"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

domenica 21 dicembre 2014

Corso ARRETRATO di tecniche narrative ammorbanti – prima puntanata (doppia), come cadeau natalizio.


WORDS (DON’T COME EASY?)

DUE CONSIGLI MOLTO RARI PER SCRITTORI STERCORARI


Siete scrittorotti scarsottelli e inesperti, e avete intenzione di farlo sapere a tutti? Non dovete far altro che acquisire (anziché sbattervene con orgoglio e accettare almeno di essere – già che ci siete – ingenuamente nuovi e istintivamente avulsi da certe cavolate stantie) le tecniche narrative più stucchevoli e obsolete (che di solito vengono pure insegnate a pagamento. Qui: gratis!)

1 Le sigarette.

Avendo poco da dire, e poca padronanza della scrittura, siete in grave difficoltà nel reperire particolari che riempiano la pagina? Non sapete come gestire i dialoghi fra i due imbecilli protagonisti principali della vostra ritrita storiella? Le sigarette! Le sigarette! Infarcite i dialoghi con “si accese una sigaretta”, “trasse una lunga boccata”, “emise un’ampia voluta di fumo”, “aspirò fumo dalla bocca e lo fece uscire dal naso”, “cominciò a fare cerchietti col fumo”, “scosse la cenere nel posacenere”, “si spense la sigaretta nel culo” (no, questo è sconsigliato), “si accese un’altra sigaretta”…
Attenti però a non perdere il conto e il controllo. I romanzetti da classifica italioti sono pieni zeppi di gente che si accende terze o quarte sigarette senza aver spento o gettato via le precedenti (o senza averci fatto nemmeno un tiro), e di pifferi del put che a pagina 128 “si godono avidamente la prima sigaretta della giornata”, quando a pagina 126 (stesso giorno) ne hanno già spipazzate otto (era un dialogo molto lungo e banalmente noioso, qualcosa bisognava pur fare per non correre a impiccarsi mentre la tizia parlava di borsette firmate).
Fateli sempre fumare anche a letto, ma non fate mai prendere fuoco alle lenzuola, altrimenti la storia finisce.
Nota curiosa: nella vita reale almeno un fumatore su cinque è il classico coglionazzo senza accendino, che di continuo chiede quelli degli altri e poi maleducatamente se li imbosca, per poi perdere pure quelli (filosofi e astrofisici dovrebbero indagare su dove diavolo finiscano tutta quella plastica e tutto quel gas liquido: ormai ce ne sarebbe abbastanza da creare un nuovo universo parallelo…) Nella romanzaglia fumereccia, invece, sono sempre tutti superprovvisti di accendino, nuovo e funzionante. Misteri della creatività non talentuosa.

2 I party (ovvero: le feste del cazzo).

Non sapete più che pesci pigliare? Cosa far fare ai protagonisti prima di decidervi allo snodo di prevedibile action finale, a quella stereotipata sarabanda che i meno intelligenti chiamano “botta di adrenalina” e ci si appassionano pure?
Eccovi pronto l’espediente che non delude mai (tranne forse i lettori più smaliziati e selettivi, che tanto però non vi leggono di certo, quindi che ve ne fotte?): una bella festa del cazzo!
Non importa che festa del cazzo sia – capodanno, la vigilia di natale in ditta, carnevale in una villa, una qualsiasi festicciola per ragazzotti scemi o ricevimento per rincoglioniti danarosi.
Grazie all’espediente festa del cazzo, potrete riempire almeno due pagine del cazzo con stucchevoli e inutili descrizioni di abbigliamento del cazzo! (Se poi la festa è in maschera, ne avrete di cagate con cui ammorbare il lettore!)
E poi, visto che tutti i party hanno una colonna sonora, potrete infilarvi le cuffiette dell’ipod e sfoderare una bella ritrita paginetta-playlist più o meno rockettara, visto che la nostra editoraglia non sarà mai sazia di romanzetti giovanilistici zeppi di mitologia musicocentrica e divismo strimpellatore (gli U2 come profeti, gli Stones come Dèi, i punk come nuovi messia, i rappers come rifondatori del cosmo a suon di rutti e peti).
Sarà inoltre un modo infallibile per far interagire facilmente le vostre varie marionette, che si ritroveranno tutte invitate a diverso titolo (o imbucate) a quel party della mia minchia.
Naturalmente, per non sembrare troppo idioti, dovrete prendere le dovute distanze, da questo materiale narrativo “festa”, maneggiandolo con distaccata e superiore ironia. Bisognerà che il vostro protagonista ben presto senta di annoiarsi, in mezzo a tutti quegli imbecilli! (Che sono uguali a lui, ma questo non scrivetelo). Come primo e originale antidoto alla noia (sua, non del povero lettore) gli farete tracannare alcol a dosi da elefante marino cirrotico (qui stendete pure un elenco di vini e di liquori ad libitum, ma senza rompere troppo i coglioni – alla cui frangibilità avete già attentato con la playlist). Salvo poi inserire l’immancabile coup de théatre del magico incontro con una fatal figona… (meglio se una già incontrata di striscio – con effetto bava – a pagina 12: le agnizioni figonesche coi lettori di bocca buona funzionano sempre!) Il protagonista (un po’ barcollante a causa della damigiana di martini e della botte di champagne) e la fatal figona se ne andranno via insieme alla chetichella ecc.ecc.

Felice Solstizio d’Inverno!

(e ricordate: Babbo Natale forse non esiste o forse sì, ma persone capaci di far diventare Scrittore chi non lo è tramite accesso al suo codice IBAN, sicuramente NO.)


