"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

venerdì 6 dicembre 2019

L'IMPOZZIBILE DOTTOR PEZZ (o come diavolo s'intitolerà)

ZIO SCRIBA FOREVER

In questo paese zeppo di intellettualoidi tristanzuoli, saccenti e senza ironia, per uno scrittore possedere ANCHE un minimo di talento comico è considerato un orpello goliardico, una macchia pacchiana che guasta il curriculum, qualcosa di imbarazzante da tenere nascosto e di cui vergognarsi. Be’, io del mio alter ego Zio Scriba sono sempre andato fiero, così come sono fiero di esser nato umorista (le mie primissime pubblicazioni furono 4 battutozze con Gino & Michele), fiero di aver risollevato il morale di tanti colleghi studenti, di averli aiutati a vincere la spossante noia liceale col mio memorabile Inkazzo Kuotidiano, divenuto poi Periodiko e infine Sporadiko, giornalini rigorosamente NON autorizzati, roba che se mi beccavano finivo espulso da tutte le sqkhuole del mondo.
Ecco perché sono felice di annunciarvi che fra le mie proposte 2020 (non certo l’unica, è ovvio, qui non si batte la fiacca, qui si crea) ci sarà una raccolta di "racconti da ridarella" tutti nuovi, da far impallidire persino il pirotecnico Pazzoteca La Paz.
Perché di bei romanzi “seri” ne ho scritti e ne scriverò, ma niente mi rende più felice delle matte risate dei miei lettori, e di quando, esilarati, mi vengono a dire (cito da commenti reali e numerosi piovuti durante gli anni sul mio blog): “Arrivato a quel punto sono caduto dalla sedia”, “Mi sono ribaltato”, “Piangevo dal ridere”, “Avevo le convulsioni”, “Ti odio, perché mi hai fatto colare il rimmel appena messo con tanta cura…” Insomma, anche lo Zio Scriba e la sua pazzerella natura scemidemenziale reclamano a gran voce il loro spazio. (E credo lo reclamino anche quelli fra voi a cui piace divertirsi, e che da tempo non riescono più a trovare un nuovo libro davvero divertente nemmeno a pagarlo un milione). 
Il titolo del nuovo libro potrebbe essere
L'impozzibile Dottor Pezz, 
e quello che segue sarà uno dei ventisei racconti. Ve lo regalo in abbondante anteprima. Perché io posso. Perché voi lo meritate. 
Buon dicembre, buon inverno, buona vita e buone feste.


ZIO PÈ


Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare del leggendario boss denominato Zio Pè.
Ve le stacco, quelle mani.

Lo Zio Pè era un mafioso della mutua, d’accordo. Scalcinato, diciamo. Ma nel suo piccolo era tutt’altro che un fetente di mezza tacca. Era un gran bel fetentone. A ottant’anni suonati controllava ancora un’edicola che vendeva anche i pornazzi, e una fiaschetteria che spacciava fischietti per fiaschetti. Aveva poi ai suoi ordini un ladro d’appartamenti claudicante, il bisnonno ricettatore del ladro, e uno spacciatore messo male di settantanove anni, più svariate altre figure più sfigate. Ma il suo vero asso nella minchia, l’uomo con cui terrorizzava tanta gente (o almeno ci provava), era il fedelissimo Totonnuzzo O’ Scagnozzo Malandrino (una carogna, che però aveva visto giorni migliori). 
Chiunque trovasse da dire o da ridire, lo Zio Pè gli sguinzagliava addosso Totonnuzzo O’ Scagnozzo Malandrino.
Totonnuzzo O’ Scagnozzo Malandrino veniva regolarmente malmenato da questi chiunque.
Ma pazienza.

A monopoli lo Zio Pè sarebbe stato uno che teneva due case d’appuntamenti fra Vicolo Corto e Vicolo Stretto. 
Che è sempre meglio di essere lo stronzo che è appena stato eliminato, magari col famoso scherzo dell’inculata di cemento.

Il pizzo allo Zio Pè, un pizzo molto esoso, quasi insostenibile, lo pagava soltanto una vecchia lavanderia a gettone. La lavanderia a gettone era di proprietà dello Zio Pè, ma lui se n’era dimenticato, e nessuno glielo ricordava per non farlo restar male.

Secondo i suoi biografi ufficiali, Alfiero Incatasciato e Autotreno Corcullionita-Scarassa, da bambino lo Zio Pè era giovanissimo. Da studente fu somaro per scelta filosofica, e moderatamente di destra: a furia di prendere a calci comunisti si fece venire le vescicole, il piedepuzzo e la fascistite plantare.

