"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

domenica 22 settembre 2013

NEL LABORATORIO DELLO SCRITTORE: due pagine a caso di romanzo senza titolo - prima stesura

gabbiano ferito in controluce


Un sabato e domenica sono capitati a un ombrellone vicino al nostro una mamma e il suo bambino, un po’ più piccolo di me. Capivi subito che qualcosa non andava. Tristezza e tensione impregnavano quel cono d’ombra, aleggiavano mute sotto il loro spicchio di cielo in affitto. Il bambino si chiamava Alex. Era biondo. Era bellissimo. Aveva qualcosa di strano. Passava le ore sprofondato nella sdraio con lo sguardo perso non si sa dove. Poi d’un tratto lo sentivi strillare. Grida acute e insopportabili. Oppure sentivi strillare la mamma. Perché lui le dava i pizzicotti e le faceva male, e lei perdeva la pazienza. La mia, di mamma, cercò di spiegarmi. Aveva sentito qualcosa in proposito alla radio svizzera. “Vive in un mondo tutto suo” mi disse. “È come un pulcinetto che crede di essere ancora nell’uovo, o che vorrebbe tornarci, al riparo e protetto dal guscio. Tutto quello che sta fuori, e tutte le persone, sono o un fastidio o una minaccia: non gli interessano e lo terrorizzano. Le cose nuove lo sconvolgono”. 
Anch’io sono un po’ così, pensai. E a volte vorrei esserlo di più. Però alla mamma non lo dissi. “Ma potrei farci amicizia?”, le chiesi invece. 
“Forse nemmeno se ne accorge, di quello che fanno e dicono gli altri. Non siamo al centro della sua attenzione. Però, se vuoi, puoi provare”. 

Ero indeciso. Ammetto che un pochino mi metteva a disagio, mi faceva quasi paura. Lui se ne stava sempre lì su quella sdraio. Tranne quando veniva il momento di fare il bagno. Allora si trasformava, e correva a tuffarsi nel Mare con l’entusiasmo di tutti gli altri bambini, anzi, di più. Per il resto, solo una volta due sorelline provarono a giocare con lui. Ma lui non faceva che distruggere le torri di sabbia bagnata che loro provavano a fare coi secchielli, il castello che tentavano invano di erigere. Resistettero un po’, ma presto si arresero e andarono via. “È tutto scemo ‘sto Alex” borbottò una delle due. La mamma di Alex era a portata di voce. Sembrò trattenere a stento il pianto, ma non disse nulla. Un grumo di lacrime inghiottite a metà le serrava la gola. 
“Dovrebbero metterlo in un posto che vadi bene per lui”, sentii che sentenziava, nell’ombrellone dall’altra parte, il Sacco a Pelo alla moglie cornuta. Per fortuna almeno quello la mamma di Alex non lo sentì.

E meno male che l’altro scienziato dell’ombrellone davanti, quello con la testolona di cocomero, aveva già finito le ferie. O mi sarebbe toccato ascoltare pareri al riguardo anche da parte del grande capo Anguria Che Raglia, che come tutti gli idioti se ne sta sempre tutto il tempo a blaterare ad alta voce, per far sentire quant’è intelligente. Non va mai nemmeno a farsi un tuffo, per non perdere occasione di ragliar cazzate. Una mattina è saltato su a dire che ad Auschwitz facevano la dieta, e nessuno l’ha preso a calci in bocca. A volte mi dicono che dovrei avere più pietà e tutte quelle balle lì, per gente di quel tipo. Nel senso che si vedeva fin troppo bene che il poveretto non leggeva libri. E nemmeno fumetti. Anguria Che Raglia era un lavoratore padre di famiglia risparmiatore timorato di dio che leggeva la Gazzetta dello Sport, ma solo quella del bar per non doverla pagare, perché come tutti i veri stronzi era pure avarognolo. Poteva starsene in spiaggia un anno filato a blaterar cazzate a voce alta e a scroccare la Gazzetta senza comprarsi un cazzo di ghiacciolo. E prima di partire ha impedito al figlio novenne di salutarmi con un bacino. “I maschi non si baciano”. Il cervello di un vermetto di pozzanghera, a esagerare. L’autodeterminazione di una puleggia. Aveva ragione lo zio Dilvo. Piuttosto che diventare avaro, diventa cieco. E piuttosto che diventare imbecille? Ammazzarsi, direi. O non nascere. Fanculo la pietà indiscriminata. Bisogna meritarsela, la pietà.