venerdì 19 dicembre 2014

Eresia flash – NEOANALFABETA SARÀ TUA SORELLA

Stamattina è successa una cosa paradossale. Il mio ottantenne padre si è visto dare del neoanalfabeta nientemeno che (in prima pagina!) dal giornale che compra e legge quotidianamente da oltre mezzo secolo, alternandolo a riviste varie e alle decine di ottimi romanzi che si divora ogni anno. È un po’ come se il tuo cantante preferito ti dicesse che sei sordo nel bel mezzo del ritornello della canzone che stai ascoltando…
Secondo l’emerito estensore dell’articolo, approssimativo e superficiale portavoce della nuova arroganza tecnoglionita, è solo questione, ovviamente, di frequentare o non frequentare internet, considerato non un diverso mezzo o diverso luogo, ma nientemeno che un nuovo linguaggio, rivoluzionario ed “escludente” come il passaggio dal latino all’italiano. 
Voi che come me su internet bazzicate eccome, sapete benissimo che non è così: la cosiddetta navigazione non è preclusa a nessuno, ed è una semplice questione di averne o non averne voglia, curiosità, necessità o interesse. Io non sono più alfabetizzato di mio padre, così come non lo sono quei meravigliosi amici blogger più o meno della sua età che frequento, come non lo era quel suo splendido amico quasi novantenne che col computer si dilettava alla grande. A lui piaceva e interessava. A mio padre no. Punto.
Voi ed io lo sappiamo: ci sono migliaia di persone che “navigano” per scrivere cazzate sgrammaticate col (non) linguaggio sms, per twittare rutti e peti, e soprattutto ce ne sono milioni che sul web ci vanno per far circolare video cretini divulgati su uazzàpp come catene santantoniesche per imbecillotti, per sbavare sciacallescamente su filmati cruenti, o per scaricare canzoncelle gratis, di cui a malapena riescono a decifrare il titolo prima di selezionarle, o per chattare mentre si menano l’uccello. 
Mandrie di e-gnu che non leggeranno un libro (né tantomeno un ebook) campassero duecent’anni.
Voi ed io lo sappiamo: ma quale nuova lingua? Una volta entrati con un paio di clic, o peggio ancora di polpastrellate su uno schermo (alla portata di qualsiasi scimpanzé appena nato) l’alfabeto e la scrittura rimangono esattamente gli stessi. Non c’è bisogno di essere programmatori o laureati in ingegneria elettronica, come articolozzi di quel tipo indurrebbero a pensare. Una volta letta una cosa e cliccato su “commenta”, davanti a te avrai la stessa tastiera, con le stesse lettere, le stesse parole da comporre nella stessa vecchia lingua. Il punto è saperla usare, ma questo è tutt’altro discorso.
Ma forse i veri neoanalfabeti sono quelli che ancora diffondono, nei loro puerili temini letti da milioni di persone, e per cui vengono pure pagati, questi assurdi obsoleti cliché, forse legati a un web “sognato” vent’anni fa, che non ha nulla a che vedere col web concreto e reale. 
Un’altra assurda espressione-chiave, che rivela il disarmante livello dell’articolo, è “Analogici fuori tempo massimo”: conosco tante persone intelligenti, ma, fra esse, le tre o quattro in assoluto più intelligenti (gente che insegna alla Sorbona, per dire) sono concordi nel dire che vogliono ri-diventare (nei limiti del possibile) appunto analogici. Il digitale assoluto, idolatrato e acritico è con ogni evidenza una roba da poveri schiavi bovini.
Oggi non c’è nulla di più ragliante del tecnoglionitismo. Ma che questi ragli si trasformino pure in risate di superiorità e arroganza, è veramente il colmo. 
C’è un solo giusto messaggio in tutto quell’articolo: noi alfabetizzati siamo sempre di meno, e forse addirittura scompariremo. Ma la discriminante non è certo la connessione web. Anzi.
Forse sbaglio io a prendermela: in fondo, stringi stringi, era solo il solito vuoto polpettone statisticheggiante: peccènto di qui, peccènto di là, peccènto nel nord, peccènto nel sud… (addirittura ci si preoccupava per la bassa percentuale di connessioni dei bambini fra i 6 e i 10 anni! Roba da matti!) Comunque, se quel giornale avesse una dignità, pubblicherebbe pure articoli in senso contrario, come quel meraviglioso “Miss Appman si pappa il pensiero” (non ricordo l’autore… :D) che solo voi privilegiati avete potuto leggere su un certo blog, naturalmente gratis. E invece, pubblicano menate di questo tipo.
Che sia perché dietro c’è il solito “indotto”? L’altro giorno una gentile ragazzuola mi ha disturbato al telefono per propormi un “corso di computer” a pagamento… Ancora i corsi di computer!!!! Quando se a mio padre venisse la voglia potrei insegnare tutto io in due minuti, e gratis!!!!
Il babbo ha detto che continuerà a comprare quel giornale.
Però c’è rimasto maluccio.


domenica 14 dicembre 2014

Edgar Hilsenrath - BRONSKY RICORDA



Edgar Hilsenrath
Bronsky ricorda
Traduzione dal tedesco di Roberta Gado Wiener
Voto: 9+

Lo so, siete baciati dalla fortuna: avete avuto la buona sorte di nascere (o diventare) lettori esigenti e golosi, e quindi non vi interessano le biografie dei kuokuzzi superstar, i rutti dei teleguitti, il vuoto blabla dei giornalisti politici, le muffe eruditoidi dei baroni feudali, i risaputi temini degli scolari di Editoria Ideologica, né tantomeno gli ultimi romanzi dei cosiddetti “big” italioti, che magari differiscono dai penultimi solo per i nomi dei protagonisti o per la toponomastica stradale…
Ma siete anche schiaffeggiati dalla sfiga: perché una volta grattata via tutta quella roba illeggibile, non è che resti molto da regalare o regalarsi per le festività natalizie!
Ebbene, ho una buona notizia: uno “nuovo” l’ho scoperto. In dannatissimo ritardo. (L’editore italiano, nel risvolto di copertina, fa il ganassa dicendo che un’altra opera dello stesso autore è uscita “nel 1971 negli Stati Uniti ma solo nel 1977 in Germania”… dimenticando di aggiungere che invece questo capolavoro, che è del 1980, da noi non è arrivato che nel 2010 – forse perché del nostro essere degradata periferia mafiosella s’è ormai preso atto con rassegnazione?)
Non mi dilungherò, togliendovi il gusto della sorpresa. Inoltre, di un libro così faccio prima a dirvi che cosa NON mi sia piaciuto: non mi è piaciuto che dal titolo italiano insensatamente puritanello e scialbo (Bronsky ricorda) sia sparita per magia la prima parte di quello originale: Fuck America. Tutto il resto è musica, intelligenza, coraggio, energia, indignazione. 
Hilsenrath è divertente, spudorato, mai noioso, disperato, non ha peli sulla lingua, ed è politicamente scorrettissimo. [Eddài, Nick, quest’ultima affermazione è superflua: gli scrittori intelligenti sono SEMPRE politicamente scorrettissimi!] Per dare una vaga idea, è un misto di Donleavy, Hemon, Bukowski e John Fante, ma leggermente più incazzato. I suoi dialoghi sono essenziali e secchi, ridotti all’osso, ma alcuni sono fra i più esilaranti che abbia mai letto. Uno dei libri più graffianti di sempre. Non fatevelo mancare! Non fatemi incazzare!
Parola di Scriba.

