"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

sabato 28 gennaio 2017

OTTO ERESIE DELLA MERLA, A RUOTA LIBERA

1 REGÀLATI UN INCUBO!
La sfacciata propaganda filotecnologica che furoreggia sui giornali mi sembra persino più odiosa della propaganda dei regimi totalitari del secolo scorso. Mai una critica. Mai una perplessità. Mai un commento spiritoso. Tutti lì compatti a chiamare “sogno che si avvera” il più stupido incubo, tipo mettersi a parlare a voce alta con un cazzo di maggiordomo di plastica per chiedergli se è il caso di uscire con l’ombrello… 
Piuttosto mi compro un merlo indiano e gli insegno quattro saracche belle colorite, che almeno mi tira su il morale.


2 LA PERICOLOSA SETTA DELLA PANTOFOLA
C’è gente che entra al supermercato col cappuccio ben calato sulla testa, come se dovesse fare una rapina, o temesse un’improvvisa grandinata d’intelligenza. Gente che sfoggia tenute militareggianti e mimetiche chiazzate come se si apprestasse a smitragliare i barattoli di pomodoro concentrato. Gente (s)vestita in modi che se osasse presentarsi così sul set di un film porno il regista griderebbe “Còprete!” Gente con puzzolenti anfibi da mezza tonnellata d’estate e ombelichi da cui escono stalagmiti di ghiaccio d’inverno.
Ma certi bovinazzi delator/conformisti che fotografano clienti per “denunciarli” sui social, e certi direttori di negozio che di conseguenza decidono l’allontanamento di persone per il loro modo di abbigliarsi, non se la prendono con gente così, ma con chi indossa… pigiama, vestaglia e pantofole. Che sarà pure bizzarro, ma come minacciosità e fastidiosità mi pare uguale, o inferiore, a zero.
Dopo aver letto ‘sta cosa, è venuta voglia di uscire in vestaglia pure a me, come il meraviglioso Lebowski. 
Spegnessero quei cazzo di stronzi telefonuzzi-spia, e riaccendessero i cervelli!! (Se ce li hanno ancora…)


3 PAROLE MAGICHE
La gratificazione orale è sottovalutata!!!! Ci sarà un motivo se in Sanscrito la Parola per indicare “felicità”, “gioia”, “beatitudine”, “piacere” è… SUKHA! 
Tornando seri, ho cercato in un glossario Sanscrito un’idea che mi potesse rappresentare, che potesse essere il mio marchio e la mia Parola magica, e ho trovato ASAKTA (“distaccato”, “libero”).
Mi ha fatto pensare a una nostra bellissima e bistrattata Parola, SCAPESTRATO (nel suo significato letterale di libero dal giogo).
E come immagine? Ho scelto un gabbiano in un Mare di luce.


4 SENZA PIÙ TREGUA
Un’intera pagina di giornale per celebrare il maratoneta 85enne che “per tenersi in forma spala la neve” e insegue record su record, senza nemmeno una riga per insinuare il dubbio che possa trattarsi di un malato di mente. Subito sotto, la solita “onesta” ricerca che contesta il “mito” della vecchiaia serena e della tranquillità psicofisica: «Anche fatica e stress possono generare effetti positivi». Massì, via quei libri, quei cruciverba e quelle carte da gioco! Mandiamoli a lavorare all’altoforno, così potranno permettersi più viagra. Poveri nonni, che vi stiamo facendo?
Il messaggio finale dell’irresponsabile pagina è: 
«Tutti in pista!»
E i defibrillatori, ce li mettete voi?


5 CARTADACULO
C’è gente che uccide il pianeta cambiando smerdofono ogni tre settimane, scorrazzando con camere a gas turbodiesel revisionate male (o mai), riscaldando la casa a 26 gradi d’inverno e raffreddandola a 18 d’estate… Ma quando vogliono mettersi a fare gli ecologisti se la prendono con LA CARTA. (Riferendosi preferibilmente a quella dei Libri, mica quella dei depliant pubblicitari della loro dittarella con cui intasano le cassette della posta, o del loro partito politico, con cui intasano la mjnkhya). 
La carta igienica, vi dovrebbero togliere, e obbligarvi a pulirvi col tablet.



