"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

martedì 25 novembre 2014

Colleghi con cui non berrei un caffè: Assaf Gavron

Voto: 4+

NEANCHE "FUOCHINO"

Come ho detto in un altro post, gli scrittori che scrivono male non sono una prerogativa solo italiana, anche se qui da noi siamo a livelli da record della vergogna. Vediamo un po' come scrive l'autore di questo tanto lodato romanzo israeliano, Idromania.
Si potrebbe definirlo un romanzo "scondito".
L'idea di base è stuzzicante, ma lo stile è ultrapiatto e sciapo come peggio non potrebbe. Niente ironia, niente vivacità né invenzione linguistica, niente intelligenza tragicomica, psicologia inesistente (il rimuginare interiore della protagonista è reso in modo pedante, dilettantesco, prevedibile), descrizioni senza mai nulla di lirico o di visionario, dialoghi banali da soap opera, un noioso accumulo di fantatecnologia per ricordarci che siamo nel 2067, ripetitività irritanti (ogni mezza pagina la protagonista chiama l'embrione che ha nell'utero "la fagiolina"), personaggi bidimensionali che fanno, dicono e pensano sempre le stesse cose (il protagonista è stato folgorato "dai fianchi" della protagonista, e quindi se hanno delle effusioni lui le "bacia i fianchi" oppure le "accarezza i fianchi" - ma l'effetto non è umoristico, è solo sfiancante.) Il tutto fa pensare a una frettolosa prima stesura. Insomma, come direbbe il vecchio Bukowski, non c'è sugo, non c'è gioco, non c'è fuoco. Ma per "passare" bastavano i 5 insulsi "wow" di pagina 21. (Poi non ce ne sono più: l'autore ne aveva comprato un pacchettino da 5?) Eppure questo Gavron in Israele risulta essere una superstar (è anche traduttore, ma soprattutto, pensate un po', è capitano della squadra di calcio degli scrittori israeliani e canta in un gruppo rock - forse è per questo che gli rimane poco tempo per rifinire come si dovrebbe i suoi romanzi?), e ha sette titoli all'attivo, "tradotti in numerose lingue e acclamati da pubblico e critica". Forse questo pubblico e questi critici che acclamano sono di bocca molto buona, o forse si sono presi una sbornia... d'acqua. Però che delusione! Se questi autori sanno ideare buone storie (perché questa lo è!!) ma poi le scribacchiano così, a livelli da quattordicenne discretamente talentuoso, perché non vanno direttamente da un produttore per ricavarne un dignitoso (tele)film? 
Non l'hanno capito che nel nostro secolo dalla Scrittura si pretende (SI DOVREBBE PRETENDERE!) molto di più?!
Concludendo: siete in cerca di un vero scrittore, e vi è cascato l'occhio su Idromania? Acqua, acqua...


mercoledì 19 novembre 2014

PERCHÉ STO SBARCANDO SUI SORCIAL [!!!!]

OPPERBOOK!!!!