p.s. Mi dicono che il vero, principale capolavoro dello stesso scrittore sia Il nazista e il barbiere. Be’, io non l’ho ancora letto, ma facendo 1+1 (il livello dell’autore più la genialità della trama che ho già adocchiato) mi sento di poter fare una cosa che non ho mai fatto: vi consiglio pure quello, a scatola chiusa!

martedì 9 dicembre 2014

Eresia flash: ci mangavano i videosciacalletti…

Una volta la più grande paura per un uomo era “morire solo”. Adesso bisogna solo augurarsi che non ci accada in pubblico, con gli Sciacalli Alfa che riprendono con la videocamera o il telefonuzzo escrementizio (rinunciando magari a soccorrerti!) e gli Sciacalletti Beta a gustarsi l’agonia su youtube, magari fingendo con se stessi di scambiarlo per un atto di “partecipata commozione”.
Poi dicono che l’umanità non sta buttando l’anima nel cesso…
A darmi più fastidio, in questi casi, è che quasi nessuno chiami mai le cose con il loro nome. Ricordo un bollettino sul traffico autostradale. Diceva: “Al chilometro 26, code in direzione est per incidente. Sempre al chilometro 26, code in direzione ovest per curiosi”. Curiosi?! Ci voleva così tanto a dire “stronzi”?

lunedì 8 dicembre 2014

In morte della capacità di giudizio nell’Era della Noia Digitale

GIOCATECI VOI

Nell’estate del 2008, dopo aver sentito vari marmocchi della fascia d’età fra i dodici e i cinquanta ripetere fino alla nausea che i nuovi giochini elettronici erano “uguali in tutto e per tutto alle partite di calcio vere”, e telecronistelli da quattro soldi urlare, in preda all’orgasmo e in senso elogiativo, che una certa azione di Barcellona-Real era “come la playstation” (non viceversa!!) mi decisi a comprare il primo joypad della mia vita.
In fondo, l’asserzione era quasi credibile: considerati gli anni luce tecnologici che ci separavano dai primi videogiochi, che per me erano stati anche gli unici (come il mitico Space Invaders di Tormod Tjaberg e Nicola Salmoria – questi almeno i nomi che apparivano sui monitor) c’era davvero la concreta possibilità che la nutrita schiera di bamboccini e bamboccioni adepti del moderno monodivertimento monomarca dicesse il vero.

Spesi dunque una non indifferente cifra per equipaggiarmi, poiché sapevo che un mio giovane amico del mare, da anni vicino di cortile estivo, possedeva la fatidica fonte di tutte le delizie digitali, ma, non so se per il fatto di appartenere a una famiglia avarognola o a una generazione di egotici totali, aveva soltanto il suo joypad personale, e gli sfidanti dovevano portarsi appresso il loro (cosa che peraltro per l’homo omologatus non costituiva un problema, visto che esserne sprovvisto comportava la squalifica, o per meglio dire la radiazione, sociale).

Non vi dico la delusione: la tanto lodata grafica dava l’idea che anziché nel 2008 ci trovassimo ancora nel 1982, davanti allo schermo dello Space Invaders, coi suoi verdi ripari friabili, provvisori, insicuri e ingannevoli (ma almeno lì nessun pirla veniva a dirti che sembrava davvero una battaglia spaziale!)

Altro che emozionante e realistico match di football: le possibilità di movimento erano schematicissime e ripetitive, e sia le combinazioni d’attacco che i gesti difensivi avevano un millesimo delle possibilità dinamiche e di variazione che mi sarei aspettato. Una cosa a dir poco ridicola, non di per sé stessa, ma in raffronto a quello che la mia totale e orgogliosa astinenza, unita agli elogi unanimi che mi ero per troppo tempo sorbito, mi aveva indotto pensare. 
In nessun modo, nemmeno per un millesimo di secondo, nemmeno ubriacandomi, avrei potuto pensare di trovarmi dentro una partita di calcio vera, anziché alle prese con una patetica e stilizzata simulazione, con una pacchianata sopravvalutata e pochissimo lontana da quelle delle sale giochi della mia tarda adolescenza. Erano arrivati a così tanto con la persuasione di massa, con l’indottrinamento tecnoglionito?

Sulle prime pensai che in parte potesse dipendere dal mio scarso livello, anche se in realtà con quell’agguerrito ragazzo avevo venduto cara la pelle, ed ero stato sconfitto di misura. Sia come sia, per meglio valutare la cosa, ben volentieri feci un passo indietro, e sollecitai una partita fra coetanei – lui e un altro dello stesso estivo cortile – per farmi un’idea definitiva e spassionata.

La delusione raddoppiò: il gioco fra loro si fece un po’ più intenso e leggermente più vario, ma restava farraginoso, discontinuo, macchinoso, ripetitivo: continuava a essere chiaro che si trattava di uno stupido giochino per computer, e non della tanto decantata “partita come quelle vere” di cui tutti si riempivano la bocca da anni.
Per non parlare della pena per i due ragazzetti (e quindi per il me stesso di poco prima) che potei provare osservandoli “da fuori”: i gesti compulsivi, frenetici ma sempre dello stesso tipo, più da scimmiette ammaestrate che da umani intelligenti, più da automi alla catena di montaggio che da uomini liberi intenti a Giocare, e la fissità degli occhi, gli sguardi ottusi e superconcentrati tipici dell’individuo mentalmente offeso che cerca di applicarsi a qualcosa e magari meccanicamente, tenta e ritenta, ci riesce, ma senza davvero capirla. Erano in procinto di iscriversi all’Università, ma sembravano più degli scimpanzé da esperimento, o gli ospiti di qualche penoso istituto. E soprattutto non davano l’idea di divertirsi. Ma neanche un po’.

Alla fine, regalai quell’inutile e insulso joypad al mio giovane amico avarognolo. Quello non sapeva più come ringraziarmi, sembrava impazzito di gioia. Non era in grado di capire che quella che a lui sembrava la più folle generosità del mondo, non era per me che un atto di pigrizia: avrei evitato di riavvolgere il cavo attorno a quel coso, di rimetterlo dentro una borsa, di riportarlo a casa a fine vacanza per farlo ammuffire in cantina, o di dovermi occupare dello smaltimento in discarica di quel costosissimo pezzo di plastica.