6 QUANDO È MEGLIO NON CAPIRE
Non avrei mai creduto di poter rivalutare così tanto l’analfabetismo. Per esempio mi fa un gran piacere se la pubblicità a bordocampo nella partita di calcio che sto guardando è in cinese: è molto decorativa, e mi permette di non sorbirmi le cazzate commerciali che veicola. 
E allora sarebbe bello, per autodifensiva magia, poter entrare in modalità analfabeta a comando, on/off: decrittare soltanto testi intelligenti, interessanti o divertenti, e percepire null’altro che forme e colori in presenza di minchiate che mi ferirebbero il cervello.
Scrivi un nuovo meraviglioso romanzo? E io me lo compro e me lo godo.
Mi ordini di scaricare l’app che fa l’oroscopo al mio pene? E io vedo soltanto quadratini gialli e blu… Così non dovrò neanche sprecar tempo e neuroni per mandarti mentalmente… dove meriti.


7 NOTIZIE COMPARATE
Leggo che lo splendido essere chiamato ghepardo è in via d’estinzione: poco più di settemila esemplari allo stato selvaggio. Volto pagina, e apprendo che invece lo stupido homo pantegana è così numeroso che se ne sono riuniti dodicimila esemplari solo attorno a un’insulsa e viziata gallinella messicana per la fastosa festa del suo quindicesimo compleanno, dove c’è pure scappato il morto (ma per sbaglio). Così, quando alla pagina successiva m’imbatto in un pisquano che frigna per il “dramma della denatalità”, mi viene da dare per scontato che stia di nuovo parlando di ghepardi. Invece no. Che ci crediate o no, sta parlando della denatalità dell’homo pantegana, ormai alle soglie degli otto miliardi, che se per pura sfiga si mettono a scorreggiare all’unisono salta per aria il sistema solare.


8 ROMANZI IN ARRIVO
Non offendetevi se fra voi c’è qualcuno che, in buona fede o semplicemente per mostrarsi interessato alla mia vita, me l’ha chiesto, ma una delle domande più stupide e irritanti che si possano porre a uno scrittore è “Quanto ci impieghi a scrivere un romanzo?”. Come se i libri fossero tutti uguali, e noi delle cazzo di macchinette imbrattacarta. Ci sono romanzi che mi hanno richiesto un anno o molto meno (ma non stiamo parlando di un lavoro continuativo e regolare, quindi come diavolo fai a quantificarlo?) altri che hanno subito aggiustamenti, revisioni e nuove stesure nel corso di due, tre, quattro anni (come quando dimezzai senza pietà, e riorganizzai, “gémenteseflentes” per farlo diventare “Il taccuino rosso di Wolfsburg”, cioè “Quattro soli a motore”). E poi ci sono testi-monstre come quello basato sul diario che ho tenuto negli ultimi tre mesi e mezzo di vita della mia dolce mamma: sono quasi quattordici anni che ci ritorno sopra, per portarlo dal migliaio di pagine iniziali alle circa quattrocento di oggi, e ancora non saprei dire se sia “pronto”. Ma quando sarà pronto vi stritolerà il cuore.









venerdì 27 gennaio 2017

Racconto per la Giornata della Memoria

HYPNOTIZED

L’esperimento di ipnosi dice che nella precedente vita fui condotto dai tedeschi in un lager in Polonia, dentro un carro bestiame. 
L’esperimento di ipnosi dice che non fui deportato dall’Italia, ma dalla Danimarca. L’esperimento di ipnosi non dice se tutto questo mi successe in quanto ebreo, deviato sessuale o artista scomodo (magari tutti e tre). L’esperimento di ipnosi dice che le persone attorno a me morivano già sul treno, per la fame o la sete o le percosse ricevute. L’esperimento di ipnosi non dice se ero giovane o molto vecchio, e neppure se ero maschio o femmina. L’esperimento di ipnosi dice che il mio gruppo venne mandato subito alle docce. L’esperimento di ipnosi dice che appena vidi uscire il gas non cercai scampo urlando e calpestando gli altri. L’esperimento di ipnosi dice che mi precipitai deciso sotto il getto per inalarlo e farla finita. 
L’esperimento di ipnosi mi fa capire cose della mia personalità di adesso: la nostalgia per la Danimarca, dove non sono mai stato; l’istinto di andare sempre e comunque controcorrente; il forte disagio al pensiero di mettermi in viaggio; il preferire l’idea di una morte veloce a quella di un insostenibile, protratto e insensato dolore; e più di ogni altra cosa il mio odio per TUTTI i dittatori, i loro sgherri violenti, e le loro maledette teste foderate di piombo e piene zeppe di null’altro che feci di ratto. 
L’esperimento di ipnosi non riesce però a spiegarmi la cosa più importante: perché mai io abbia voluto/dovuto rinascere ancora sotto forma di essere umano, anziché di Sequoia, Aquila di Mare o Gru della Manciuria.