Ebbene sì: ormai da qualche giorno sto arredando, con tutta calma, la mia stanzetta in uno di quei posti che mai avrei creduto di frequentare.
Continuo a pensare che fessobukko e compagnia non siano bellissime cose. Ma continuo anche a pensare che la troppa coerenza sia la virtù degli ottusi. Quindi non stupitevi e non biasimatemi (o almeno, non picchiatemi). In fondo sono uno dei tre o quattro scrittori italiani contemporanei, in un tempo e in un luogo in cui quelli della mia razza vengono soppiantati e sbeffeggiati da usurpatori scialbi e usurpatrici cocche di prof, in un trionfo cagnonporco orchestrato da giornali cinofili e suinofile tv, e ogni sistema per far leggere due copie in più dei miei romanzi sarà un servigio reso a persone a cui non viene riconosciuto nemmeno il diritto di venire a sapere che questi romanzi esistono, un gentile favore a un’umanità sempre più soffocata da cose brutte e banali, un prezioso aiuto per quei due nuovi lettori, che divertiti e commossi – lo so, ne sono sicuro, perché odio la falsa modestia – mi ringrazieranno. Perché se è vero che sono uno dei tre o quattro, è anche vero che certa bella gente della cul-tura ufficiale non mi nominerebbe neppure in una lista di quattromila, e allora (come dice sempre lo zio cieco di Corradino nel nuovo Romanzo che vedrà la luce nel 2015) era venuta l’ora di “farsi un po’ furbo”. Quante decine di scalzacani (in mezzo a pochissimi grandi autori, quasi tutti stranieri) si sono accalcate a bookcity? E a me che stavo a pochi chilometri non hanno fatto neanche un fischio (non che ci tenessi: lo sapete, per me uno scrittore è uno che se ne sta a casa a scrivere. Però fa incazzare). Bravi, grazie, continuate così. Per colpa vostra, mi darò perfino ai sorcial!
Anche perché, forse, potrebbero aver ragione quei miei amici che insistono sul fatto che pure fecebook, come tutte le cose, dipende da CHI lo usa e da COME lo usa (non mi metterò a sciorinare ogni mezz’ora foto di me che mi lavo i denti o faccio la cacca, tampinando la gente perché venga a vederle e a mendicare perché clicchino su “me gusta mucho”, come fertilizzante innaturale di un patetico ego tecnoglionito).
Però tranquilli, amici miei: continuerete a trovarmi soprattutto qui. Perché resto convinto che la differenza fra un blog e fessobukko sia la stessa che c’è fra un bar degli artisti e una discoteca del sabatosera. Ogni tanto quattro salti si possono anche fare. Ma parlare con voi in questo mio bar degli artisti rimane la cosa che apprezzo di più.

p.s.
Naturalmente accetterò al volo ogni vostra richiesta di amicizia. E mai come in questo caso si tratterà di Amicizia vera. Più o meno profonda, ma vera.

domenica 16 novembre 2014

9,99: la Bestia a testa in giù, o il Satana Sghimbescio

9,99

Qualche anno fa, in un bar di riviera, venni indispettito da una specie di amico, in realtà il boy (per fortuna) provvisorio di una mia amica, che sosteneva di non leggere libri perché i libri costavano scandalosamente cari. Costui era figlio di affermati professionisti. Ma non è che non leggesse perché era rozzo, superficiale e ignorante: non leggeva perché non se lo poteva permettere! E questo dopo essersi vantato di aver speso mucchi di biglietti da diecimila per ascoltare John Bakerozz stamburare su un tamburo, o per “pogare” mentre Jimmy Mjnkyalercia strimpellava la sua chitarra elettrica, amplificata male e distorta. Faceva parte di quella giovinaglia musicocentrica e rockdivistica convinta che la cultura sia una cosa “fatta” esclusivamente “dai tipi che sssuonano”, e che i massimi riverberi dell’intelligenza umana possano venire captati nei concerti bruciaerba (in ambo i sensi) a San Siro; di quelli che se nominano una recensione potete star certi che sarà la recensione di un cd. Niente di male, intendiamoci: basta dirlo. Basta ammetterlo. Invece questo non si fermava, scatenato nella sua filippica sul prezzo dei libri. A quel punto non ci vidi più. A quel punto, non avendo ancora pubblicato un fico secco, non fu per tirare la sua sciocca acqua al mio illuminato mulino che sollevando il mio drink gli dissi: “Senti bello: questa pisciazzata costa come un ottimo romanzo tascabile! Di cosa cazzo mi stai parlando? Se questa pisciazzata costa settemila lire, un ottimo romanzo dovrebbe costarne settecentomila!” 
Lo dissi a voce un po’ troppo alta, e il barman mi sentì. Si avvicinò minaccioso al nostro tavolo. Ma persino lui era venuto per darmi ragione: “Leggi qualche libro, fra una pisciazzata e l’altra!” disse a quel cavron, per poi ammiccare in mia direzione. 
“Portamene un’altra”, dissi sorridendo. “Con più ghiaccio e meno urina”.