Per tutta la vita cercò di togliersi lo sfizio di avere una squadra di calcio tutta sua da far fallire, ma riuscì a comprare solo la Montecapperese (terza categoria). Approdò così anche a Mai Dire Montecappero (famosa trasmissione di Telemontecappero Di Sotto International) con memorabili frasi come “Noi mezze ali non ne compriamo, o giocatori interi o niente”.
Quando capì (perché ci metteva un po’, ma poi le cose le capiva) che questi della televisione lo prendevano per il culo gli mandò Totonnuzzo in missione punitiva notturna. Quelli della televisione lo malmenarono.

A volte lo Zio Pè non si lavava.

Da tempo i conti a fine mese non tornavano. Neppure a truccarli bene bene.
Forse per via di quel malinteso con la lavanderia a gettone.
O forse perché il ragioniere rubava le creste. (C’è sempre un ragioniere che si crede più furbo).
Il ragioniere nella fottispecie era suo cugino, e persino di nome faceva Onestino e di secondo nome Fedele e di cognome Diomiguarda, ma lo Zio Pè per sicurezza gli fece lo stesso il famoso scherzo dell’inculata di cemento.

I conti continuavano a non tornare neppure dopo. 
Lo Zio Pè se ne ebbe a male. 
Macerato e impuzzonito nel rimorso, fece dire due messe di suffragio per l’innocente Onestino Fedele. Non ci andò nessuno. Manco il prete. Lo Zio Pè stava per mandargli in missione Totonnuzzo, ma poi ebbe pietà. Di Totonnuzzo. Il prete era uno che menava persino nel confessionale. Invece delle penitenze cazzotti, ogni tanto una bastonatina, ma piano.

Lo Zio Pè amava essere temuto. Se incontrava sulle scale il vicino di pianerottolo (un povero cristo democristiano di centouno anni) lo prendeva a calci.
Però allo Zio Pè piaceva anche mettersi in mostra e farsi bello con atti di grande generosità per dimostrare che la vera mafia è amica della gente. Come la volta che per la piazza passò di passaggio un pulmino di sfruttatori agricoli con a bordo trenta bambini africani appena sbarcati, e allora siccome era quasi ferraluglio e faceva molto caldo lo Zio Pè gli regalò mezzo pandorino scaduto da dividersi fra loro.
Prima però i trenta bambini dovettero mettersi in fila, incatenati com’erano, e baciargli la mano.
Uno particolarmente ignorante e infingardo gliela morsicò.
Sul pulmino degli sfruttatori agricoli ne risalirono vivi una ventinovina.

Per non sentirsi moralmente inferiore ai grossi calibri, una volta lo Zio Pè aveva sciolto un coniglio nell’acido.
Ma poi si era sentito maledettamente in colpa, al punto da diventare vegetariano per un paio d’ore.
Non si fa, coi conigli non si fa.

A monopoli lo Zio Pè sarebbe stato uno che pescava male dai mazzetti degli imprevisti e delle probabilità.
Alla fine venne messo in mezzo dal pentito Luddo Lippo Vandenbergh detto Lu Viscido, in realtà un mafioso acquisito (ius turisti belgi) che non l’aveva mai raccontata giusta ma quella volta sì. Fece i nomi di alcuni pezzi davvero grossi e, per sbaglio o per stronzaggine, di Zio Pè. 
In galera ci finì soltanto lo Zio Pè.
Tutti gli altri erano difesi dal pericoloso avvocato Scolopendra. Lo Zio Pè provò a domandare al pericoloso avvocato Scolopendra se difendeva pure lui. Allora il pericoloso avvocato Scolopendra sputò per terra davanti a lui, fece raccogliere lo sputo da un suo assistente, lo fece impacchettare e lo consegnò allo Zio Pè. 
Probabilmente un messaggio in codice.

Il processo durò dei mesi e venne anche la televisione (quella vera).
Quelli della televisione vera erano degli sciacalli che sciacallavano sul processo per infilarci dentro la pubblicità, ma inutile aversene a male, il mondo va così.
Alla fine la sentenza fu durissima, povero Zio Pè.
In prigione direttamente e senza passare dal Via.
Il giudice gli fece anche un predicozzo moralistico-moraleggiante di quattro ore e tre quarti. Mentre si sorbiva il predicozzo, lo Zio Pè pensò (poiché pensava) che prima o poi, con comodo, gli avrebbe mandato Totonnuzzo a fargli una sorpresina sotto casa.

Quando gli dissero che lo mandavano all’Asinara gli parve un’offesa da lavare col mocho. Ma poi gli spiegarono che l’Asinara non era una stalla di ciucci, ma un carcere di massima sicurezza per tenerci dentro i delinquenti più schifosi, e ne fu bello bello orgoglioso.