"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

lunedì 25 novembre 2019

FACOFFO INTERCULENS?


Ognuno ha il suo fiore. Questo non so nemmeno come si chiami, ma rappresenta uno dei miei Daimon, uno dei miei bellicosi e irriverenti spiriti guida: il fiore del dito medio inalberato.

sabato 2 novembre 2019

PERCHÉ AUTOPRODURSI? J. Stronkabook intervista l'outsider Nicola Pezzoli in 14 infuocate domande, nel giorno dei morti e degli scrittori italiani

J. Stronkabook
Nicola Pezzoli


Perché l’autoproduzione?
Nasce come puro esperimento: pubblicare qualcosa di alto livello ma al tempo stesso troppo atipico per certa miope e imbalsamata editoria. Come Pazzoteca La Paz, il migliore di tutti i miei libri insieme a Gigoló per cliente unica (a sua volta autoprodotto) e Quattro soli a motore. L’esperimento mi è piaciuto, e ho proseguito.

Non si rischia di passare per mitomani?
Certo, se ti pubblichi da solo rischi di confonderti con milioni di sgangherati semianalfabeti. Così come se pubblichi con la maggior parte degli editori italiani rischi di confonderti con centinaia di scribacchini più o meno mediocri, raccomandati, insignificanti, politicizzati, senza idee originali, o con barbosissimi laureatelli cagna cum laude che confondono il saputellismo retorico con l’Arte. Autopubblicarsi non è uno scherzetto da prendere alla leggera: si mette in gioco la propria reputazione, anche nei confronti di se stessi.  

Com’è nata l’idea?
Mi ci baloccavo da parecchio. Prima di conoscere l’opportunità offerta da Amazon pensavo di produrre dei semplici pdf da vendere direttamente attraverso il blog. Li avrei chiamati nikkEbukke. Ma rimandavo di continuo, perché per me non avere il cartaceo è come non aver pubblicato niente.

Vuole anche essere un guanto di sfida, il tuo, uno sberleffo a un certo mondo editoriale, soprattutto quello della grande editoria?
Inizialmente no, ma un po' lo è diventato. 
Nauseato dal vedermi passare davanti troppe mezze calzette, ho deciso di ritirarmi sdegnosamente sul mio Aventino, ma non volevo che fosse un ritiro definitivo, uno sparire: un Aventino dalla cui cima guerreggiare, foss’anche a pernacchie e colpi di fionda (perché è ovvio che quelli, di me, nemmeno se ne accorgono). Anche per questo ho scelto Amazon, facendo arrabbiare alcuni savonarola dal moralismo facile (e intermittente): avere un (non) editore di Seattle è per me la massima forma di orgogliosa ribellione, un autoesilio con dito medio inalberato.
(Il paradosso è che io passo per dinosauro tecnofobo perché odio gli smerdofoni, ma quando poi la tecnologia diventa davvero rivoluzionaria e formidabile come in questi casi mi si dice che non dovrei usarla! Ma io vado oltre, e ti dico che se ci fossero state simili possibilità ai tempi di Proust, di Joyce o di Dostoevskij, quei giganti si sarebbero autoprodotti, e l’editoria come la intendiamo oggi neppure esisterebbe).

Cosa resterà di questi tuoi titoli, a parte la vita che vivranno sugli scaffali di pochissimi tuoi aficionados?
Essere uno Scrittore significa sbattersene di tutto ciò che è “fama e gloria”. E poi è tutto così relativo, e così vano: la gente sta smettendo di leggere (o legge merda pompata in tv), e il romanzo che approda in libreria ha una vita media di due settimane. L’industria più fiorente collegata ai libri è il macero. Verranno dimenticati (lo sono già stati) anche i miei bei romanzi pubblicati da editori. Così come verranno dimenticati i brutti romanzi da classifica italiota. Ma pensa che libidine se un giorno, fra cent’anni, spuntasse un critico così indipendente, appassionato, onesto e intelligente da rivelare al mondo che alcuni dei migliori libri italiani erano stati autoprodotti da un cane sciolto, da un outsider fiero e talentuoso, da un pazzo assoluto…