Adesso, direttamente da quel Paradiso degli Scrocchi che sta diventando il web, è in arrivo la soluzione per quelli come lui: pare che con un modico abbonamento di 9,99 euro mensili si potrà leggere tutto quello che si vuole! Be’, non proprio tutto. Anzi, quasi nulla del meglio. In compenso: carriolate di titoli. Ma insomma, tanto ormai siamo nell’era della quantità. La qualità è così fuori moda… Lo slogan di questo Satana a testa in giù, di questa Bestia alla rovescia (il 9,99, prezzo antipatico e irrispettoso per eccellenza, non fa pensare  anche a voi a un 666 capovolto?) potrebbe benissimo essere: Ingozzatevi, scrocconi! Naturalmente (che ve lo dico a fare?) in formato elettronico e rigorosamente “in prestito”, la formula vantaggiosa del futuro (vantaggiosa non si è ancora capito per chi, ma io qualche sospetto l’avrei…)

Ora, qualcuno potrebbe obiettare, sia a quel mio pseudoamico che al mio discorso sugli Scrocchi, che se uno non può o non vuole spendere esistono pure, legittimamente e meritoriamente, le biblioteche, e che il 9,99, il Satana Sghimbescio, la Bestia a testa in giù, non svolge altro che una funzione di biblioteca moderna e non cartacea (volevo dire cartafobica, ma poi si aprirebbe un altro discorso che meriterebbe capitoli a parte). Già: peccato però che in biblioteca si possano trovare (gratis) tutti i più grandi scrittori, che invece in molti casi non hanno nessuna intenzione di concedere le loro opere a quelli del Satana Sghimbescio, considerati, a ragione o a torto, nemici dichiarati dell’ingegno creativo, della cultura intelligente e dell’arte narrativa. 
In compenso, per quei 9,99 al mese potrete scegliere fra milioni di altre proposte, fra cui ad esempio (butto lì) i porno caserecci con la punteggiatura sbagliata di Donna Spammer, la sterminata serie di Delitti del Maggiordomo Zoppo di Gianpiergaetano Cazzinculetti, non editati e con refusi anche in copertina, ma naturalmente anche tutti i bestsellers più dozzinali e stucchevoli.

Nell’abbonamento si dice saranno comprese magiche applicazioni interattive, come quella che spiegherà le “parole difficili” cliccandoci sopra. 
Le parole difficili, signora maestra! Evidentemente, questi del Satana Sghimbescio sono pure dei teneri ottimisti: credono che gli ignoranti si butteranno a capofitto nella lettura solo perché loro la offrono in modico abbonamento. E comunque, proprio questo sembra il target a cui pensano di rivolgersi: persone che vengono prese dal panico già vedendo la parola “rosa” in un titolo. Sono molto democratici, ‘sti tipi: loro accettano tutti, sia come scrittori sempre meno pagati che (soprattutto) come lettori paganti. Anche se mi viene da pensare che stiano sbagliando clamorosamente i calcoli: come possono credere che persone costrette a cliccare “sulle parole difficili” possano fare, di questi tempi, la fila per stipulare un abbonamento che gli permetta di saziarsi della VOGLIA DI LEGGERE? Quella è tutta gente che vorrà saziarsi di figa, o di costine alla griglia, o di scudetti della juve. Di concerti di John Bakerozz. O sbaglio?

Quella degli abbonamenti svalutanti, fateci caso, è in fin dei conti la strategia commerciale unificata del nostro povero mondo moderno. Prendi la telefonia. Una volta facevi tre telefonate alla settimana, che erano tutte indispensabili, o sentimentalmente importanti, o urgenti, o divertenti. Le pagavi salate, ma erano solo quelle e ci stavi dentro. Pagavi e rimanevi appagato. Poi vi hanno convinti che telefonare allungava la vita. E poi che la vita doveva diventare un vuoto passarsi a vicenda vuoti messaggetti con peti di allerta, e catene santantoniesche nonstop di stupidi video che dovrebbero far ridere, e così adesso le telefonate non le pagate nulla: siete solo schiavi di un modico abbonamento, eterno.
Sempre connessi con l’insulsaggine altrui, e sempre rintracciabili come un evaso con la cavigliera elettronica.

