposito di un particolare gioco di immagini sulle etichette delle confezioni di due diversi prodotti, burro e fiocchi d’avena: «un mondo che era dentro un altro mondo, che era dentro un altro mondo, che era dentro un altro mondo…»
In “Quattro soli a motore” il protagonista scrive sul Taccuino rosso di Wolfsburg una potente maledizione contro chiunque gli abbia fatto un torto.
In “4 3 2 1” verso la fine leggiamo: «Il taccuino scarlatto contiene una violenta maledizione contro chiunque mi abbia fatto un torto». (Ma qui devo dire che alla fascinazione per i “taccuini” il buon Paul è arrivato MOLTO prima di me).
E il mio Corradino di Quattro soli si mostrerà eccessivamente protettivo nei confronti della madre rimasta vedova:
«le donne che scelgono uomini sbagliati sono portate a ripetere l’errore. E io non avrei mai permesso che la mia fata finisse con un altro Videla, o in custodia da qualche femmimaschio lampadato del circolo tennistico».
Anche una delle diramazioni-Ferguson del “4 3 2 1” di Auster si mostrerà eccessivamente protettivo nei confronti della madre rimasta vedova:
«era sempre stata la paura più grande di Ferguson, vedere la madre perdere la testa per un buffone che la riempiva di paroline dolci e poi svegliarsi una mattina scoprendo di aver commesso l’errore della sua vita».
Quello che vorrei dirti, Paul, se tu fossi in ascolto, è che anche nella remota ipotesi che tu avessi scopiazzato qualcosa, io non lo considererei un plagio o una grave scorrettezza, ma un onore, e ne sarei orgoglioso e lusingato. Perché ti voglio bene. Perché sono io a sentirmi in debito con te, per aver potuto leggere i tuoi più meravigliosi romanzi (dalla “Trilogia di New York” a “Moon Palace”, dal “Libro delle illusioni” a “Follie di Brooklyn”, dalla “Notte dell’oracolo” a “Timbuctù”) nel periodo più difficile e oscuro della mia vita, più di dieci anni fa, quando la mia strada di scrittore sembrava essersi interrotta ancor prima di cominciare davvero. E perché forse siamo davvero in contatto con gli stessi Dèi della scrittura: forse siamo anime sorelle.
Ma c’è soprattutto un altro sconvolgente accadimento, che mi fa sentire in debito.
Tanto, tanto tempo fa, mentre abitavo nel cuore febbrile del cantiere del romanzo che sarebbe diventato “Quattro soli a motore”, chiesi espressamente agli Dèi della Scrittura “un’idea alla Paul Auster” che mi mancava per quella storia. La domandai prima di immergermi nell’acqua della mia vasca da bagno in un tardo e buio pomeriggio di novembre. Quella vasca che a volte chiamavo “il mio piccolo Gange di purificazione”, che forse è anche un Portale verso dimensioni a contatto diretto col Logos, e dentro cui un giorno, quando sarà venuto il momento, potrei annegarmi per trovare la Pace.
Tenni le luci spente e, tra i vapori del bagno caldissimo, mentre un’oscurità protettiva si faceva largo attorno a me, facendo sembrare luminoso il crepuscolo gelido che c’era oltre la finestra, quell’idea, puntualissima, venne. Una delle più geniali mai usate in un mio libro: la scena in cui Corradino si addentra in una sconosciuta, immensa biblioteca in cui lo attende la rivelazione di un prodigio che lo riempirà di terrore e sgomento: migliaia di libri tutti uguali, piccolissimi, dalla copertina rossa come il suo portentoso Taccuino di Wolfsburg, su ognuno di essi un’etichetta col nome “Corradino” e una data, e dentro ognuno, scritta a matita, la cronaca minuziosa di un giorno della sua vita. Passata e futura. E pagine bianche per tutti i giorni di vita potenziale in cui lui sarà già morto. Non aggiungo altro, per non rovinare il piacere a chi non avesse ancora letto un libro così bello. [Aggiungo però che poi, in “4 3 2 1”, scopro che ci sono pagine bianche al posto dei capitoli in cui il protagonista, in quelle diramazioni della sua quadrupla vita, è già morto, e allora da un lato mi ritornano i sospetti, mentre dall’altro mi convinco che io e Paul Auster attingiamo veramente allo stesso Portale intellettivo/emotivo d’ispirazione psicocosmica!]
Mettiamola così: anche se sono (VOGLIO essere) sicuro della tua buona fede, se “4 3 2 1” fosse uscito prima di “Quattro soli a motore” la scoperta di queste coincidenze mi avrebbe fatto sentire un poco in imbarazzo. Essendo uscito 5 anni prima “Quattro soli a motore”, per la mia parte posso essere sollevato, mentre per la tua posso augurarmi (o addirittura sperare) di essere stato fonte d’ispirazione per te. Anche se so che non è stato così, e che non ne avevi nessun bisogno.
Chiudo con l’ultima coincidenza da brivido, con l’ultimo segno.
Stavolta coincidenza pura, riguardante la vita e non le scritture.
A capodanno dell’anno in cui avrei insperatamente trovato un editore per il romanzo che sarebbe diventato “Quattro soli a motore”, a mezzanotte mi trovavo solo in casa con mio padre, lontani anni luce dalla spetardante cagnara, e brindai insieme a lui. Caso più unico che raro, festeggiammo con una bottiglia di champagne, perché qualcuno ce l’aveva regalata per Natale. Inavvertitamente urtai la bottiglia appena stappata, e rovesciai alcune gocce di champagne, che andarono a spruzzare la copertina di un libro.
Quel libro era “Sunset Park”. Di Paul Auster.
Dimenticavo: “4 3 2 1” è un libro meraviglioso. (Tranne forse le parti un po’ noiosette, risapute e inevitabilmente “già lette” in cui parla dei primi baci alle ragazze: forse Paul avrebbe fatto meglio a ispirarsi al bacio mancato fra Corradino e Cristina dopo la consegna del latte alla Marilù del bosco. Poi per fortuna spunta anche una sconvolgente esperienza gay, in seguito alla quale “Ferguson 3” si scoprirà, grazie al cielo, bisex – e meno male: sarà questo, non sarà questo, ma la terza diramazione-Ferguson è di gran lunga la più dolce, interessante e originale del romanzo).
Nel complesso, “4 3 2 1” non ha proprio niente a che vedere con “Quattro soli a motore”.
Se non li avete letti, fatevi del bene e regalateveli entrambi.