"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

venerdì 25 maggio 2018

Paolo Zardi - TUTTO MALE FINCHÉ DURA

Feltrinelli, 174 pagine, € 15
voto: 9

I grandi scrittori ti spiazzano. I grandi scrittori (rare bestie in via d’estinzione) non riscrivono ogni volta lo stesso libro, variando solo i nomi dei personaggi e delle vie di una Tedio Town che rimane sempre quella, o il temino scolastico di base (“Ma che bravino, ha parlato dell'anoressia!”, “Ma che bravino, ha parlato del probbblema della dddroga!”). Un grande scrittore come Paolo Zardi può passare agevolmente (poiché scrivere gli è naturale) da pagine che parevano create da un Cechov postmoderno a questo frizzante, divertente, scoppiettante e un po’ strampalato romanzo, che pare fluito dalla tastiera magica di un Martin Amis particolarmente in vena. (Gustatevi, tanto per dirne una, questa spietata ed esattissima definizione della web-irrilevanza videopornoerotica del made in Italy: «Gli italiani, invece, non si erano mai liberati dall’inclinazione bucolica e un po’ pecoreccia che si portavano dentro da secoli: romagnoli con braccialetti d’oro che non smettevano mai di parlare, pugliesi pelosi, mogli grasse e culone con il viso nascosto. A livello mondiale non se li cagava nessuno.»)

Non so dirvi se questa sia in assoluto l’opera migliore di Paolo Zardi, perché sono stato a suo tempo troppo impressionato sia dalle meravigliose raccolte di racconti Antropometria e Il giorno che diventammo umani (entrambe edite dalla Neo, cui andrà per sempre il merito di aver scommesso con intelligente lungimiranza su questo autore) sia dal fulgido nitore della storia brevissima Il signor Bovary (Intermezzi). Ma è di sicuro, a mio parere, il suo miglior romanzo. E stiamo parlando di uno scrittore che con altri bei romanzi ha saputo deliziarci e stupirci, e con uno in particolare (XXI secolo) approdare alla dozzina dello Strega, per quanto debba confessare che la premiopoli italiota rimane per me un radar infallibile per individuare nella nebbia i libri da NON leggere (e infatti il suo, che era il più bello, non arrivò a piazzarsi nella cinquina finale).
E in un periodo oscuro che vede trionfare i preservativi di bronzo con cui le suorine del politically coglion sterilizzano l’Arte della Narrativa, lasciatemi dire che un’altra buona notizia è che in questo libro troverete parecchie bellissime parolacce (ma solo dove e quando ci vogliono: né l’autore né i personaggi soffrono di sindrome di Tourette).

C’è chi ritiene che l’intonazione zardiana sia qui divenuta troppo caricaturale (come se fosse un difetto, poi). A me non sembra. Certo, al contrario di tante odierne lagne documentaristiche e militanti (e scritte con le natiche) questo romanzo è divertentissimo (basti pensare alle improbabili storielle che il balordo protagonista inventa per riconquistare le figliole che aveva abbandonato: «un giorno aveva mangiato una sacher decorata con delle note musicali di glassa e dopo averla digerita era riuscito a suonare quel motivetto scorreggiando») ma al tempo stesso gronda verità e umanità, e vera umana sofferenza, quasi da ogni riga.
Molto bello anche il titolo, di un pessimismo a metà strada fra il minaccioso e il disincantato che mi ha riportato al primo Woody Allen, a quello spezzone in cui sostiene che la vita si divide in Orribile e Miserrimo, e se tu rientri “solo” nella categoria Miserrimo devi ringraziare la fortuna.

Un libro che si divora in poche ore di felice libidine febbrile. C’è ancora chi si ostina a sostenere che questo non sia un pregio, e invece oggi, credetemi, LO È! Perché la più urgente lezione calviniana si chiama Leggerezza, e la complessità DEVE essere gestita e mitigata dal Talento. Tutto il resto è greve e pretenzioso pastrocchiume, tutto il resto sono uomini e donne senza Qualità, secchioncelli che invece di parlarvi scatarrano catarro più o meno saccente, e ve lo fanno pure pagare. Questi invece sono i soldi meglio spesi, perché capaci di comprare l’unico tipo di Piacere in grado di essere anche edificante, consolatorio, rinfrancante: la buona lettura, la bella Arte.

Insomma, se in genere i noiosi nani sbadigliati fuori dalla moribonda e suicida narrativa italica odierna mi fanno passare del tutto ogni voglia di leggere (e di scrivere in questa fantastica Lingua) un gigante come Zardi, con tutti i suoi difetti (perché la vetta della creatività umana si chiama ancora Imperfezione, e la perfezione assoluta l’avremo quando anche in questo campo la truffa chiamata “intelligenza artificiale” verrà a seppellirci sotto coltri di merda asfittica) un gigante come Zardi, dicevo, ti fa rimpiangere di non avere davanti mille anni di vita, e centomila libri come questo da leggere.
Non fatemi incazzare, porco d’un cazzo.
Parola di Scriba.