L’umoristica (o tragica) verità è che i modici abbonamenti non convengono proprio per niente, tanto meno (per quel che mi riguarda) nel caso dei libri. Se uno ci pensa bene, i nuovi romanzi degni di essere letti sono così pochi che vale ancora la pena di comprarli uno alla volta, possibilmente concreti e cartacei, e poi viverli, coccolarli, tenerli, AVERCELI, invece di pagare per riceverli astrattamente, fumosamente in prestito da lorsignori. E siccome si suppone che un buon lettore nemmeno troppo anziano abbia già nella sua libreria tutto il meglio del meglio (un po’ di classici e di pensatori e di poeti, e poi per la narrativa Auster, Amis, Bernhard, Bukowski, Cameron, Donleavy, Gary, Heim, Hemon, Houellebecq, Malamud, McCarthy, McCullers, Nabokov, Richler, Roth, Rulfo, Salinger, Saramago, Vargas Llosa, e quei due o tre italiani degni di essere letti) vien fuori che la spesa annuale per nuovi libri di alta qualità non sarebbe affatto molto più elevata di quella per il modico abbonamento che permette di scroccare-cazzeggiare nei gironi infernali dell’inutile e del superfluo. (Perché 9,99 su base annuale non fa 15, fa quasi 120…)

“Bisognava distruggere la Sfera e l’intero UBH 14 prima che fosse troppo tardi? Gli Scienziati vi avevano sparso il seme del proprio annientamento? Gli Ominidi Scimmieschi, e attraverso loro i prodotti della loro tecnologia, erano la Bestia Finale, il germoglio di morte, il Drago nascosto nel Verme di cui parlavano le antiche profezie? Chi si stava chiedendo tutto ciò, e, quel che più conta, se lo stava chiedendo in tempo o era ormai troppo tardi?
Chi stava raccontando queste cose finali e spaventose?
Ma soprattutto, esisteva ancora qualcuno in ascolto perché avesse un senso il raccontare?”
 (Nicola Pezzoli, Quattro soli a motore, pagina 261, NON disponibile in abbonamento.)



giovedì 13 novembre 2014

Eresia flash: il tanfo di una serata d'autunno


DEGUSTI PUS?

A volte ancora mi sforzo, vanamente, di cercare di capire come diavolo ragionino gli italioti quando valutano l’arte. Per una volta, per non sembrare fissato e paranoico, non parlerò del mio libro. Non parlerò proprio di libri. Parlerò di cinema. Ieri sera da un amico ho visto un film. S’intitolava Machete. Un fumettone in fin dei conti quasi godibile, se per due ore ti sforzi di tornare ragazzino. Un pulp action pieno di violenza, figa e buoni sentimenti per il popolino in platea, popolino aizzato nella parte iniziale dall’uccisione a sangue freddo di una ragazzotta incinta – mentre per far incazzare di più il protagonista gli hanno “solo” decapitato la moglie, così, per gradire. (“Toh! Ciapa!” diceva la mia povera nonna quando alla fine di un film western il cattivo moriva. Ma in questo pastrugno per gente di bocca buona di “Toh! Ciapa!” ce ne starebbe uno ogni venti secondi…) Applausi finali per una bellagnocca vendicatrice: un cattivo le aveva piantato un proiettile in un occhio, ma nei fumetti dietro l’occhio non c’è mica il cervello, quindi lei ricompare semplicemente con una bella benda nera, molto sexy, e un mitra in mano. Vabbè. 

La sera prima, invece, ho rivisto un film bellissimo. Ho potuto farlo perché possedevo un reperto archeologico: una cassetta vhs per fortuna non troppo smagnetizzata, perché di quel film, pur essendo abbastanza recente, non c’è ormai più traccia, nemmeno in dvd. S’intitolava Shadrach (Il profumo di un giorno d’estate era il titolo italiota, prolisso ma per una volta perdonabile, persino bello). Una deliziosa storia di formazione, agrodolce, struggente e divertente, ambientata nella bollente umida estate del 1935, protagonisti dei simpatici bambini, un vecchio negro di 99 anni tornato nei luoghi in cui nacque (da schiavo) per ritrovare l’innocenza dell’infanzia, morire e farsi seppellire dove vuole lui in barba a certe stupide leggi, una madre di sette figli sofficemente alcolizzata, un padre disoccupato (un bravuomo che odia Roosevelt, sacramenta a getto continuo e tira a campare distillando whisky) e sullo sfondo un'altra madre, quella del figlio unico di famiglia più agiata – l’io narrante della storia – che passa le notti a tossire e si prepara a morire di cancro. Un Harvey Keitel strepitoso, una bravissima Andie MacDowell. 
Ma perché ho iniziato questo mio pezzo dappoco parlando di come diavolo (diciamo pure come cazzo) ragionano gli italioti? Perché per curiosità sono andato a vedere i giudizi critici su un dizionario dei film che non sto nemmeno a nominare, dico solo che è considerato molto autorevole e prestigioso. 

