COME SPAPPOLARE LE PALLE
(by J. Stronkabook)
1 Genealogie e saghe familiari
Se ambite a martoriare gli zebedei del lettore, non mancate mai di dedicare qualche decina di pagine alla genealogia completa del protagonista principale (e magari anche di altri). Il lungo, scrotolesivo flashback di saga (detta anche sega) familiare deve narrare per filo e per segno le peripezie (dette anche pere pe’ zzia) di almeno quattro generazioni: il trisnonno nato in un villaggio della Bulgaria interna, da cui dovette fuggire per evitare persecuzioni e roncolate; la bisnonna ingravidata a quindicianni da un marinaio strabico durante la traversata atlantica in pedalò; il nonno commerciante abusivo di pelli di topo nei Territori del Nord Ovest (con sei pagine di descrizioni su come si scuoiano le pantegane e se ne conciano le pelli sputandoci sopra tabacco ciancicato – e un paio (di dozzine) di ricette per il recupero di code e zampine mediante frittura o marmellata).
E via frantumando.
2 Pesantezza
Alcuni tentano a volte di spacciarla per “complessità” (che è un’altra cosa), ma la pesantezza, esatto contrario della Leggerezza delle Lezioni Americane di Calvino, ha sulla mente e sui coglioni del lettore lo stesso portentoso effetto che potrebbe avere sul suo stomaco il mangiarsi un cinghiale intero completo di pelliccia e zanne, e soprattutto ancora vivo. Interminabili frasi, lunghe anche tre pagine e piene di subordinate che si attorcigliano e avviluppano l’una nell’altra (che i vostri amici critici, se ne avete, sapranno spacciare per BRAVURA!), terminologia eruditoide, pedanteria, pretenziosità filosofica: niente è più sicuro di tutto ciò, se davvero aspirate ad ammorbare, a spossare, insomma a cagare il cazzo dei malcapitati.
Non è difficile, basta fare appunto al contrario delle Lezioni calviniane: invece di scrivere con leggerezza pensieri eccezionali, create labirintici meandri di elucubrazioni cervellotiche sul ciclo mestruale di vostra sorella.
3 Appiattimento del linguaggio
Essere pesanti e pedanti non impedisce di essere anche poveri, sciatti, stucchevolmente banali (tutte cose indispensabili per i più dotati cantori della Dea Noia). E non c’è modo più sicuro di apparire poveri, sciatti e stucchevolmente banali dell’utilizzare un linguaggio sterilizzato, piatto e moscio. Nei romanzi noiosi, i personaggi non imprecano e non usano il cosiddetto turpiloquio. Al massimo potrete concedervi un’acciderbolina. A patto che dopo l’acciderbolina spunti subito un prevedibile personaggio-marionetta (di solito una mamma nevrotica e semiscema di mente) pronto a esclamare: “Non voglio sentire parolacce!” Se poi ambite al massimo dell’appiattimento, non avete che da parlare e da far parlare i protagonisti come si parla in tv.
4 La pretenziosità poetico-sentimentale
Anche se ci hanno già sguazzato milioni di altri scialbi scribacchini, se davvero volete essere pallosi fino in fondo non fate mai, mai mancare il vostro illuminato contributo sui grandi temi: metterete quindi almeno una volta per capitolo la vostra bella sentenza aforistica memorabile sul tema “che cos’è il vero amore”, “cosa significa amare per sempre”, ecc, ricorrendo a quel collaudato tono che potremmo definire “poesia del deejay brillante-malinconico che raglia sdolcinature artefatte e ruffiane per guadagnarsi furbescamente la figa”. (Naturalmente, conviene che sia amore uomo-donna: fate finta che i vostri lettori siano tutti etero, e le banalità da cioccolatino – o da uazzàpp – vi sgorgheranno più facili). Lo so, vi sentirete stupidi e disonesti più di quanto già non siate, nello scrivere simili amenità, ma ne verrete ripagati: potete scommettere che quelle frasi saranno le prime a venir condivise dai noiòfili, in formato incorniciato e colorato, su ogni genere di social network.
5 E ovviamente, la politica
Ma se aspirate all’apice della Noia (e magari a qualche bel Premio), non potete non scribacchiare testi politicizzati e ideologizzati. Ma politicizzati alla naftalina, come uscissero dall’armadio di una sezione di provincia degli anni Settanta, sotto forma di ciclostilato; e ideologizzati come se ve li dettasse Stalin dopo morto. Ritrite storie retoriche di operai addomesticati che invece di volersi (almeno nei sogni!) liberare dal lavhorror sono grati alla fabbrica, vivono per la fabbrica, amano la fabbrica, si scoperebbero la fabbrica. Che scambiano ciminiere per candele di Natale, l’altoforno per il dolceforno della nonna. Che scrivono quanto bene vogliano alla fonderia che gli fotte la vita, alla tessitura che gli fotte la vita, all’inceneritore che gli fotte la vita. E per i quali la più grande tragedia cosmica possibile è la chiusura della fonderia che gli fotte la vita, della tessitura che gli fotte la vita, dell’inceneritore che gli fotte la vita. E via fottendo (il lettore).
Vi chiedo solo un favore, però: dopo che l’avrete scritto, non venitemi a rompere i coglioni per farmelo leggere. Perché alla noia io preferisco il Piacere. Alla banal sciatteria la Genialità creativa e affabulatoria, alla seriosità l’ironia e la brillantezza. E alla moscia pedanteria, sempre, la signora Bellezza. E di tutto ciò domando umilmente scusa.
J. Stronkabook
Incredibilmente, è tutto GRATIS. :)
E siccome le Vere Tradizioni (udite udite!) a volte piacciono perfino qui, auguro a tutti voi, anche a nome di Zio Scriba, un Felice Solstizio d’Inverno: l’antica festa nordica e pagana delle popolazioni europee.
quando c'era la Mamma, fata degli alberelli |
E se avete voglia di regalarvi qualcosa di poco noioso, date una sbirciata alla colonnina qui a destra, in alto.