Quindi non torneresti all’editoria neppure se ti chiamasse?
Adesso come adesso no. Anche perché la grande editoria è cieca e sorda, mentre la piccola ti dà percentuali risibili e pretende da te un lavoro sul campo troppo dispendioso in fatto di stress, di energie, di tempo e di denaro, come se gli scrittori fossero tutti milionari che scrivono per vincere la noia, o dopolavoristi con l’unico hobby di mettersi in mostra cazzeggiando per saloni e salotti, o facendo più presentazioni di Philip Roth. Chissà perché, nessuno dice mai che fare l’editore debba essere un hobby, che fare il tipografo debba essere un hobby, che fare il distributore debba essere un hobby, che fare il libraio debba essere un hobby, che fare il critico o il giornalista culturale debba essere un hobby, che fare l'agente letterario debba essere un hobby. E invece gli scrittori, cioè coloro che col loro ingegno e la loro creatività danno da vivere a tutta ‘sta gente qui (che spesso lavora da cani), dovrebbero farlo per la gloria. Ma guarda un po’! Il “babau” Amazon è una soluzione meravigliosa anche perché ti paga il giusto e non ti chiede niente. Attualmente sto scrivendo il mio miglior romanzo di sempre, e ho già deciso che agli editori non lo proporrò nemmeno.

La qualità non ne risente?
Onestamente, se riguardo il mio percorso, mi accorgo che i soli problemi con l’autoproduzione li ho avuti, i primi tempi, a livello tecnico, per le impaginazioni e cose simili. Tornando al discorso “mitomania”, devo dire che MAI avrei scelto l’autoproduzione (così come non scelsi l’editoria a pagamento) prima di aver dimostrato anzitutto a me stesso che potevo essere pubblicato, letto, apprezzato, recensito non solo da blogger ma anche dal grande Edoardo Camurri o da Alessandro Beretta del Corriere della Sera, intervistato da Radio Radicale, invitato a Festival della letteratura e non solo (penso al meraviglioso Festival di Bra, “Chiamata alle Arti”, organizzato da gente giovanissima che volle avere lì anche me.) Ma Bukowski dice che a cinquant’anni si raggiunge la chiarezza nello scrivere. Ed è veramente così. Una volta imparato ad alleggerire e asciugare i miei testi, non avevo più bisogno di nessun editor per puntellarli (o in certi casi appiattirli…). Ma prima, prima no! Per una questione di dignità ho aspettato di esordire a 41 anni, e nel frattempo mi sono guardato bene dal pubblicare a pagamento per poi impietosire porta a porta amici e conoscenti, mi sono guardato bene dal tampinare scrittori o leccare ani redazionali. Rilegavo i miei testi in formato A4, come copioni cinematografici, e li davo da leggere gratis solo a chi si mostrava davvero interessato. Al mio primo editore spedii il dattiloscritto senza nemmeno metterci “All’attenzione di…”: non sapevo i nomi di chi ci lavorava! Se penso a tutte quelle mezze seghe ambiziosette che passano il tempo in un continuo brigare e intrallazzare, vorticoso e frenetico... (ma quando cazzo scrivono?) Mi fanno pensare al grooming, lo spulciarsi collettivo che favorisce la socialità delle scimmie. Ma evidentemente hanno ragione loro. Tornando al discorso relatività: in quella lunga prima fase, quando colpivo al cuore una lettrice particolarmente raffinata e intelligente amavo ripetermi che fra zero lettori e UN lettore passa più differenza che fra uno e diecimila, ed ero felice così!

