CHE NE DICI DI PARCA DEA?
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“Lo strano caso del cane
ucciso a mezzanotte”, di Mark Haddon (Mondadori) è un poetico e struggente
romanzo sull’autismo, destinato a lettori di tutte le età. |
Non si può concepire un’Intelligenza Perfetta
che non eccella anche in autoironia:secondo me Dio bestemmia.
(Zio Scriba, Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano 2002)
Torno per l’ultimissima volta su un argomento che mi appassiona e al tempo stesso mi annoia (leggasi: “mi scassa i coglioni”): l’atteggiamento bacchettone nei confronti delle cosiddette parolacce in letteratura.
Con tutto il rispetto (perché so che su tali posizioni c’è anche gente che stimo) ho sempre pensato che questo malinteso puritanesimo fosse più un discorso da vecchie beghine di paese appena sciamate fuori da messa, che non da Scrittori.
Persino Il giovane Holden, che è del 1951, è molto più sboccato di quanto non facesse credere l’edulcorata traduzione italiana (dove comunque non mancavano i “Cristo”, le ingiurie e i parulàsh, e una sacrosanta scorreggia «che a momenti faceva saltare il tetto» mentre un becchino bigotto tiene un discorso “sulla vita” ai ragazzi nella cappella della scuola).
E due dei nostri Autori più colti e raffinati, Luigi Meneghello e Umberto Eco, hanno usato le bestemmie (quelle rare volte in cui andavano usate, ovviamente, non sto dicendo di usarle con superficialità).
«Dove, aveva chiesto zio Carlo? E Terzi, messo in soggezione: Pordoi, signor maggiore, quota 327. Perdio aveva detto zio Carlo, io ero alla quota 328, terzo reggimento, Sasso di Stria! La battaglia del solstizio? La battaglia del solstizio. E il cannoneggiamento sulle Cinque Dita? Dioboia se me lo ricordo. E quell'assalto alla baionetta alla vigilia di San Crispino? Diocane!»
(Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Bompiani, pagina 236)
Si noti come nel brano qui proposto l’imprecazione più “fuoriposto” sembri proprio quel blando “Perdio”. Che a mio parere è stato messo non tanto o non solo per dare l’idea di una progressione, di un’escalation man mano che il discorso fra i due reduci si riscalda, quanto piuttosto per l’irresistibile tentazione di giocare nell’accostamento con “Pordoi”. Pordoi-Perdio è molto divertente (ragion per cui certi imbalsamati maestrini – barbosi, boriosi e minculpoppi – che tengono in ostaggio ciò che resta delle rovine dell’italico genio, da loro ridotto a serioso e stonato latrato, cacherebbero subito l’intollerante etichettina “autocompiacimento”, ma contro la loro spocchia riecheggi la pernacchia di Eco – e la mia).
Mi torna in mente un tizio che su Fb si vantava di aver escluso da una certa trascurabile antologia (di livello più o meno dilettantesco) proprio quei cattivoni che si erano permessi di far ricorso alle “parolacce”, e questo senza nessun altro accenno alla qualità e al talento dei prescelti e degli esclusi – criterio unico (e sciocco, e stupido, e sconcertante) questo: niente “parolacce”!
Del resto, se andate a leggervi i bandi di quei ridicoli “concorsi” organizzati sul web da certa nostra editoria, vedrete che fra le cause d’esclusione immediata e aprioristica c’è sempre “il linguaggio scurrile”, mica l’essere degli imbecilli mitomani e semianalfabeti che scrivono col culo!
Verrebbe da dire che tutti costoro abbiano ragione su un punto: se non sai scrivere, evita di peggiorare la situazione diventando volgare. E invece il punto, semmai, è un altro: se non sai scrivere, lascia perdere. E stop. Invece vanno avanti. (E finiscono in classifica).
Giorni fa, proprio su Fb, annotavo questa cosa, che mi permetto di riproporre:
Gli italioti continuano a credere che il problema siano le “paVolacce”, a non capire che oggi volgarità significa soprattutto banalità, stupidità, superficialità modaiola, pecoronismo, vuotaggine, ignoranza esibita.
