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Evaristo Beccalossi |
Nel 1980 per i calciatori non c’erano le barbe pitturate. Non c’era il tatuaggiume imbrattacorpo. Non c’erano gli scarpini fosforescenti con scritto il nome del sesto figlio appena scofanato dalla quinta moglie pornodiva. Non c’erano le pettinature a zerbino, a polentina sulla testa o a scopino per il cesso. Nel 1980 per i calciatori c’era la permanente. Nell’Inter il permanentato era Spillo Altobelli. E così quel giorno, porcodiaz, non ti vedo entrare in campo due Altobelli, uno col numero 9 e l’altro col numero 7? Non ero preparato: che scherzo era? Non ci capivo più niente. Ma no, spiegò subito il papà di Leonardo, un vero acculturato che tutti i giorni leggeva la Gazzetta al bar. Quello col numero 7 era Domenico Caso. Si era permanentato pure lui. Anche Domenico Caso aveva seguito Spillo Altobelli nella moda della permanente, e aveva scelto per farlo proprio la domenica della mia Prima a San Siro.
Non sapevo se considerarlo un onore o una mancanza di rispetto.
Peccato che quel giorno mancasse uno dei miei idoli, l’incontenibile mediano-sprinter-panzer Giancarlo Pasinato. Al suo posto era stato schierato a centrocampo col numero 4 Gabriele Oriali, e come terzino al posto di Oriali, ma scalato a destra, c’era Canuti, con Giuseppe Baresi restituito alla fascia sinistra (suo il perfetto cross per il gol di testa, in torsione a sfiorare, di Spillo Altobelli).
I calabresi erano allenati da Carletto Mazzone, e in porta avevano il famigerato Mattolini, da alcuni soprannominato malignamente “Saponetta”. Per la cronaca, vincemmo in carrozza 3-1, con prodezze di Beccalossi – su respinta difettosa di Mattolini – Oriali e Altobelli, e solo a dodici minuti dalla fine il gol della bandiera di Bresciani in più che sospetto fuorigioco, col di solito disciplinatissimo Ivano Bordon che si precipitò imbestialito dal guardalinee dell’arbitro Barbaresco di Cormons, e per poco non gli fece mangiare il berretto che si era messo per via che stava in porta controsole.
A vedere a distanza di anni il tabellino, sarebbe roba da farsi venire i lacrimoni, se non altro per il fatto che su ogni panchina stavano tre giocatori, di cui uno soltanto sarebbe potuto subentrare: i nostri erano il portiere di riserva Cipollini, il difensore Pancheri (che entrò per Beccalossi a pochi minuti dalla fine) e l’attaccante Ambu.
All’uscita di Evaristo Beccalossi scrosciarono applausi da spellarsi le mani. Quella che oggi si chiama “standing ovation”. Vidi comparire uno striscione esagerato ma bellissimo, che diceva:
EVARISTO NON TI FERMA NEANCHE CRISTO