Quindi addirittura consiglieresti l’autoproduzione ad altri colleghi? Vuoi l’estinzione degli editor?
Ci sono editor bravissimi che devono continuare a svolgere il proprio lavoro (e magari solo quello, invece di giocare agli scrittori…). Anche perché, chiarezza o non chiarezza, non tutti gli autori sono in grado di fare da soli. Quanti siamo, ad esempio, ad avere il disinvolto coraggio di pubblicare sui blog o sui social degli abbondanti assaggi dei nostri lavori in corso d’opera? Ci sono scrittori che ne avrebbero il terrore, che si vergognerebbero di far vedere quanto sono zoppicanti e malscritti i loro libri in fase embrionale, di quanta differenza c’è fra il prima e il dopo editing. Senza editor dovrebbero per forza cambiare mestiere (e allora forse sì, in questo senso sarebbe meglio per tutti se gli editor si estinguessero… magari insieme ai ghostwriter, così finirebbe la farsa semitruffaldina dei finti scrittori).
E un’altra cosa: la sempre più massiccia offerta di libri omologati e bruttini, il tradire il talento dei veri scrittori e l’aumentare a dismisura del potere degli editor sono catastrofi che avvengono di pari passo. Frega niente se scrivi col culo, devi solo essere furbo a individuare il temino “importante”, la storia ruffiana, la trama con potenzialità commerciali. Poi ci pensa il potente maghetto a farlo diventare un libro (quasi) decente. Ma devi scrivere (anche male, malissimo) quello che vogliono loro, che loro (e i loro amici del comparto critica) siano in grado di capire dentro i loro limitati orizzonti accademici e ideologizzati, e che abbiano interesse a veicolare. Ha ragione Ginevra Bompiani: oggi i libri muoiono di editing. Anzi io direi che abortiscono proprio.

Un libraio molto attivo sui social ha detto senza mezzi termini (senza fare nomi, ma poteva essere rivolto a te): “Smetti di autoprodurti! Se ti autoproduci per noi sei morto. Morto!”
Lo so. È un ragazzo molto colto e intelligente, un amico, che scrive benissimo e che di solito non dice sciocchezze. Ma un’eccezione può sempre capitare. Però lo capisco: fa il libraio e deve tirare l’acqua al suo mulino, anche se per tirare avanti è costretto a vendere acqua talmente torbida che io personalmente piuttosto che berla preferirei morire di sete. (Qualcuno ha detto che in libreria bisognerebbe andarci coi crisantemi, come al cimitero, io invece dico che dovrebbero fornire loro i sacchettini per il vomito, come sugli aerei). E ha ragionissima quando si lamenta dei tromboni mitomani di cui sopra che pretendono di piazzare i loro libroidi nella vetrina della sua libreria. Ma in un mondo di zombi, essere “morto” non è poi così brutto. In un ambiente in rottura prolungata e definitiva, che continua a pubblicare, premiare, vendere e acclamare pseudocapolavori insipidi, tutti uguali o scritti col culo, io sono fiero di continuare a produrre Buona Narrativa per pochi privilegiati, di essere un outsider che non c'entra un cazzo, passato a miglior vita e a miglior scrittura. Se poi la gente preferisce la fuffa che passa il convento, padronissima, così come è padronissima di guardare i cinepurgoni invece del Grande Lebowski. Contenti loro…

Mi ha colpito a un certo punto la parola “politicizzati”. Vuoi approfondire?
Mi sono sempre considerato di sinistra (anche se non potrò mai esserlo, ad esempio, sull’argomento criminalità, dove la sinistra è colpevolmente lassista, o nel ramo che definisco “politically stronzett”, o in certe tafazziane pulsioni antioccidentali - per me "sinistra" vuol dire socialdemocrazia alla scandinava, o alla tedesca, non certo Pol Pot, e neppure Togliatti). A 27 anni stavo per esordire con un romanzo, il famigerato “Squillo boy”, che era al tempo stesso scandaloso, trasgressivo, anticonformista, anticlericale, antisistema, insomma, più “de sinistra” di così… E invece, la scusa con cui due editori si rimangiarono la parola data a me e a chi mi rappresentava fu che il mio romanzo non era “ABBASTANZA di sinistra”. Che poi, se si trattasse dell’autore, uno può sempre fingere e prendersi una tesseraccia di partito, ma se “non abbastanza di sinistra” è il testo, è una tragedia! Allora mi parve una crudele presa in giro, poi capii. Per questi khmer rossi (mediocri come tutti gli indottrinati) a mancare al romanzo erano (e per fortuna!) i pedanti cliché della letteratura “de sinistra” italiota: il mio boy diventava squillo per il piacere perverso del brivido, mentre invece avrebbe dovuto essere il solito meridionale (ma oggi sarebbe un “migrante”) disoccupato e tossico, con trascorsi nei centri sociali (e in galera) e quattro figli a carico, che sogna un posto in una bella fonderia cancerogena e intanto si prostituisce controvoglia per pagare le rate del motocarro (dentro cui tiene ovviamente un’immaginetta del Che Guevara…) Questo è il livello. Queste sono le persone da cui non vorrei più essere pubblicato nemmeno se mi offrissero miliardi.