Una volta, di pomeriggio, andai a fare il bagno da solo e Alex era già dentro che sguazzava e si divertiva come un matto. Aveva gli occhi felici, pieni di gioia e di luce. Gli altri bambini giocavano con cigni gonfiabili, materassini e palloni colorati. A lui sembrava bastare il conforto amniotico del Mare. Non so come andò, ma mi venne da avvicinarmi a lui. “Piove”, gli dissi sorridendo, e lo schizzai per gioco, ma poco, delicatamente, sollevando pochissima acqua col dorso di quattro dita. Sbirciai sua mamma che lo sorvegliava da vicino, in cerca di un cenno della sua approvazione, e lei annuì, anzi, parve ringraziarmi con un mesto sorriso. La cosa anche a lui piacque molto, e così io e Alex passammo forse mezz’ora forse un’ora a schizzarci, ridendo, giocosi come cuccioli di foca, immemori del tempo e dello spazio e delle cose tristi della vita – i brutti ricordi, le malattie, le menti pelose, la gente avara e cattiva. 
Avrei voluto uscire con lui anche la sera, e comprargli coi miei soldi una focaccia o un Bacio nel Cono.

Ma era il suo ultimo pomeriggio, anche se io non lo sapevo, e non l’avrei rivisto mai più, e purtroppo, come spesso mi accade in questa porca vita, l’ultimo mio ricordo di lui, e soprattutto l’ultimo suo di me, non sarebbe stato questo prolungato momento radioso e felice, come angeli fra le onde di un paradiso di spuma.

Andò che uscimmo ognuno per conto suo (lui non voleva uscire mai, io me ne ritornai un po’ prima all’ombrellone). Dopo aver fatto la doccia posai il mio telo sulla sabbia e mi distesi a farmi asciugare e coccolare dall’ultimo sole pomeridiano. Ero così stanco e contento per il lungo bagno che dovetti quasi appisolarmi dimentico di tutto. Nel bel mezzo di quello stato di spossato dormiveglia avvertii all’improvviso una mano fredda e bagnata che mi afferrava, come l’artiglio di uno zombi rapace, e sussultai, al momento la sorpresa fu così sgradevole e allarmante che dovetti avere uno scatto molto più evidente di quanto avrei voluto, fatto sta che si trattava di Alex, che fuori dall’acqua mi aveva riconosciuto eccome, mi aveva individuato, l’angelo degli spruzzi di poco prima, l’amico più grande, il delfino-compagno, ed era venuto da me, proprio da me, solo da me, per fare una cosa che non faceva mai con nessuno: era venuto a toccarmi. Non a pizzicarmi, a toccarmi dolcemente. Ma io mi ero spaventato, e il mio sciocco ritrarmi e spaventarmi aveva molto spaventato anche lui, che scappò al suo ombrellone, si precipitò a far ritorno al suo guscio. Mi sarei preso a martellate, anche se la mia era stata una reazione involontaria, ma ormai la frittata era fatta. Sua madre, che non aveva capito cos’era davvero successo, forse a sua volta ingannata dal mio sussultare, lo sgridò per avermi disturbato, lui si agitò con lei, le diede un paio di pizzicotti fortissimi, lei lo picchiò, e così io, vigliacco, non ebbi neanche il coraggio di correre lì ad abbracciarlo e baciarlo, a chiedergli scusa. Me ne rimasi come uno stupido a guardarlo e a sentirlo gridare per l’ultima volta, mentre il sole al commiato serale spremeva aranciata molto amara sul golfo argentato di luce. Li vidi andar via, con lei che piangeva più di lui.