Un tizio, autore di un tormentone estivo fra i più stucchevoli, si vanta di aver autocensurato un “cazzo” da un successivo capolavoro, perché in ascolto “ci sono anche dei bambini”. Qualcuno dovrebbe spiegargli che a “riscattare” parzialmente quella sua ciofeca estiva sono proprio quei bambini piccolissimi che, cantandola, la trasformano simpaticamente in:
«Andiamo a scorreggiare!».
Perché i bambini, per fortuna, hanno sempre detto e sempre diranno le parolacce, in barba a quelle mammine repressive che li condannano a mettere ogni volta, come multa per il turpiloquio, una stupida monetina in uno stupido barattolo (l’espressione giusta, in questo caso, sarebbe ovviamente “barattolo del cazzo”).
Una delle scene di vecchi film che più mi è rimasta nel cuore è quella con una giovane Sofia Loren che rimbrotta il bambino per aver detto “Culo”, al che il simpaticissimo moccioso si ribella e la sfida:
«Culo, culo, culo e vaffanculo!»
E un romanzo moderno con bambini protagonisti deve saper giocare anche con le cosiddette parolacce, o puzzerà di farlocco e di insulso lontano mille miglia.
Concludo con un doppio breve accenno (il secondo, me ne scuso, sarà un’autocitazione) al capitolo “ipocrisia”, da sempre sottoprodotto della bigottaggine codina.
«Scrivere in modo strano le parolacce è un trucco comune dei devoti. Quando non predicano che razza di Maniaco del Cazzo è il Signore, si comportano come se fosse un Idiota del Cazzo.»
(Shalom Auslander, Il lamento del prepuzio, Guanda, pagina 258)
“Quando poi Marco si lanciò in una requisitoria da sciusciabalaüster contro le bestemmie, non ci vidi più.
Io le consideravo divertenti, colorite, spesso sacrosante (pensavo a quei popoli che col loro dio ci litigano, ma anche agli Illuministi che le scrivevano di proposito in nome della libertà d’espressione). Ci fu un periodo in cui le collezionavo su un quaderno, tanto ero rapito dal loro significato simbolico. E m’incuriosiva il fatto che le bestemmie le dicono più i buoni, che i cattivi. Il cattivo è ipocrita. Il capomafia va a messa e fa la comunione, lasciando sciogliere l’ostia fra lingua e palato perché masticarla è peccato, e quando esce va a sciogliere… un bambino nell’acido.
«Proibire per legge la bestemmia» dissi «non è solo prepotenza da castigatori, ma è soprattutto un incoraggiare l’ipocrisia. Tutto quel profluvio di ziocane e porcozio e porcodiaz, e dio camper e dio boiler e porcoddue, e tutti i vari crincio, e cribbio e crispius, e le porche madosche e le puttane madocine… se ne potrebbero inventare a bizzeffe – che ne dici di parca dea?»”
(Nicola Pezzoli, Mailand, Neo Edizioni, pagina 117)
E per chiudere davvero, lascio la parola al Maestro Hilsenrath, un novantenne di Lipsia che avrebbe tanto da insegnare a parecchi secchioncelli sbarbatelli politically coglioncelli:
- Gli editori insaponano gli scrittori - spiegò Shirley.
- Col sapone vero?
- Sì. Ma solo per gioco.
- E… che senso ha?
- In genere gli editori fingono di prendersi cura degli scrittori, che se sono inesperti e sconosciuti li lasciano fare. Così va il mondo. Ma te l’ho già accennato prima.
- E poi cosa succede agli scrittori?
- Lì per terra?
- Sì, lì per terra.
- Non lo vedi?
- No, non vedo niente.
- Succede tutto in fretta. Molto in fretta!
- Cosa gli fanno gli editori?
- Prima li hanno insaponati per bene. Adesso glielo mettono nel culo. Pronti via. Una dimostrazione cinica di potere. Niente di più. Nella vita è sempre e solo questione di potere.
- Poveri scrittori! – li commiserò Anna Maria.
- È soltanto un gioco, qui, alla mia festa… - minimizzò l’altra.
(Edgar Hilsenrath, Orgasmo a Mosca, Voland, pagina 203)