Poi, in spiaggia, giocammo a carte, a bocce, a racchettoni, a calciobalilla e a pingpong. E ci divertimmo come matti.


lunedì 1 dicembre 2014

ATALAYA DE LA VIDA HUMANA: Nicola Pezzoli candidato al Nobel

l'Accademia di Svezia mi attende? :)

“Atalaya”, in Spagnolo, è una parola bellissima che significa “torre di vedetta”. 
Persino da questa lontanissima torre Francesco Spinoglio, un italiano che per sua fortuna vive e scrive in Spagna, ha potuto accorgersi della bellezza di Quattro soli a motore. E senza che nessuno l’avesse indotto a farlo, pregato di farlo, prezzolato per farlo, ha deciso di omaggiare il Romanzo e il suo autore di una generosa e accorata recensione, che potete trovare QUI
Dalla sua torre di vedetta della vita umana, lo scrittore e lettore Spinoglio mi ha dedicato parole così esaltanti e preziose, così decisive per incoraggiarmi a rimandare il suicidio, e a proseguire il mio viaggio tra i flutti merdosi di un Mar Letamaio in tempesta, che per alcuni mesi ho avuto soggezione a renderla nota, preso da eccessivi scrupoli e pudori (il suo articolo è di agosto: solo a fine settembre mi sono deciso a riportarne una sintesi lassù, sotto la mia copertina gialla, e solo adesso mi decido a parlarne per esteso).
La recensione è in Spagnolo, e io vi invito a provare a intuirla così (in fondo non è un idioma difficile), perché i traduttori automatici la renderebbero, come sempre, incomprensibile e comica (vabbè, ora che l’ho detto è ovvio che vorrete anche divertirvi, ma prima, se vi interessa e avete tempo, leggetela in lingua originale!)
Per chi fosse di fretta, la sintetizzo: questa mente sconosciuta, libera e intelligente, è venuta a contatto col mio romanzo mentre si trovava in vacanza in Liguria, grazie al consiglio di un suo amico. Dopo la prima lettura, ne rimase talmente colpito e incantato da volerlo rileggere di nuovo, per esser sicuro di non essersi fatto influenzare dalle lodi tessutegli dall’altro. La seconda lettura ha confermato la prima: un capolavoro (“obra maestra”), e il miglior libro di uno scrittore italiano dai tempi di Pirandello. Francesco Spinoglio scrive ai suoi lettori spagnoli per dirgli che purtroppo gli sta parlando di un libro disponibile solo in Italiano, ma che, auspicando la possibilità che si facciano avanti traduttori e editori spagnoli, lui proprio non poteva, nel frattempo, esimersi dal condividere con loro questa sua entusiasmante scoperta. Dell’autore dice anche molte altre lusinghiere cose, concludendo con un (prematuro) auspicio di Nobel, ma almeno su queste io sorvolo, per timidezza.
Se c’è una sola, piccolissima mancanza che posso imputare al mio meraviglioso editore, è di non darsi abbastanza da fare (anche se so che è difficile, e poco remunerativo nell’immediato) per provare a far tradurre e pubblicare i suoi autori di maggiore talento in Spagnolo, Inglese, Francese, per aiutarli a spiccare il volo uscendo dall’angusta gabbia del mondiciattolo culturale italiota, dove torri di vedetta non ce ne sono, e se ci sono sono incustodite, e se sono custodite c’è un custode che usa un finto binocolo per guardarci dentro i filmini porno di sua zia.
Ma quello che volevo dire col presente post è solo questo: Grazie, Francesco! 

p.s.
Ne approfitto per annunciarvi, così, al volo, che sono di nuovo incinto. Corradino vi è piaciuto? Ve ne darò ancora!


martedì 25 novembre 2014

Colleghi con cui non berrei un caffè: Assaf Gavron

Voto: 4+

NEANCHE "FUOCHINO"

Come ho detto in un altro post, gli scrittori che scrivono male non sono una prerogativa solo italiana, anche se qui da noi siamo a livelli da record della vergogna. Vediamo un po' come scrive l'autore di questo tanto lodato romanzo israeliano, Idromania.
Si potrebbe definirlo un romanzo "scondito".
L'idea di base è stuzzicante, ma lo stile è ultrapiatto e sciapo come peggio non potrebbe. Niente ironia, niente vivacità né invenzione linguistica, niente intelligenza tragicomica, psicologia inesistente (il rimuginare interiore della protagonista è reso in modo pedante, dilettantesco, prevedibile), descrizioni senza mai nulla di lirico o di visionario, dialoghi banali da soap opera, un noioso accumulo di fantatecnologia per ricordarci che siamo nel 2067, ripetitività irritanti (ogni mezza pagina la protagonista chiama l'embrione che ha nell'utero "la fagiolina"), personaggi bidimensionali che fanno, dicono e pensano sempre le stesse cose (il protagonista è stato folgorato "dai fianchi" della protagonista, e quindi se hanno delle effusioni lui le "bacia i fianchi" oppure le "accarezza i fianchi" - ma l'effetto non è umoristico, è solo sfiancante.) Il tutto fa pensare a una frettolosa prima stesura. Insomma, come direbbe il vecchio Bukowski, non c'è sugo, non c'è gioco, non c'è fuoco. Ma per "passare" bastavano i 5 insulsi "wow" di pagina 21. (Poi non ce ne sono più: l'autore ne aveva comprato un pacchettino da 5?) Eppure questo Gavron in Israele risulta essere una superstar (è anche traduttore, ma soprattutto, pensate un po', è capitano della squadra di calcio degli scrittori israeliani e canta in un gruppo rock - forse è per questo che gli rimane poco tempo per rifinire come si dovrebbe i suoi romanzi?), e ha sette titoli all'attivo, "tradotti in numerose lingue e acclamati da pubblico e critica". Forse questo pubblico e questi critici che acclamano sono di bocca molto buona, o forse si sono presi una sbornia... d'acqua. Però che delusione! Se questi autori sanno ideare buone storie (perché questa lo è!!) ma poi le scribacchiano così, a livelli da quattordicenne discretamente talentuoso, perché non vanno direttamente da un produttore per ricavarne un dignitoso (tele)film? 
Non l'hanno capito che nel nostro secolo dalla Scrittura si pretende (SI DOVREBBE PRETENDERE!) molto di più?!
Concludendo: siete in cerca di un vero scrittore, e vi è cascato l'occhio su Idromania? Acqua, acqua...


mercoledì 19 novembre 2014

PERCHÉ STO SBARCANDO SUI SORCIAL [!!!!]

OPPERBOOK!!!!

