DUE MARONI
Per me non c’è mai stato niente di più noioso degli scrittori (o peggio ancora degli aspiranti scrittori) che parlano tutto il tempo di se stessi in quanto scrittori: quante stracavolo di cartelle si costringono a sbrodolar fuori ogni giorno, e se si impongono orari fissi da impiegati, e se scrivono con la stilografica o a macchina o con lo scalpello, e se per i loro dialoghi pedestri preferiscono i trattini o le virgolette da sergente (io consiglierei le manette dell’appuntato, per il reato di minchia infranta…)
Uno scrittore deve parlarmi con le sue opere, non coi documentari su come le fa (o NON le fa.)
Di ancor più stucchevole c’è soltanto l’attitudine di certi giornalisti “culturali” a riciclare all’infinito un’insulso articolozzo (che avrò già adocchiato cento volte in tutte le sue minime varianti) su cosa fanno certi “scrittori” italioti ufficiali per propiziarsi quell’Ispirazione che non gli verrà mai. Due maroni: chi si sciampa sei volte al giorno, chi fa free clymbing sulle piastrelle del cesso, chi prepara polpettoni al tamarindo e muffa, chi si spara quarantaquattro seghe una dietro l’altra… Tutto fuorché scrivere, fanno. E si capisce: non ci sono portati.
Avete provato con l’elettroshock? Magari due parolette in croce un po’ originali vi vengono in soccorso… Dovreste iniziare con frasette semplici: “D’autunno cadono le foglie” (sempre meglio che le balle). Mio fratello in prima elementare faceva così. Pagine e pagine di foglie da rastrellare. Non è diventato uno scrittore, però è un ottimo giardiniere.
E voi? Preferite come me un puro e diretto rapporto col Testo (possibilmente ben scritto, e auspicabilmente privo di prefazioni professorali, note erudite, postfazioni sociologiche, filosofiche o fruttivendolistiche) o ambite a entrare a curiosare nel laboratorio dell’autore?