Non siamo mai all’altezza di niente. Non siamo mai capaci di non deludere gli altri, e noi stessi. Non siamo mai all’altezza. Perdonami, Alex.

sabato 21 settembre 2013

L'INKAZZO FLASH

Qualcuno spiega ai nostri inadeguati giornalistucoli che se degli ostaggi innocenti vengono massacrati in un supermercato da assassini sanguinari non si può, PROPRIO NON SI PUÒ, usare il verbo "giustiziare"? Che definire quei poveracci "giustiziati" è come ri-ammazzarli? (Oltre ad ammazzare la povera lingua italiana?)
Grazie.

giovedì 19 settembre 2013

ERESIA FLASH

So bene che in tempi di Pensiero Unico e Corretto (e di Audience Oceanica Obbligatoria e Plaudente per tutto ciò che è anche lontanamente disastroso, macabro e/o funeralesco) essere sinceri e andare controcorrente è sempre più pericoloso, ed espone a linciaggi, figuracce e bacchettate bacchettone. 
Ma (con tutto l’ovvio rispetto che voglio riservare ai sentimenti di chi aveva dei propri cari dispersi ecc.) posso dire che non mi frega uno stracazzo del “raddrizzamento” di un relitto?
Gli italioti ringalluzziti (radd)rizzano gli uccelli e mostrano i muscoli al mondo. Come se non fossero millemila ALTRE le cosucce che abbiamo da raddrizzare. In silenzio.
Che poi vedo – anzi, intravvedo dai titoli d’agenzia e di giornale, che davvero mi bastano e avanzano! – che in questo raddrizzamento del raddrizzato orgoglio italico hanno avuto ruoli molto raddrizzanti e decisivi persone raddrizzatrici venute da luoghi raddrizzatori come Sud Africa, Germania, Belgio, Inghilterra, e chi più ne ha più corregga  - o raddrizzi, cazzo – il tiro stortignaccolo dell’orgoglio patriottardo fuori luogo.
(Di sicuro italianissimo era invece il Capitano - Capitano? - grazie a cui quel relitto è un relitto.) 
Che sia dunque questa la ricetta (che è poi quella che in modo semiserio vado auspicando da lungo tempo)? 
E se davvero aprissimo agli stranieri anche in politica e nelle istituzioni, per darci una bella raddrizzata? Raddrizzata parziale, è chiaro, perché purtroppo sono umani anche loro. Però… 

p.s.
Visto che viviamo in tempi in cui le cose scritte vengono poco lette e ancor meno CAPITE, ci tengo a precisare che non ho nulla contro le capacissime persone (anche italiane, lo so) che hanno compiuto l’impresa. Ce l’ho con le solite antipaticissime fanfare mediatiche, con la beotizzante spettacolarizzazione (di stampo, questo va detto, più americano che italiano) tipica dell’Era Sciacal-Beota in cui viviamo. Con lo strombettante e stridente trionfalismo di troppi giornalistoni. In un mondo intelligente, tutto ciò sarebbe stato sostituito da un (mesto) trafiletto telegrafico: “Recuperato, e in attesa d’esser condotto a demolizione, il relitto dell’assurda sciagura del Giglio”. Il resto è dolore privato.

sabato 7 settembre 2013

J.D. SALINGER - "Il giovane Holden"


J.D. Salinger
Il giovane Holden
Einaudi
Traduzione di Adriana Motti
Voto:

"L'ala si chiamava così in onore di quel tale Ossenburger che aveva studiato a Pencey. Uscito da Pencey, si era fatto un sacco di quattrini con le pompe funebri. È stato lui a disseminare per tutto il paese quegli uffici di pompe funebri dove potete far seppellire tutta la vostra famiglia cavandovela con circa cinque dollari cadauno. Avreste dovuto vederlo, il vecchio Ossenburger. Quello è tipo da ficcarli in un sacco e buttarli a fiume. Ad ogni modo ha dato a Pencey un mucchio di soldi, e loro hanno chiamato la nostra ala col suo nome. (...) 
Disse che a Gesù lui parlava sempre. Perfino quando portava la macchina. Mi lasciò secco. Mi par di vederlo, quel bastardo d'un pallone gonfiato, che ingrana la prima e chiede a Gesù di mandargli un altro po' di salme. Il bello però venne a metà del suo discorso. Ci stava dicendo che fenomeno era lui, che uomo in gamba e compagnia bella, quando tutt'a un tratto il ragazzo seduto nella fila davanti a me, Edgar Marsalla, mollò una scorreggia tremenda. Certo fu un po' forte, in cappella eccetera eccetera, ma fu anche un vero spasso. Il vecchio Marsalla. A momenti faceva saltare il tetto."

"Quello che dovevo fare, pensavo, era di andare al Holland Tunnel e farmi dare un passaggio, e poi farmi dare un altro passaggio, e poi un altro e un altro, e in pochi giorni sarei arrivato nell'ovest, in qualche bel posticino pieno di sole dove nessuno mi conosceva e mi sarei trovato un lavoro. Pensai che potevo trovar lavoro in qualche stazione di rifornimento a mettere benzina e olio nelle macchine. Ma non m'importava che genere di lavoro. Fintanto che loro non mi conoscevano e io non conoscevo loro. Quello che dovevo fare, pensai, era far finta d'essere sordomuto. Così mi sarei risparmiato tutte quelle maledette chiacchiere idiote e senza sugo. Se qualcuno voleva dirmi qualche cosa, doveva scrivermelo su un pezzo di carta e ficcarmelo sotto il naso. Dopo un po' ne avrebbero avuto piene le tasche, e per il resto della vita non avrei più sentito chiacchiere. Tutti avrebbero pensato che ero un povero bastardo d'un sordomuto e mi avrebbero lasciato in pace. Mi avrebbero fatto mettere olio e benzina nelle loro stupide macchine, e in cambio mi avrebbero dato un salario eccetera eccetera, e con quei soldi io mi sarei costruito una capanna da qualche parte e ci avrei passato il resto della mia vita. Me la sarei costruita vicino ai boschi, ma non proprio nei boschi, perché volevo starmene in pieno sole tutto il tempo. Mi sarei fatto da mangiare io stesso, e in seguito, se volevo sposarmi o qualcosa del genere, avrei incontrato quella bella ragazza, sordomuta anche lei, e ci saremmo sposati. Sarebbe venuta a vivere con me nella mia capanna, e se voleva dirmi qualcosa doveva scriverlo su un maledetto pezzo di carta, come tutti gli altri. Se avessimo avuto dei figli li avremmo nascosti in qualche posto. Potevamo comprargli un sacco di libri e insegnargli a leggere e scrivere."

Un testo che sprizza intelligenza e humor persino dalle virgole e dai punti, ma capace anche di struggenti malinconie (questo proposito di fuggire da tutto e mettersi a fare un lavoro umile fingendosi sordomuto è a dir poco sublime, per non parlare dell'idea di avere figli e nasconderli). 

Peccato per quel cicinìn di grettume omofobico da macho-scimpanzorla (la carezzina sulla testa del brillo professor Antolini vissuta come Ripugnante Minaccia invece che come turbamento venato di dolcezza), condito con gratuite gentilezze contro "dannati pederasti e invertiti", altrimenti sarebbe stato il romanzo di formazione perfetto. 

E peccato anche per il titolo italiano orrendo: "ll giovane Holden" sa talmente di muffa (come del resto alcune parti della traduzione che avrebbero bisogno di una rinfrescatina, tipo "portare la macchina" al posto di "guidare") che da ragazzino lo vedevo sugli scaffali di mio padre e lì lo lasciavo, immaginandolo una robina barbosa. D'altra parte "The catcher in the rye", a dir poco un capolavoro di titolo, era davvero intraducibile. E forse il guizzo di genialità sarebbe stato tutto lì: non tradurlo affatto. Ma a quei tempi non si usava. In ogni caso, chi ancora non l'avesse letto è pregato di porre rimedio.
Non fatemi incazzare.