mercoledì 11 gennaio 2017

"ECCOMI"? NON CI SIAMO

(Lettura interrotta)
Voto: 8½
Voto: 9

Perdonami, Safran Foer, ma mi sono arenato prima di pagina cento.
Premetto che continuo a trovarti immensamente bravo: sai scolpire singole frasi e singoli paragrafi di così alto livello che, malgrado una lettura (per ora) abortita per tedio e per scoraggiamento, non potrei mai, anche sforzandomi di essere cattivo, darti un voto inferiore, diciamo, a 8-.
E però. Però. Non so come dirtelo.
Forse è stata colpa delle mie troppo alte aspettative, forse del fatto che in questo periodo scrivo così tanto da dover gustare la lettura a piccolissimi bocconi, il che con un libro dalle ambizioni di “romanzo totale” che sfiora le 700 pagine e i 700 personaggi di certo non aiuta. Mi sono arenato dopo un centinaio (anche se mi riprometto, prima o poi, di continuare), e devo dire di essere alquanto perplesso.
L’impressione è stata quella di trovarmi davanti all’inconsapevole, inevitabile catastrofe di moltissimi superautori-supersecchioni contemporanei: la creatività sabotata, ingolfata dalla troppa erudizione, dalla troppa consapevolezza di bravura stilistica, sapienza teorica e spavalderia “tecnica” (che scambia per virtù un irritante virtuosismo professorale, e per genialità scrittoria un pretenzioso ingegno logorroico, che spesso gira a vuoto come il motore di una Porsche su stradine di montagna).
Forse avevi solo bisogno di un editor un po’ cazzuto (e “forbiciuto”)?
Certo, lo so, il problema sono anche io, cioè il mio essere lettore al tempo stesso esigentissimo e rozzo, appassionato e impaziente: già m’indispettisce quando un autore, dopo essere partito con capitoli brevi e della stessa lunghezza, sbarella via in un estenuante capitolone che non finisce mai, ma qui il quarto capitolo mi pare una vera Waterloo del romanziere!
Ti sarai accorto, mio buon Jonathan, che le pagine da 49 a 51 sono perfette, originali, intelligenti, divertenti, interessanti, piene di ritmo, e che chi le ha scritte è degno d’idolatria, ma che in quel capitolo esse sono precedute e seguite (e soffocate!) da spossanti, noiosissime, ritrite, interminabili elucubrazioni, sature di déjà vu maritomogliettistici e risapute menate analitiche psico-coniugali, e accumulazioni di orgasmi meno eccitanti di un bottiglione di valium? 
(Il solito, desolante spauracchio conformista del piacere diventato dovere: «E se non mi viene duro?» - e chi se ne frega!)
Da buon padre di Corradino, poi, non ho nulla contro i bambini che sembrano intelligenti come e più degli adulti. Anzi! Ma quando a pagina 92, agli albori dell’ennesimo megalo-dedalo-dialogo, un bimbo se ne viene fuori con la parola “epitome” (e qualcuno se ne compiace, dicendo «che bella parola!»), mi è venuta voglia di lanciare il libro dalla finestra.
Preferisco i bambini che dicono le parolacce.
Perdonami, collega (e perdonami anche se oso chiamarti collega!) ma poi, come ricostituente, mi sono letto i brevissimi, folgoranti racconti intarsiati da Agota Kristof (“La vendetta”). 
Opere d’Arte non intellettualoide, ambrosia per l’edonismo di menti selvagge e assetate d’emozioni come la mia. Piccoli gioielli del cervello e dell’anima. Testimoni del fatto che agli artisti si addice l’atelier, non la cattedra.
E poi, per saper sia leggere che scrivere,  mi sono sgoduriato "Mucho Mojo", del buon Joe R. Lansdale.