Be’, non ci crederete, o forse, essendo come me italiani e rassegnati a esserlo, ci crederete fin troppo: il fumettone splatter aveva tre stelle e mezza. (Per me una e mezza sarebbe già troppo). Mentre all’altro meraviglioso film (quattro stelle come minimo, per me) ne venivano miseramente assegnate due, e quel che è peggio senza sprecarci sopra mezza riga di riassunto e di commento. I motivi? Probabilmente sociopolitici: il fumettone stava dalla parte degli immigrati (in quel caso messicani) mentre il film meraviglioso era una favola che non si “interrogava” abbastanza a fondo sulle ingiustizie del razzismo, del capitalismo e della schiavitù. 
Sì, va bene, d’accordo, ma il motivo per valutare due film soltanto in chiave boliddiga, attraverso queste ammuffite lenti della lotta di classe da sezione rionale di partito anni Settanta? 
Si chiama italiA. Il motivo si chiama, semplicemente e stupidamente, italiA. Scoraggiante. Davvero scoraggiante. 
Categorie interpretative in suppurazione (le stesse che oggi portano certa estrema veterosinistra a confondere oppressori e vittime, schierandosi col racket rom delle occupazioni abusive violente e contro i vecchietti sbattuti fuori dalle loro case). Dimenticavo: alla fine del fumetto, la granfiga (un’altra, con tutti e due gli occhi) se ne va via in moto abbarbicata al pene del protagonista (vecchio e brutascél, ma in compenso “mitico”) abbandonando accesa in mezzo alla strada la sua macchina: una macchina della polizia. Questo simbolismo grossolano dev’essere stato il colpo di grazia, deve averli mandati in brodo di giuggiole, i nostri critici rivoluzionari. Voto a questo tipo di critica: mezza stella. Voto a questo tipo di italiA: mezza stalla.


sabato 8 novembre 2014

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO AL RACCONTO DEL 2 NOVEMBRE, GIORNO DEI MORTI

VAN GOGH IN SOFFITTA

Autori dei libri più pubblicizzati sui nostri bei kuotidiani nelle ultime settimane (ottobre 2014): Antonella Clerici (presentatrice televisiva, il libro è di ricette), Dario Vergassola (cabarettista), Lilli Gruber (giornalista tv), Dino Zoff (ex calciatore), Margherita de Bac (giornalista, il libro è sull’anoressia), Tinto Brass (regista cinematografico), Roberto Vecchioni (cantante), Enzo Ferrari (!) (industriale dell’auto), Michel Platini (presidente dell’uefa), Tomas Milian (attore). Illuminante il titolo di quest’ultimo: Monnezza amore mio. Monnezza amore mio potrebbe diventare lo slogan ufficiale della nostra grande editoria, giustamente declassata alla Buchmesse di Francoforte.

