Vorrei essere capace di comportarmi come il tizio del video. Camminare incurante (o inculante?) di tutto e di tutti, travolgendoli al mio passaggio. Io sono sempre stato il tipo del ragazzo gentile: mi fermo, cedo il passo, mi faccio da parte, tengo aperte le porte, distribuisco sorrisi. Se sono in macchina, faccio di tutto per agevolare gli altri automobilisti, e mi fermo per lasciar attraversare sulle striscie anche gente che non ha ancora deciso di attraversare. Sulla ciclopedonabile, metto i piedi nell’erba pur di non intralciare un ciclista. Se cedo il passo a una persona, non è certo perché mi reputi di rango inferiore a lei, né perché qualcuno mi abbia inculcato quel comportamento quand’ero piccolo (bastiancontrario e ribelle come sono, avrei fatto l’opposto). E nemmeno perché io sia più “buono” della media degli altri esseri umani. Lo faccio, egoisticamente, per la splendida sensazione di sentirmi un Signore (e anche per sentirmi benvoluto e apprezzato dagli altri: ne ho bisogno come un bambino, e voi miei lettori lo sapete). Ma ci sono dei casi in cui vorrei tanto non esserlo. Gentildonne griffate che se ne vengono avanti in coppia affiancata, e pensano che il fatto di avere la vulva (neanche la Volvo, la vulva) debba far sentire te, maschiaccio, in dovere si scendere dal marciapiede per farle passare. E se per caso tu scendi (come sempre faccio io, rischiando anche di farmi arrotare…) non aspettarti di veder comparire un mezzo sorriso di ringraziamento sulle labbra serrate di quel grugno da stronza. Ecco, in quel caso bisognerebbe proprio esser capaci di belle spallate mooolto contundenti. Senza chiedere scusa, è ovvio: la simpaticona non lo merita. E poi quelle odiose famigliole a ventaglio (minimo sette componenti) che riescono a occupare con ottusa prepotenza l’intero marciapiede anche quando è più largo di un’autostrada a tre corsie: genitorozzi al telefono, nonna rincoglionita che mangia il gelato con le orecchie, un paio di passeggini, almeno due altri marmocchi più grandi a testa bassa sui nintendo. Sembra quasi che lo scopo della loro manovra a tenaglia sia di catturarti per poi cucinarti per cena, e allora immagini che da un momento all’altro uno di loro (probabilmente il cazzofamiglia) si metta a gridare “Sparviero!”, come in un vecchio gioco della mia infanzia. Qui le spallate non bastano: la situazione richiederebbe sapienti colpi di arti marziali particolarmente assassine (risparmiando magari, se proprio si vuol essere magnanimi, la nonna, e quelli più piccoli dentro i passeggini). Infine, se il marciapiede è stretto assai e su esso si affaccia la vetrina di una cazzo di boutique, immancabile sarà l’assembramento-bivacco di quattro o cinque carampane, che per studiarsi bene la vetrina impediranno per secoli il passaggio di chiunque. In quei casi sono sempre tentato di ripetere la battuta del grande Totò: “Cos’è, una dogana, un posto di blocco…?”, ma non lo faccio mai, perché di sicuro non capirebbero la citazione, e sconcertate mi darebbero del maleducato, loro a me, che sono tanto cavaliere. Insomma, la mia patologica gentilezza mi fa perdere mille occasioni di trattare certa marmaglia nel modo che merita. Non ce la farò mai, va troppo contro la mia natura. Ci sarà una cura?
Una storia calabrese (prima parte)
1 ora fa