"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

giovedì 17 dicembre 2009

Stronkabukko special





Uno che merita










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Giancarlo Tramutoli
Uno che conta
MANNI
Pagg 94 € 12

Sarebbe bello se, nell’asfittico e deprimente panorama della letteratura italica di oggi, l’autore di questo pregevolissimo romanzo breve riuscisse a diventare “uno che conta”: perché di certo è “uno che merita”. Viviamo in un paese di semianalfabeti lobotomizzati, di microcefali mononeuronici (e col neurone, per la paga, atrofizzato dalla tv) eppure nove decimi di costoro si credono scrittori… E allora giù il cappello davanti a Giancarlo Tramutoli, uno Scrittore che si crede un bancario!! Mentre frotte di figli di papà (e figli di puttà) giocano a fare gli artistelli, con la complicità degli editori, dei critici e, spiace dirlo, pure di molti sprovveduti lettori, lui, come un Bukowski all’ufficio postale, lavora in banca (cioè conta i soldi degli altri) per sopravvivere. Se ne rammarica? Un po’ sì, ma senza piagnistei. È capace di estraniarsi, per difendere sé stesso dalla tossicità del lavhorror, e da coloro che anche nel tempo “libero” non riescono a parlare d’altro che delle proprie catene, ma nel contempo sa e vuole essere il cassiere ligio, affidabile e gentile. “Che alla fine, quando da una cassa sarò passato all’altra, manco più si ricorderanno che io ero una specie di prigioniero politico, un dissociato, uno che scriveva poesie. Diranno semplicemente: Ti ricordi quel cassiere simpatico? Be’, è morto. Peccato. Era il più veloce”. Come sempre accade coi veri scrittori, anche la lettura scorre velocissima (poi sei tu a fermarti spesso per gustarla meglio, ma questo è un altro discorso), fra sprazzi descrittivi di poesia non poetica, cioè incisiva e mai stucchevole, disavventure erotiche, esistenziali e sentimentali, succulenti aneddoti, peripezie da letterato fuori dal coro e da uomo allergico agli schemini bovini per ugualozzi omologati. Il tutto condito con la rara spezia che è quella sorta di semiautismo consapevole, ora orgoglioso ora quasi dispiaciuto, che è poi la cifra di ogni vero Artista: il più selvatico degli esseri, anche se agogna (incoerenza solo apparente, paradosso solo per chi nulla mai capisce) al conforto di una cuccia, al tepore di una tana-covo in cui scrivere, dipingere, resuscitare, possibilmente essere amato e amare, esistere, in barba all’umana imbecillità conformista che vorrebbe sottometterti “al risucchiamento, al tentativo di essere digeriti piano piano”. L’autore riesce nel miracolo di non annoiare, anzi, di divertire e sorprendere, persino nelle rare parti “d’opinione”, che personalmente me l’hanno fatto sentire affine e fratello: il rifiuto dei telegiornali e della stupida nevrosi da notizia, la scanzonata denuncia delle ritrite e ipocrite banalità papestri, lo sconcerto davanti al rinco applaudito con retorica commozione in tv per il solo fatto di avere cent’anni, il disagio provocato da matrimoni e funerali, e in genere dalla prevedibilità burattinesca dei suoi simili-dissimili, la nausea per la competizione, il percepirsi, anche davanti alle reazioni di familiari e amici per quello che dice, fuori fuoco, fuori contesto, fuori sincrono, fuori fase. Un romanzo così ricco, agile, vario, piacevole, gustoso, tenero, esilarante, graffiante, godibile, da impedirti, mentre leggi, di appuntarti le parti significative: i tuoi appunti finirebbero con l’essere lunghi quanto il libro! E quando arrivi in fondo, ti dispiace: ne avresti voluto di più. Una bella colonna sonora, né troppo “bassa” né troppo pretenziosa: Venditti, Gino Paoli, Battiato, Battisti, Paolo Conte, Tom Waits… Una splendida citazione di Agota Kristof: Perché è diventando assolutamente niente che si può diventare uno scrittore. E una disperata storia d’amore che finisce… no, non ve lo dico, come finisce. Vi dico solo di precipitarvi a leggere questo piccolo, meraviglioso romanzo. Consigliato a tutti coloro che, come me, erano convinti che “scrittore italiano” fosse diventata una contraddizione in termini, e si potesse andare a pesca di buoni libri solo in acque extraterritoriali. Scrittori italiani, a dispetto della grande editoria, continuano a esserci, a crescere, a tentare di resistere. E allora diamogli una mano, dimostriamo che la meritocrazia, anche se per ora non esiste, la si può costruire un passetto alla volta, dal basso, partendo da noi, anche in un porco paese mafioso come la nostra miserrima italiA. Che magari un giorno si potrà tornare a scrivere con la I maiuscola, e non con la (strameritata) A finale spregiativa.


martedì 6 ottobre 2009

E irritiamoli, 'sti cinesi!



Free Tibet




“Non irritare i cinesi” per motivi di realpolitik, cioè di codardo e untuoso opportunismo commercial-schiavistico, pare diventato il nuovo sport planetario, il nuovo slogan dell’ipocrisia globalizzata. Tutti paralizzati, tutti genuflessi, a offrire lo spettacolo pietoso di un mondo cultural-diplomatico che in questo millennio pare seguire, e non solo nel caso della Cina, la dinamica obbligatoria dell’arruffianarsi i bulli, del leccare il culo ai peggiori. Persino certe Fiere del Libro si sono mostrate disposte a mettere vergognosamente alla porta gli Autori sgraditi a quello schifoso regime. Per non irritare i cinesi. E adesso pare che Obama non riceverà ufficialmente il Dalai Lama. Per non irritare i cinesi.

Be’, nel suo strapiccolo, questo dispettosissimo blog è orgoglioso e compiaciuto di irritarli, quei fascisti imperialisti. Non solo gridando Libertà per il Tibet (e per Taiwan). Ma anche regalando ai lettori la seguente battutozza di Zioscriba:


Per conto mio i cinesi non sono neppure terrestri.

Non è razzismo. È Star Trek.