E la pubblicità non è mai inefficace, specie in un paese di lettori che leggono poco, e di regalatori natalizi di libri che scelgono un libro con la stessa intelligenza e perizia con cui sceglierebbero un cesto di frutta: questi prodotti vengono pilotati, catapultati in classifica, grazie alla complicità quasi forzata dei librai, costretti a esporre cataste di questa roba, e a nascondere gioiellini come Quattro soli a motore nel miniespositore “editori emergenti”, credendo pure di farti, con questa forma di gentile ghettizzazione, un piacere. (Ho i numeri per stare con tutti gli altri alla lettera P, porca puttana, e non nell’espositorino a parte!) È un po’ come se in una galleria d’arte esponessero solo poster di valentinorossi sulla sua moto, e poi sottovoce, quasi vergognandosi ti dicessero: “Abbiamo anche un Van Gogh, da qualche parte in soffitta”. [Per non parlare di quei librai di sedicesima categoria che s’inventano che il tuo libro “è difficile da ordinare”, o che per averlo ci vogliono delle fantomatiche “spese supplementari”: tutta gente che quando fallirà non avrà le mie lacrime].

Ma questo elenco era solo una curiosità: non voglio prendermela con gli autori o i curatori di questo tipo di libri. Perché la verità vera è che quando poi passa a proporci i romanzi di quelli che ritiene “gli scrittori veri” (gli arraffapremi, i collezionisti – e scambisti – di recensioni, le superstar del catodo), la nostra grande editoraglia sa fare anche di molto, molto, molto peggio. Piuttosto che le scialbe pagine di certi fenomeni dello sbadiglio, più o meno raccomandati o politicizzati, meglio leggersi Dino Zoff: almeno lui, nel suo campo, aveva sfondato per merito, perché era più bravo degli altri.
E a me regalate pure un bel cesto di frutta, grazie.

domenica 2 novembre 2014

RAIZ! - Con chi ci tocca aver a che fare.



CON CHI ABBIAMO A CHE FARE

“Ragazzi, se avete delle idee andate via, qui non vi aiuta nessuno”.
(Giancarlo Giannini)


Longobardia, anno 2011. Avendo pronto il mio nuovo romanzo, che intitoleremo Il tacchino grosso di Amburgo, mi accingo al solito desolante (e dispendioso) giro di telefonate editoriali, per accordi e istruzioni sul possibile invio: in fondo adesso sono un autore con qualche buona recensione alle spalle, non un possibile mitomane sconosciuto, quindi mi pare giusto chiedere se esistano canali privilegiati, non nel senso di roba per raccomandati e altra simile italica merda, ma insomma un modo per esser presi in considerazione un po’ in fretta e letti per davvero da lorsignori, e soprattutto evitare spedizioni a vuoto. Dopo le prime due ore, non riesco a credere agli appunti scarabocchiati sull’agenda (e ai telesoldi che ho gettato al vento). Quelli di Edilogorroica Antiqua, dispiaciuti, mi dicono di aver scelto la via monotematica: da qui al 2087 pubblicheranno solo poesie del professoron Cateno Pompignoli, sovvenzionate dallo Stato. Le Edizioni Minonno mi propongono l’acquisto a rate di una linea di asciugamani prestige col marchio della casa, il famoso koala che si spara una sega, ricamato in fuffa da neonati birmani. Quelli di Umma Umma Bucche minacciano, qualora mi azzardassi a rompere i coglioni un’altra volta, di mandare un killer ad ammazzarmi il gatto. 

Altri responsi in breve. Edispurghi Puzzagranda accetta solo plichi di fogli vergati a mano, con sigillo in ceralacca e spediti tramite diligenza a quattro o sei cavalli. Da Tipografie Lo Turco non risponde nessuno. Cabral y Cavron: suona sempre occupato. Dagli uffici di Somaritudine, uno stronzo con la voce talmente sgradevole che si sente pure l’alito cattivo mi chiede se posso essere così gentile da spedire direttamente al macero, così saltano un passaggio. Sia Rutti & Peti che Ndringhéte Ndranghéte che Babbuin’Emmàmmete si sono specializzati in ebook con linguaggio sms. Quelli di Pettardi e Raudi m’informano che tacchini non ne vogliono, perché sono diventati vegetariani e pubblicano solo ricette vegane scritte male. Da Merdanti Nel Tempio, una voce registrata col culo invitava a chiamare un numero a pagamento con prefisso del Peloponneso. Da Te Possino Edità, invece, mi dicono che stampano solo sfumature vaginali, commerciali e banali, per lettori anali. “Lei ha la vagina?” “Un attimo che controllo… Nnno, mi pare di no”. “Allora crepi”.

