"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

venerdì 25 settembre 2015

In arrivo per voi: L’AMORE AI TEMPI DELL’APOCALISSE



Per chi fra un romanzo e l’altro fosse in astinenza di me, segnalo la presenza di un mio racconto – sconvolgente, politicamente scorretto e vietatissimo ai minori – intitolato “Le scimmie che c’erano prima”, in questa bellissima antologia curata da Paolo Zardi per le edizioni Galaad.
(E per chi fosse zardiano come me, sono lieto di annunciare che c’è anche un SUO racconto, insieme a molti altri che – ne sono sicuro – vi piaceranno, vi sorprenderanno, vi faranno paura).


sabato 19 settembre 2015

Donald Ray Pollock - LE STRADE DEL MALE

voto:

Se avete al tempo stesso palato fino, cervello grande e stomaco forte, allora non potete perdervi questo romanzo geniale e tremendo.  Dicono che l’autore, Donald Ray Pollock, abbia lasciato la scuola a diciassette anni per andare a lavorare in un macello, e ne abbia poi passati altri trentadue come operaio in una cartiera, prima di decidersi a scrivere. Ma il Dono è il Dono, signori miei (anche se qui da noi, nella patria del pezzodicarta e degli spocchiosetti sempre in cattedra, si fa fatica a capire che “autodidatta” e “somaro” non sono sinonimi, bensì CONTRARI), e mi pare di vederli, gli Dèi della Scrittura, apparirgli in sogno ogni notte per pungolarlo: «Allora, ti decidi o no, ragazzo? Tu sulla carta devi SCRIVERCI, o ti ridurremo in cartapesta a forza di fulmini!» Davvero un romanzo strepitoso, per chi ama le storie sconvolgenti e perverse. A patto che siano, appunto, scritte da dio. O da gente come Donald, che ha avuto il Dono.

Donald Ray Pollock


Peccato solo per l’imperdonabile sciatteria dell’edizione italiana: vari piccoli refusi qua e là, e uno sbragamento finale (il correttore di bozze non c’era e se c’era dormiva?) davvero inaccettabile, quando fai pagare un libro sedici euro e cinquanta: a pagina 223 ci becchiamo addirittura un “«Fra quanto?» chiese Sandy chiesto.” E la pagina dopo leggiamo: “All’improvviso, una sensazione a cui non avrebbe saputo dare un nome improvvisamente gli si ritorse…” Se se ne accorge Donald…

Non sono mai stato esageratamente filoamericano, ma come lettore, quando posso godermi dei Romanzi così, non posso non dire Grazie America! Da noi outsider di genio come Pollock non possono passare, non possono sbocciare. Da loro sì.
(La penosa situazione della Narrativa italiana ha due spiegazioni. Un colpo di stato lento e silenzioso che ha portato a mettere i secchioncelli al posto degli artisti. E il diffondersi di un cancro che potremmo chiamare Feticismo del Brutto. Ma forse la seconda è solo inevitabile conseguenza della prima. Ci vorrebbe una riscossa degli artisti, che però per loro natura sono eremiti e pigri, e non amano brigare, intrallazzare, lobbeggiare. La gramigna trionfa, e i fiori se la sono presa nel culo. Ma forse dovreste essere voi che amate i fiori, a darvi una mossa, invece di andare dal fiorista a comprare gramigna, per poi lamentarvi timidamente perché vi ha deluso, ma insomma, bisognava proprio comprarla perché era di moda e ne parlavano tanto bene sui giornali, e i fiori erano troppo difficili da trovare…)
Chiedo scusa se ho divagato.
Per farmi perdonare, aggiungo al volo qui sotto l’altro libro di Pollock, i racconti con cui ha esordito. Meritano assai pure quelli, ma il Romanzo è migliore.