Qual è il peccato mortale dell’editoria? E non ne salvi nulla?
Troppi ce ne sono. Te ne dico uno piccolissimo, solo come esempio, e senza nulla, ma proprio nulla di personale. Io credo che saprei essere molto più divertente di Panariello anche come comico televisivo. Ma non vado a invadere il suo campo. (E se anche volessi, non mi lascerebbero). Lui invece è libero di invadere il mio. Grazie ai signori editori che glielo permettono, o addirittura vanno a cercare i personaggi come lui per monetizzare i loro nomi famosi. (Con la complicità dei giornalistozzi che titolano “Bonucci diventa scrittore”, mentre se io provassi a scendere in campo contro la Lokomotiv Mosca non direbbero “Pezzoli diventa difensore centrale” bensì “Pazzo furioso tenta di giocare una partita di Champions”. Eppure le due assurdità sono assolutamente equivalenti, anzi, la prima è più grave, perché io da ragazzino a pallone ci ho giocato!!) Certi camerieri dell’editoria in servizio permanente sostengono che poi questi soldi verrebbero reinvestiti per valorizzare nuovi talenti. Ma sappiamo che non è così. La grande editoria italiana non scopre un nuovo talento dai tempi di Aldo Busi. E pure lui non è che mi facesse impazzire. Quanto alle cose da salvare, con i piccoli editori ho avuto (e dato) le mie soddisfazioni, ma nel complesso si tratta di un ambiente in cui chi mi ha trattato meglio mi ha trattato da figliastro. E dove il mio dire quello che penso, senza peli sulla lingua, ha sempre infastidito tutti.

Parliamo un po’ del sottobosco editoriale. In Italia c’è un doppio problema. A sentirsi scrittori sono milioni. Troppi. A far gioco sulla loro sciocca ambizione spuntano ogni anno centinaia di nuovi soggetti, allargando un campo fatto non solo di pubblicazioni a pagamento, ma anche di discutibili servizi, presunte consulenze, editing “preliminari”. Troppi anche loro. Da che parte sta il principale torto?
Mi credi se ti dico che non riesco a decidermi? È come quando vedi due persone che ti stanno sulle palle fare a botte, e finisci con lo sperare inconfessabilmente che si ammazzino a vicenda. Quando penso ai nugoli di incapaci che infestano le redazioni con le loro cavolate, impedendo così anche a te vero scrittore di essere almeno letto e preso in considerazione senza santi preventivi in paradiso, mi viene da dire che se poi trovano qualcuno che li illude e li spreme se la sono voluta e cercata, e se la meritano. Ma quando penso a chi riesce a guadagnarsi da mangiare sfruttando in mille modi questa gente qua (e che a volte ha il coraggio di provarci pure con me), non riesco, proprio non riesco a provare simpatia. Anche in questo senso, evviva Amazon!

Nick, non ti senti un po’ malato di mente?
Soltanto un po’, dici? Ovvio che lo sono. Per fortuna mia e dei miei 24 lettori. La Narrativa la stanno assassinando i normalozzi, mica i pazzi.

Mi condensi il tuo rapporto con editori & limitrofi in una lapidaria battuta finale?
Solo una cosa è peggiore del gettare perle ai porci: proporle a gioiellieri che preferiscono le ghiande.