Quelli di Nuova Arroganza & La Sorca Assorciati dovevano essere in overdose di siero della verità: “Lei è un cabarettista, un giornalistozzo, un cuocibietole, un deejay, una moglie d’arte, un rampollo d’industria, un coglionazzo famoso? Lei conosce qualche politico? Lei lecca con buona costanza le egorroidi a qualcuno che conta?”
“No, no, no!”
“E quindi che cazzo vuole?”
“Ma sono un bravo scrittore!”
“E allora vadi a pubblicare in Canadà! Qui non c’è posto, per lei.”

Ho deciso: se mai dovessi fondare una casa editrice di qualità, la chiamerò Zo.Fran. Come abbreviazione di Zona Franca. Ma anche in riferimento al famoso potentissimo antivomito.

Verso fine mattinata, dopo essermi sentito dire dall’impiegata dalla voce infeltrita di un editore che chiameremo Polpottini Red (sede legale in Cambogia) che loro non vogliono più gli si spedisca un bel cazzo nientoloso di niente (me lo segno: neanch’io, giuro, leggerò mai più niente di scagazzato da loro), provo con una casa editrice mediogrande, che chiameremo Gallinard, Gentilini & Burin. Risponde una voce strozzata di donna. Esala solo uno stanco “Burin?”, immagino per economizzare sul fiato. Ora, io sarei, per quanto semifallito e muorteffame, uno scrittore, e lei sarebbe una segretaria. Dovrebbe cioè essere una pagata per star lì a lavorare anche al servizio di quelli come me. Non dico debba mettersi in ginocchio a implorare un autografo (sì, in effetti a ripensarci dovrebbe, visto che in italiA siamo rimasti in tre o quattro), ma dal momento che io sono cortese e gentile con lei, mi aspetterei a mia volta lo stesso: un minimo di attenzione e di garbata sollecitudine. La tipa invece, udibilmente infastidita dalla mia intrusione, mi sbiascica in fretta e furia un recapito mail, “raiz chiocciola qualcosa”, dopodiché fa per riattaccarmi il telefono sul muso. Con buona prontezza di spirito (e immutata pacata gentilezza, è un mio difetto, lo so) riesco però a bloccarla, e, tanto per essere preciso e sicuro dell’indirizzo, che mi suona invero strano, accenno a un minimo di spelling: “Dunque, raiz: Roma Alessandria Imperia Zuri…” Mannò, mi corregge seccata la tipa, come se stesse parlando a un bambino ritardato, è “rights”, ovviamente, rights chiocciola qualcosa… 
Già, stupidone e ignorantone io a non afferrare subito che il recapito di posta elettronica di un editore italiano che pubblica (pubblicherebbe) Narrativa italiana non possa che ovviamente essere una paroletta angloide, e per di più dal bieco suono legal-commerciale: “rights”, mica “books” o “words” o “writers” o “novels”… Però non capisco perché non sia andata fino in fondo: di solito i saputelli da quattro soldi che vogliono metterti in difficoltà non dicono “chiocciola”, dicono “at”.
Be’, sia come sia, malgrado il solo pensiero di com’ero stato trattato mi desse un senso di schifo e di nausea, e soprattutto l’indirizzo rights chiocciola qualcosa mi ripugnasse assai e non promettesse niente di buono, il mio nuovo capolavoro Il tacchino grosso di Amburgo glielo mandai, a quelli di Gallinard, Gentilini & Burin, anche se non lo meritavano nemmeno un po’.
Ovviamente non ho mai ricevuto risposta.

Ma per fortuna gli Dèi della Scrittura esistono, e pochi mesi dopo mi faranno incontrare un piccolo grande Editore, che chiameremo Nueva Sangria do Castel. Un Editore come pensavo esistessero solo in America, Inghilterra e Francia. Un Editore così coraggioso e intelligente da non badare al nome, alle parentele o alle tessere politiche, ma solo al Talento di chi scrive. Il tacchino grosso di Amburgo verrà alla fine pubblicato col titolo Solo quattro in motoretta. E si rivelerà una delizia per tanti buoni lettori dal palato fino.