Ebbene sì: ormai da qualche giorno sto arredando, con tutta calma, la mia stanzetta in uno di quei posti che mai avrei creduto di frequentare.
Continuo a pensare che fessobukko e compagnia non siano bellissime cose. Ma continuo anche a pensare che la troppa coerenza sia la virtù degli ottusi. Quindi non stupitevi e non biasimatemi (o almeno, non picchiatemi). In fondo sono uno dei tre o quattro scrittori italiani contemporanei, in un tempo e in un luogo in cui quelli della mia razza vengono soppiantati e sbeffeggiati da usurpatori scialbi e usurpatrici cocche di prof, in un trionfo cagnonporco orchestrato da giornali cinofili e suinofile tv, e ogni sistema per far leggere due copie in più dei miei romanzi sarà un servigio reso a persone a cui non viene riconosciuto nemmeno il diritto di venire a sapere che questi romanzi esistono, un gentile favore a un’umanità sempre più soffocata da cose brutte e banali, un prezioso aiuto per quei due nuovi lettori, che divertiti e commossi – lo so, ne sono sicuro, perché odio la falsa modestia – mi ringrazieranno. Perché se è vero che sono uno dei tre o quattro, è anche vero che certa bella gente della cul-tura ufficiale non mi nominerebbe neppure in una lista di quattromila, e allora (come dice sempre lo zio cieco di Corradino nel nuovo Romanzo che vedrà la luce nel 2015) era venuta l’ora di “farsi un po’ furbo”. Quante decine di scalzacani (in mezzo a pochissimi grandi autori, quasi tutti stranieri) si sono accalcate a bookcity? E a me che stavo a pochi chilometri non hanno fatto neanche un fischio (non che ci tenessi: lo sapete, per me uno scrittore è uno che se ne sta a casa a scrivere. Però fa incazzare). Bravi, grazie, continuate così. Per colpa vostra, mi darò perfino ai sorcial!
Anche perché, forse, potrebbero aver ragione quei miei amici che insistono sul fatto che pure fecebook, come tutte le cose, dipende da CHI lo usa e da COME lo usa (non mi metterò a sciorinare ogni mezz’ora foto di me che mi lavo i denti o faccio la cacca, tampinando la gente perché venga a vederle e a mendicare perché clicchino su “me gusta mucho”, come fertilizzante innaturale di un patetico ego tecnoglionito).
Però tranquilli, amici miei: continuerete a trovarmi soprattutto qui. Perché resto convinto che la differenza fra un blog e fessobukko sia la stessa che c’è fra un bar degli artisti e una discoteca del sabatosera. Ogni tanto quattro salti si possono anche fare. Ma parlare con voi in questo mio bar degli artisti rimane la cosa che apprezzo di più.

p.s.
Naturalmente accetterò al volo ogni vostra richiesta di amicizia. E mai come in questo caso si tratterà di Amicizia vera. Più o meno profonda, ma vera.

domenica 16 novembre 2014

9,99: la Bestia a testa in giù, o il Satana Sghimbescio

9,99

Qualche anno fa, in un bar di riviera, venni indispettito da una specie di amico, in realtà il boy (per fortuna) provvisorio di una mia amica, che sosteneva di non leggere libri perché i libri costavano scandalosamente cari. Costui era figlio di affermati professionisti. Ma non è che non leggesse perché era rozzo, superficiale e ignorante: non leggeva perché non se lo poteva permettere! E questo dopo essersi vantato di aver speso mucchi di biglietti da diecimila per ascoltare John Bakerozz stamburare su un tamburo, o per “pogare” mentre Jimmy Mjnkyalercia strimpellava la sua chitarra elettrica, amplificata male e distorta. Faceva parte di quella giovinaglia musicocentrica e rockdivistica convinta che la cultura sia una cosa “fatta” esclusivamente “dai tipi che sssuonano”, e che i massimi riverberi dell’intelligenza umana possano venire captati nei concerti bruciaerba (in ambo i sensi) a San Siro; di quelli che se nominano una recensione potete star certi che sarà la recensione di un cd. Niente di male, intendiamoci: basta dirlo. Basta ammetterlo. Invece questo non si fermava, scatenato nella sua filippica sul prezzo dei libri. A quel punto non ci vidi più. A quel punto, non avendo ancora pubblicato un fico secco, non fu per tirare la sua sciocca acqua al mio illuminato mulino che sollevando il mio drink gli dissi: “Senti bello: questa pisciazzata costa come un ottimo romanzo tascabile! Di cosa cazzo mi stai parlando? Se questa pisciazzata costa settemila lire, un ottimo romanzo dovrebbe costarne settecentomila!” 
Lo dissi a voce un po’ troppo alta, e il barman mi sentì. Si avvicinò minaccioso al nostro tavolo. Ma persino lui era venuto per darmi ragione: “Leggi qualche libro, fra una pisciazzata e l’altra!” disse a quel cavron, per poi ammiccare in mia direzione. 
“Portamene un’altra”, dissi sorridendo. “Con più ghiaccio e meno urina”.

Adesso, direttamente da quel Paradiso degli Scrocchi che sta diventando il web, è in arrivo la soluzione per quelli come lui: pare che con un modico abbonamento di 9,99 euro mensili si potrà leggere tutto quello che si vuole! Be’, non proprio tutto. Anzi, quasi nulla del meglio. In compenso: carriolate di titoli. Ma insomma, tanto ormai siamo nell’era della quantità. La qualità è così fuori moda… Lo slogan di questo Satana a testa in giù, di questa Bestia alla rovescia (il 9,99, prezzo antipatico e irrispettoso per eccellenza, non fa pensare  anche a voi a un 666 capovolto?) potrebbe benissimo essere: Ingozzatevi, scrocconi! Naturalmente (che ve lo dico a fare?) in formato elettronico e rigorosamente “in prestito”, la formula vantaggiosa del futuro (vantaggiosa non si è ancora capito per chi, ma io qualche sospetto l’avrei…)

Ora, qualcuno potrebbe obiettare, sia a quel mio pseudoamico che al mio discorso sugli Scrocchi, che se uno non può o non vuole spendere esistono pure, legittimamente e meritoriamente, le biblioteche, e che il 9,99, il Satana Sghimbescio, la Bestia a testa in giù, non svolge altro che una funzione di biblioteca moderna e non cartacea (volevo dire cartafobica, ma poi si aprirebbe un altro discorso che meriterebbe capitoli a parte). Già: peccato però che in biblioteca si possano trovare (gratis) tutti i più grandi scrittori, che invece in molti casi non hanno nessuna intenzione di concedere le loro opere a quelli del Satana Sghimbescio, considerati, a ragione o a torto, nemici dichiarati dell’ingegno creativo, della cultura intelligente e dell’arte narrativa. 
In compenso, per quei 9,99 al mese potrete scegliere fra milioni di altre proposte, fra cui ad esempio (butto lì) i porno caserecci con la punteggiatura sbagliata di Donna Spammer, la sterminata serie di Delitti del Maggiordomo Zoppo di Gianpiergaetano Cazzinculetti, non editati e con refusi anche in copertina, ma naturalmente anche tutti i bestsellers più dozzinali e stucchevoli.

