Alessandro Turati si definisce “un folle che scrive perché ha il Gesù Cristo negli occhi e ogni tanto sbrocca e dice cazzate”, e già questo basterebbe a farmelo sentire fratello, o almeno cugino.
Se proprio dobbiamo applicargli un’etichetta, Turati è un outsider. (Superfluo dire che per me, nel ramo letteratura contemporanea, outsider più che un’etichetta è una onorificenza).
Gli outsider stranieri più importanti li conosciamo (quasi) tutti: Charles Bukowski, John Fante, Dan Fante, J.P Donleavy, Edgar Hilsenrath, Donald Ray Pollock, Hubert Selby junior, Scott Heim, Gary Shteyngart (e chi più ne ha, più sia benedetto se me li vorrà segnalare!)
Però ci sono anche talentuosi outsider italici, perbacco. Per lo più, per misteriosi e autolesionistici motivi, cercano di non farveli vedere, ma grazie all’editoria indipendente è ancora possibile andarli a scovare. Uno di loro è appunto Alessandro Turati, trentacinquenne lombardo che ha esordito nel 2012 col romanzo breve Le 13 cose, sempre per i tipi di Neo Edizioni (“per i tipi” è un’espressione che mi è sempre stata sul cazzo, ma fa tanto recensione chic, e siccome a dirvi quanto mi sia piaciuto questo libro di Alessandro ci tengo davvero ho deciso per una volta di abusarne pure io…).
Ci sono libri che leggi con un tale gusto che ti viene da consigliarli al volo agli amici intelligenti per far loro un favore.
E questo è uno di quelli.
Briciole dai piccioni è un tragicomico (o tristesilarante) romanzo di de-formazione, dove la vita umana viene spassosamente (e causticamente) ricondotta alle tappe Infanzia, Adolescenza, Alcolismo e Disoccupazione. E cosa c’è di più consolatorio di un libro che sa farti ridere del male di vivere, che quasi sempre, con differenti angolazioni e dosaggi, è anche
il tuo male di vivere?
È un romanzo mai banale che a ogni paragrafo ti spiazza, ti fa pensare, ti fa rimettere tutto in discussione, ti fa sorridere amaro e poi d’improvviso ti fa scoppiare in risate irrefrenabili.
E soprattutto ti fa sentire ancora una volta contento di essere uno capace di farsi del bene regalandosi LIBRI. A patto che siano libri belli, originali e onesti come questo, e non l’ennesima superflua sbrodolata di qualche comatoso timbra-cartellini per inerzia contrattuale, di quelli che a volte non si capisce come facciano a non essere in imbarazzo e a non chiedere scusa, come facciano, già mentre scrivono, a non rotolargli via per protesta sei o sette coglioni di due che ne hanno (se li hanno).
Non un attimo di noia, leggendo, assaporando Briciole dai piccioni, ma questo è scontato, questo è ovvio, altrimenti avrei interrotto e lasciato perdere, e non sarei qui a parlarne: lo sapete, è un mio pallino, una mia debolezza, io al cospetto dei nocivi noiosi mi metterei a spruzzare insetticida, che ci posso fare. E anzi, come sempre mi capita con quelli bravi, ogni tanto mi fermavo per godermi la stessa frase un paio di volte, o anche più, in preda alla gratitudine e alla gongolanza.
Serve qualche piccolo assaggio per i più malfidenti? Sentite qua:
“La cucina è il posto più caldo della casa. Iniziamo a mangiare lì, tutti insieme, poi mamma e papà litigano e uno dei due finisce il pasto fuori, sul pianerottolo o addirittura sulle panchine attorno al giardino condominiale, al freddo. In genere ci va papà, che non gli piace sentire urlare e non è molto abile a schivare oggetti. Io non li capisco, sembra che qualcuno o qualcosa li stia obbligando a vivere insieme e penso che il matrimonio, questo strano sacramento, ben che vada, si conclude senza omicidi.”
“Lui cammina spavaldo, come se prima o poi dovessero ficcargli un cavallo tra le gambe, oppure un missile per andare diritto affanculo nello spazio. Lei invece sembra avere un problema proprio lì, proprio lì che non so come si chiama, tiene sempre le gambe strette anche quando dorme, forse perché allargandole uscirebbe un altro me, per giunta vestito uguale, così da andare in giro per il paese a fare i gemelli stronzi da prendere a calci.”
“Il sacerdote che officia la messa esequiale ha occhi piccoli come un cinghiale che caga e guarda fisso verso di me”.
“Mi piacciono il grottesco e l’assurdo, seppure fino a un certo punto, cioè fino a quando le vicende non si allontanano troppo dalla realtà. Per esempio, potrei leggere di un uomo che si accovaccia su un marciapiede e fa un uovo, ma non potrei mai leggere di un uomo che, dopo aver fatto l’uovo, si mette a volare”.
“Le statistiche sostengono che solo una donna su cinque ha raggiunto l’orgasmo nella vita. Queste statistiche, inoltre, lo sostengono come fosse colpa mia, che invece non mi lasciano neanche tentare”.
“Mi faccio la barba e preparo il curriculum vitae. Quattro pagine di parole ma basterebbe una sola frase: NON SO FARE UNA MINCHIA”.
“Sara termina le sue faccende e si tira su i pantaloni. Una vecchia di passaggio vede la scena e ci guarda disgustata. Sostengo il suo sguardo finché non lo abbassa, roba di qualche secondo. Queste vecchie vanno trattate male, sempre, altrimenti è un attimo che ti rubano l’anima e ne fanno uno scialle ai ferri”.
“Dovrei prendermi l’autoradio, penso, almeno potrei ascoltare Carla Bruni che quando canta sembra fare condoglianze e pompini nello stesso momento”.
Insomma non fate i piccioni, amici miei, e stragodetevi queste briciole di talento!
E soprattutto, come sempre, non fatemi incazzare.
Parola di Scriba.