Non fatemi incazzare.
Parola di Scriba.



venerdì 11 settembre 2015

L'Inno alla Noia dei Balanzoni italioti

Un adesivo dei tempi della naja
(ma vale anche per i Templi della Noia)


A volte il mondo sembra divertirsi a confermare i miei pregiudizi, trasformandoli così in più solidi POSTgiudizi.
Pensando che potessero interessarmi, il mio gatto mi aveva fatto trovare sulla scrivania, alla fine dell’estate, dei ritagli. Facevano parte di un dibattito fra editori e intellettuali sullo stato dell’editoria, anzi sullo sfacelo dell’editoria, e su eventuali proposte per il futuro, ammesso che ne esista uno.
Due in particolare mi hanno colpito, per il modo opposto di affrontare il problema. Si trattava degli interventi di due editori, uno italiano e uno tedesco. Non dico i nomi, non tanto per misericordia nei confronti dell’italico, ma perché mai come in questo caso mi sembrano Esemplari le nazionalità (un po’ come in quelle vecchie barzellette: “Ci sono un italiano, un francese e un tedesco…”)
Guarda caso, il tedesco ha detto cose chiare, semplici, intelligenti, schiette, dirette, quasi ingenue ma coraggiose, taglienti e molto scomode. Ha accusato la grande editoria (mondiale) di comportarsi non solo da mercante nel tempio dell’arte, ma anche di farlo con una sorta di irresponsabile bullismo: inondare il globo di libri orrendi è ormai per questa gente una sorta di dimostrazione di forza e prepotenza, di arroganza muscolare. E ha aggiunto che la sola (minuscola ed evanescente) speranza risiede nella capacità dei piccoli editori di continuare a lavorare come si deve, con passione e coraggio, per scoprire i nuovi Talenti, sperando che poi quegli altri marpioni non glieli portino subito via per rovinarli. 
E l’intervento dell’italiano? Pomposo e pretenzioso, e sfuggente sul vero nocciolo della questione, il nostro connazionale si è messo a sproloquiare su muffa e aria fritta, a vaneggiare su parole come “Accademia” con la A maiuscola e “Valori” con la V maiuscola. Per poi concludere il suo intervento con questa minaccia: che dovrà essere d’ora in poi Missione della grande editoria italiota DECIDERE quali autori e quali libri saranno degni di durare nel tempo (Oddio, SPERIAMO PROPRIO DI NO, viste le carriolate di insulso letame con cui molti di loro riempiono le nostre povere librerie!!!!)
Da tempo denuncio l’abbandono, in italiA, di quella preziosa (e libidinosa!) via di mezzo che si chiama Narrativa Pura e di Qualità, la rinuncia a proporre letteratura nuova, originale, tragicomica, autopensante, brillante, intelligente, benscritta, energica e onesta (e ovviamente NON insudiciata con menate politicoidi malcagate). I nostri grandi editori, delle due l’una: quando si mettono il grembiule da pescivendoli per fare incasso buttano sul mercato qualsiasi puzzolente fetecchia per lettori deboli, manipolabili o superficiali. Ma quando poi si fanno una doccia con l’idrante acido e indossano le vesti da cattedratici ottocenteschi, fanno pure di peggio: perché allora è noia, noia, noia. E la giornaleria, forse a causa di irrisolti problemi di conflitto d’interessi (e di mediocrità, diciamolo), gli va dietro incollata alle chiappe come un ciclista succhiaruote.
Chiediamoci perché, su certe infeltrite pagine cul-turali (a parte quando vi si pompano appunto le amichette degli amichetti, o i Jo Nespolo del momento, per questioni di vil bottega) gli autori più recenti di cui ci si occupa (nel modo più tedioso e melenso possibile) siano Proust e Tolstoj (o peggio ancora studiosi di costoro), per non parlare di chi ancora si schiaccia i brufoli sul povero Dante (che chissà DOVE li manderebbe – io un’idea ce l’ho) o sforforeggia sull’esegesi biblica: forse perché per certi sopravvalutati balanzoni (sempre pronti a mandare dietro la lavagna i Bukowski, i Fante, gli Hilsenrath, i Pollock, i Donleavy, liquidando con smorfie sprezzanti questa gente geniale che usa anche le “parolacce” – non si è ancora capito se alle mezzeseghe balanzonesche diano più fastidio la genialità o i parulàsh, due cose davvero deplorevoli e peccaminose!) per questi balanzoni, dicevo, si tratta di incassare lo stipendio sciorinando premasticata secchiaggine, mentre nessuno schiavetto ha ancora avuto il tempo di fare per loro quel lavoro scolastico all’ingrosso che li metta poi in grado di ruminar minchiate petobiografiche, barbose e pedanti, su Mario Vargas Llosa, su Paul Auster, su Martin Amis, su Mordecai Richler, su Romain Gary o su Philip Roth – e forse è meglio così, o ce li farebbero ODIARE! 
Per non parlare degli scrittori di cui non si occupa mai nessuno. Perché esporsi a proporre qualche sconosciuto (che non sia parente o amante o collega), se richiede il temerario coraggio di parlarne PER PRIMI? Per fare queste cose ci voleva gente vera, con le palle, come la mai abbastanza rimpianta Fernanda Pivano. 
Bello allora essere uno sconosciuto outsider, uno straniero in patriA. Non fare parte del vostro campionario, viscidi sudaticci mercanti o muffoidi accademici che siate, è una ben robusta, e piacevole, consolazione. Meravigliosa, direi. E però smettetela di frignare se i ragazzi non leggono, perché la colpa è soprattutto vostra, e delle palate di squame di pelle di vecchio (ma spesso si tratta di vecchi trentenni!) che gli gettate sul faccino. 
AD MALORA, balanzoni caganoia!