Nell’abbonamento si dice saranno comprese magiche applicazioni interattive, come quella che spiegherà le “parole difficili” cliccandoci sopra. 
Le parole difficili, signora maestra! Evidentemente, questi del Satana Sghimbescio sono pure dei teneri ottimisti: credono che gli ignoranti si butteranno a capofitto nella lettura solo perché loro la offrono in modico abbonamento. E comunque, proprio questo sembra il target a cui pensano di rivolgersi: persone che vengono prese dal panico già vedendo la parola “rosa” in un titolo. Sono molto democratici, ‘sti tipi: loro accettano tutti, sia come scrittori sempre meno pagati che (soprattutto) come lettori paganti. Anche se mi viene da pensare che stiano sbagliando clamorosamente i calcoli: come possono credere che persone costrette a cliccare “sulle parole difficili” possano fare, di questi tempi, la fila per stipulare un abbonamento che gli permetta di saziarsi della VOGLIA DI LEGGERE? Quella è tutta gente che vorrà saziarsi di figa, o di costine alla griglia, o di scudetti della juve. Di concerti di John Bakerozz. O sbaglio?

Quella degli abbonamenti svalutanti, fateci caso, è in fin dei conti la strategia commerciale unificata del nostro povero mondo moderno. Prendi la telefonia. Una volta facevi tre telefonate alla settimana, che erano tutte indispensabili, o sentimentalmente importanti, o urgenti, o divertenti. Le pagavi salate, ma erano solo quelle e ci stavi dentro. Pagavi e rimanevi appagato. Poi vi hanno convinti che telefonare allungava la vita. E poi che la vita doveva diventare un vuoto passarsi a vicenda vuoti messaggetti con peti di allerta, e catene santantoniesche nonstop di stupidi video che dovrebbero far ridere, e così adesso le telefonate non le pagate nulla: siete solo schiavi di un modico abbonamento, eterno.
Sempre connessi con l’insulsaggine altrui, e sempre rintracciabili come un evaso con la cavigliera elettronica.

L’umoristica (o tragica) verità è che i modici abbonamenti non convengono proprio per niente, tanto meno (per quel che mi riguarda) nel caso dei libri. Se uno ci pensa bene, i nuovi romanzi degni di essere letti sono così pochi che vale ancora la pena di comprarli uno alla volta, possibilmente concreti e cartacei, e poi viverli, coccolarli, tenerli, AVERCELI, invece di pagare per riceverli astrattamente, fumosamente in prestito da lorsignori. E siccome si suppone che un buon lettore nemmeno troppo anziano abbia già nella sua libreria tutto il meglio del meglio (un po’ di classici e di pensatori e di poeti, e poi per la narrativa Auster, Amis, Bernhard, Bukowski, Cameron, Donleavy, Gary, Heim, Hemon, Houellebecq, Malamud, McCarthy, McCullers, Nabokov, Richler, Roth, Rulfo, Salinger, Saramago, Vargas Llosa, e quei due o tre italiani degni di essere letti) vien fuori che la spesa annuale per nuovi libri di alta qualità non sarebbe affatto molto più elevata di quella per il modico abbonamento che permette di scroccare-cazzeggiare nei gironi infernali dell’inutile e del superfluo. (Perché 9,99 su base annuale non fa 15, fa quasi 120…)

“Bisognava distruggere la Sfera e l’intero UBH 14 prima che fosse troppo tardi? Gli Scienziati vi avevano sparso il seme del proprio annientamento? Gli Ominidi Scimmieschi, e attraverso loro i prodotti della loro tecnologia, erano la Bestia Finale, il germoglio di morte, il Drago nascosto nel Verme di cui parlavano le antiche profezie? Chi si stava chiedendo tutto ciò, e, quel che più conta, se lo stava chiedendo in tempo o era ormai troppo tardi?
Chi stava raccontando queste cose finali e spaventose?
Ma soprattutto, esisteva ancora qualcuno in ascolto perché avesse un senso il raccontare?”
 (Nicola Pezzoli, Quattro soli a motore, pagina 261, NON disponibile in abbonamento.)



giovedì 13 novembre 2014

Eresia flash: il tanfo di una serata d'autunno


DEGUSTI PUS?

A volte ancora mi sforzo, vanamente, di cercare di capire come diavolo ragionino gli italioti quando valutano l’arte. Per una volta, per non sembrare fissato e paranoico, non parlerò del mio libro. Non parlerò proprio di libri. Parlerò di cinema. Ieri sera da un amico ho visto un film. S’intitolava Machete. Un fumettone in fin dei conti quasi godibile, se per due ore ti sforzi di tornare ragazzino. Un pulp action pieno di violenza, figa e buoni sentimenti per il popolino in platea, popolino aizzato nella parte iniziale dall’uccisione a sangue freddo di una ragazzotta incinta – mentre per far incazzare di più il protagonista gli hanno “solo” decapitato la moglie, così, per gradire. (“Toh! Ciapa!” diceva la mia povera nonna quando alla fine di un film western il cattivo moriva. Ma in questo pastrugno per gente di bocca buona di “Toh! Ciapa!” ce ne starebbe uno ogni venti secondi…) Applausi finali per una bellagnocca vendicatrice: un cattivo le aveva piantato un proiettile in un occhio, ma nei fumetti dietro l’occhio non c’è mica il cervello, quindi lei ricompare semplicemente con una bella benda nera, molto sexy, e un mitra in mano. Vabbè. 

La sera prima, invece, ho rivisto un film bellissimo. Ho potuto farlo perché possedevo un reperto archeologico: una cassetta vhs per fortuna non troppo smagnetizzata, perché di quel film, pur essendo abbastanza recente, non c’è ormai più traccia, nemmeno in dvd. S’intitolava Shadrach (Il profumo di un giorno d’estate era il titolo italiota, prolisso ma per una volta perdonabile, persino bello). Una deliziosa storia di formazione, agrodolce, struggente e divertente, ambientata nella bollente umida estate del 1935, protagonisti dei simpatici bambini, un vecchio negro di 99 anni tornato nei luoghi in cui nacque (da schiavo) per ritrovare l’innocenza dell’infanzia, morire e farsi seppellire dove vuole lui in barba a certe stupide leggi, una madre di sette figli sofficemente alcolizzata, un padre disoccupato (un bravuomo che odia Roosevelt, sacramenta a getto continuo e tira a campare distillando whisky) e sullo sfondo un'altra madre, quella del figlio unico di famiglia più agiata – l’io narrante della storia – che passa le notti a tossire e si prepara a morire di cancro. Un Harvey Keitel strepitoso, una bravissima Andie MacDowell. 
Ma perché ho iniziato questo mio pezzo dappoco parlando di come diavolo (diciamo pure come cazzo) ragionano gli italioti? Perché per curiosità sono andato a vedere i giudizi critici su un dizionario dei film che non sto nemmeno a nominare, dico solo che è considerato molto autorevole e prestigioso. 

Be’, non ci crederete, o forse, essendo come me italiani e rassegnati a esserlo, ci crederete fin troppo: il fumettone splatter aveva tre stelle e mezza. (Per me una e mezza sarebbe già troppo). Mentre all’altro meraviglioso film (quattro stelle come minimo, per me) ne venivano miseramente assegnate due, e quel che è peggio senza sprecarci sopra mezza riga di riassunto e di commento. I motivi? Probabilmente sociopolitici: il fumettone stava dalla parte degli immigrati (in quel caso messicani) mentre il film meraviglioso era una favola che non si “interrogava” abbastanza a fondo sulle ingiustizie del razzismo, del capitalismo e della schiavitù. 
Sì, va bene, d’accordo, ma il motivo per valutare due film soltanto in chiave boliddiga, attraverso queste ammuffite lenti della lotta di classe da sezione rionale di partito anni Settanta? 
Si chiama italiA. Il motivo si chiama, semplicemente e stupidamente, italiA. Scoraggiante. Davvero scoraggiante. 
Categorie interpretative in suppurazione (le stesse che oggi portano certa estrema veterosinistra a confondere oppressori e vittime, schierandosi col racket rom delle occupazioni abusive violente e contro i vecchietti sbattuti fuori dalle loro case). Dimenticavo: alla fine del fumetto, la granfiga (un’altra, con tutti e due gli occhi) se ne va via in moto abbarbicata al pene del protagonista (vecchio e brutascél, ma in compenso “mitico”) abbandonando accesa in mezzo alla strada la sua macchina: una macchina della polizia. Questo simbolismo grossolano dev’essere stato il colpo di grazia, deve averli mandati in brodo di giuggiole, i nostri critici rivoluzionari. Voto a questo tipo di critica: mezza stella. Voto a questo tipo di italiA: mezza stalla.


sabato 8 novembre 2014

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO AL RACCONTO DEL 2 NOVEMBRE, GIORNO DEI MORTI

VAN GOGH IN SOFFITTA

Autori dei libri più pubblicizzati sui nostri bei kuotidiani nelle ultime settimane (ottobre 2014): Antonella Clerici (presentatrice televisiva, il libro è di ricette), Dario Vergassola (cabarettista), Lilli Gruber (giornalista tv), Dino Zoff (ex calciatore), Margherita de Bac (giornalista, il libro è sull’anoressia), Tinto Brass (regista cinematografico), Roberto Vecchioni (cantante), Enzo Ferrari (!) (industriale dell’auto), Michel Platini (presidente dell’uefa), Tomas Milian (attore). Illuminante il titolo di quest’ultimo: Monnezza amore mio. Monnezza amore mio potrebbe diventare lo slogan ufficiale della nostra grande editoria, giustamente declassata alla Buchmesse di Francoforte.

E la pubblicità non è mai inefficace, specie in un paese di lettori che leggono poco, e di regalatori natalizi di libri che scelgono un libro con la stessa intelligenza e perizia con cui sceglierebbero un cesto di frutta: questi prodotti vengono pilotati, catapultati in classifica, grazie alla complicità quasi forzata dei librai, costretti a esporre cataste di questa roba, e a nascondere gioiellini come Quattro soli a motore nel miniespositore “editori emergenti”, credendo pure di farti, con questa forma di gentile ghettizzazione, un piacere. (Ho i numeri per stare con tutti gli altri alla lettera P, porca puttana, e non nell’espositorino a parte!) È un po’ come se in una galleria d’arte esponessero solo poster di valentinorossi sulla sua moto, e poi sottovoce, quasi vergognandosi ti dicessero: “Abbiamo anche un Van Gogh, da qualche parte in soffitta”. [Per non parlare di quei librai di sedicesima categoria che s’inventano che il tuo libro “è difficile da ordinare”, o che per averlo ci vogliono delle fantomatiche “spese supplementari”: tutta gente che quando fallirà non avrà le mie lacrime].

Ma questo elenco era solo una curiosità: non voglio prendermela con gli autori o i curatori di questo tipo di libri. Perché la verità vera è che quando poi passa a proporci i romanzi di quelli che ritiene “gli scrittori veri” (gli arraffapremi, i collezionisti – e scambisti – di recensioni, le superstar del catodo), la nostra grande editoraglia sa fare anche di molto, molto, molto peggio. Piuttosto che le scialbe pagine di certi fenomeni dello sbadiglio, più o meno raccomandati o politicizzati, meglio leggersi Dino Zoff: almeno lui, nel suo campo, aveva sfondato per merito, perché era più bravo degli altri.
E a me regalate pure un bel cesto di frutta, grazie.

domenica 2 novembre 2014

RAIZ! - Con chi ci tocca aver a che fare.



CON CHI ABBIAMO A CHE FARE

“Ragazzi, se avete delle idee andate via, qui non vi aiuta nessuno”.
(Giancarlo Giannini)


Longobardia, anno 2011. Avendo pronto il mio nuovo romanzo, che intitoleremo Il tacchino grosso di Amburgo, mi accingo al solito desolante (e dispendioso) giro di telefonate editoriali, per accordi e istruzioni sul possibile invio: in fondo adesso sono un autore con qualche buona recensione alle spalle, non un possibile mitomane sconosciuto, quindi mi pare giusto chiedere se esistano canali privilegiati, non nel senso di roba per raccomandati e altra simile italica merda, ma insomma un modo per esser presi in considerazione un po’ in fretta e letti per davvero da lorsignori, e soprattutto evitare spedizioni a vuoto. Dopo le prime due ore, non riesco a credere agli appunti scarabocchiati sull’agenda (e ai telesoldi che ho gettato al vento). Quelli di Edilogorroica Antiqua, dispiaciuti, mi dicono di aver scelto la via monotematica: da qui al 2087 pubblicheranno solo poesie del professoron Cateno Pompignoli, sovvenzionate dallo Stato. Le Edizioni Minonno mi propongono l’acquisto a rate di una linea di asciugamani prestige col marchio della casa, il famoso koala che si spara una sega, ricamato in fuffa da neonati birmani. Quelli di Umma Umma Bucche minacciano, qualora mi azzardassi a rompere i coglioni un’altra volta, di mandare un killer ad ammazzarmi il gatto. 