N.B. Naturalmente, per “muffa” qui non si intendono i Classici, ma il vuoto chiacchiericcio accademico-sclerotico su di essi. I Classici, così come i Contemporanei di talento, bisogna LEGGERLI, e non sbausciarci sopra.


martedì 1 settembre 2015

SIGNORA CON MAGLIA A STRISCE

Il particolare ingrandito per la lapide

Qui non vengo a trovarti quasi mai. Non sono un amante di questi posti, e tu lo sai. Già mi mette stupidamente a disagio il sapere che se qualcuno mi vedesse NON compiere certi gesti meccanici tradizionali nell’entrare e nell’uscire mi sentirei addosso il peso di una riprovazione conformista e piccina. Sai che ripeto sempre che in realtà tu vivi ancora in me, dentro il mio cuore, anche se a volte, a furia di ripeterlo, mi suona come una scusa per la mia pigrizia, per il non venire in un posto così vicino da poterlo intravedere dalla finestra della cucina. Eppure, le poche volte in cui vengo al cospetto delle tue ceneri, non posso non rallegrarmi per il folto e quieto giardino che hai davanti in questa tua dimora, per quanto per me soltanto simbolica (eppure non fu così fin da subito: quanti lumini ti ho portato, ricordi? Ma sappiamo entrambi che quei passi dolenti e quelle flebili fiamme servivano come cura per me, per asciugare le lacrime: a te affumicavano solo la piccola lapide…) Non posso non rallegrarmi per il canto degli uccellini che sembrano poterti fare davvero compagnia. E non posso evitare di chiederti scusa per le mie lunghe assenze. Ma la cosa bella, veramente bella, che mi fa venire qui, che continuerà a farmici venire, che dovrebbe farmici venire di più, è questo tuo radioso sorriso di bambina. Come sono contento di aver fatto questa scelta per il tuo ultimo ritratto, di averlo voluto ricavare dal particolare ingrandito di una foto felice scattata al Mare, sulla spiaggia della nostra Pinarella. Era uno di quei giorni in cui ci si va vestiti perché c’è stata la pioggia, e fa freschino. E tu sei in posa a braccetto con la tua cara amica Roberta.
(Mamma mia che stretta al cuore riprendere adesso la foto per fare la scansione, e trovarci sul retro l’appunto del signore delle lapidi: “SIGNORA CON MAGLIA A STRISCE, ½ BUSTO, 7x9 OVALE COLORI”, e ripensare a come potevo sentirmi in quei momenti.)
Il brivido più meraviglioso, più tenero, più commovente, più magico, mi è dato dal fatto che tu in questa immagine non stai semplicemente sorridendo a qualcuno. Perché quella foto l’avevo scattata io, dietro la mia Fujica c’ero io. E così quando io vengo qui, e ti saluto, e ti chiedo scusa, e sussurro una parolaccetta per le zanzare, e ti racconto qualcosa di me, e non dico preghiere, e bacio la punta delle mie dita con cui poi sfioro le guance del tuo viso, e ti dico Ciao senza mettermi a piangere, e prima di andarmene guardo ancora il tuo sorriso, so che tu stai davvero sorridendo A ME.

La fotografia originale