Altri responsi in breve. Edispurghi Puzzagranda accetta solo plichi di fogli vergati a mano, con sigillo in ceralacca e spediti tramite diligenza a quattro o sei cavalli. Da Tipografie Lo Turco non risponde nessuno. Cabral y Cavron: suona sempre occupato. Dagli uffici di Somaritudine, uno stronzo con la voce talmente sgradevole che si sente pure l’alito cattivo mi chiede se posso essere così gentile da spedire direttamente al macero, così saltano un passaggio. Sia Rutti & Peti che Ndringhéte Ndranghéte che Babbuin’Emmàmmete si sono specializzati in ebook con linguaggio sms. Quelli di Pettardi e Raudi m’informano che tacchini non ne vogliono, perché sono diventati vegetariani e pubblicano solo ricette vegane scritte male. Da Merdanti Nel Tempio, una voce registrata col culo invitava a chiamare un numero a pagamento con prefisso del Peloponneso. Da Te Possino Edità, invece, mi dicono che stampano solo sfumature vaginali, commerciali e banali, per lettori anali. “Lei ha la vagina?” “Un attimo che controllo… Nnno, mi pare di no”. “Allora crepi”.

Quelli di Nuova Arroganza & La Sorca Assorciati dovevano essere in overdose di siero della verità: “Lei è un cabarettista, un giornalistozzo, un cuocibietole, un deejay, una moglie d’arte, un rampollo d’industria, un coglionazzo famoso? Lei conosce qualche politico? Lei lecca con buona costanza le egorroidi a qualcuno che conta?”
“No, no, no!”
“E quindi che cazzo vuole?”
“Ma sono un bravo scrittore!”
“E allora vadi a pubblicare in Canadà! Qui non c’è posto, per lei.”

Ho deciso: se mai dovessi fondare una casa editrice di qualità, la chiamerò Zo.Fran. Come abbreviazione di Zona Franca. Ma anche in riferimento al famoso potentissimo antivomito.

Verso fine mattinata, dopo essermi sentito dire dall’impiegata dalla voce infeltrita di un editore che chiameremo Polpottini Red (sede legale in Cambogia) che loro non vogliono più gli si spedisca un bel cazzo nientoloso di niente (me lo segno: neanch’io, giuro, leggerò mai più niente di scagazzato da loro), provo con una casa editrice mediogrande, che chiameremo Gallinard, Gentilini & Burin. Risponde una voce strozzata di donna. Esala solo uno stanco “Burin?”, immagino per economizzare sul fiato. Ora, io sarei, per quanto semifallito e muorteffame, uno scrittore, e lei sarebbe una segretaria. Dovrebbe cioè essere una pagata per star lì a lavorare anche al servizio di quelli come me. Non dico debba mettersi in ginocchio a implorare un autografo (sì, in effetti a ripensarci dovrebbe, visto che in italiA siamo rimasti in tre o quattro), ma dal momento che io sono cortese e gentile con lei, mi aspetterei a mia volta lo stesso: un minimo di attenzione e di garbata sollecitudine. La tipa invece, udibilmente infastidita dalla mia intrusione, mi sbiascica in fretta e furia un recapito mail, “raiz chiocciola qualcosa”, dopodiché fa per riattaccarmi il telefono sul muso. Con buona prontezza di spirito (e immutata pacata gentilezza, è un mio difetto, lo so) riesco però a bloccarla, e, tanto per essere preciso e sicuro dell’indirizzo, che mi suona invero strano, accenno a un minimo di spelling: “Dunque, raiz: Roma Alessandria Imperia Zuri…” Mannò, mi corregge seccata la tipa, come se stesse parlando a un bambino ritardato, è “rights”, ovviamente, rights chiocciola qualcosa… 
Già, stupidone e ignorantone io a non afferrare subito che il recapito di posta elettronica di un editore italiano che pubblica (pubblicherebbe) Narrativa italiana non possa che ovviamente essere una paroletta angloide, e per di più dal bieco suono legal-commerciale: “rights”, mica “books” o “words” o “writers” o “novels”… Però non capisco perché non sia andata fino in fondo: di solito i saputelli da quattro soldi che vogliono metterti in difficoltà non dicono “chiocciola”, dicono “at”.
Be’, sia come sia, malgrado il solo pensiero di com’ero stato trattato mi desse un senso di schifo e di nausea, e soprattutto l’indirizzo rights chiocciola qualcosa mi ripugnasse assai e non promettesse niente di buono, il mio nuovo capolavoro Il tacchino grosso di Amburgo glielo mandai, a quelli di Gallinard, Gentilini & Burin, anche se non lo meritavano nemmeno un po’.
Ovviamente non ho mai ricevuto risposta.

Ma per fortuna gli Dèi della Scrittura esistono, e pochi mesi dopo mi faranno incontrare un piccolo grande Editore, che chiameremo Nueva Sangria do Castel. Un Editore come pensavo esistessero solo in America, Inghilterra e Francia. Un Editore così coraggioso e intelligente da non badare al nome, alle parentele o alle tessere politiche, ma solo al Talento di chi scrive. Il tacchino grosso di Amburgo verrà alla fine pubblicato col titolo Solo quattro in motoretta. E si rivelerà una delizia per tanti buoni lettori dal palato fino.


martedì 28 ottobre 2014

Raccontino improvvisato e molto breve

Lo chiameremo Amore

Al tavolo vicino al nostro al ristorante girottolavano questi bambini che stranamente guarda caso si chiamavano tutti quanti Amore. Cioè Amore doveva proprio essere il nome di battesimo, altrimenti quelle cretine istericissime delle loro mamme vestite da pornodive non gli avrebbero detto tutte quelle incoerenti cose tipo Amore vaffanculo se non stai fermo ti spacco la faccia oppure Amore ti sfascio la testa oppure Amore come ti ho fatto ti disfo oppure Amore adesso hai veramente rotto il cazzo oppure Amore dimmerda ti ho detto vieni qui e siediti oppure Amore pezzo di cretino non metterti a cagare sulle scarpe della nonna, oppure Vuoi piantarla di scassare i coglioni o devo scannarti, Amore? 

Allora poi c’erano tutti questi simpaticissimi frugoli che io per distinguerli gli ho assegnato arbitrariamente chiedo scusa dei numeri, frugoletti che sciamavano verso i tavoli altrui per non disturbare a quello loro, c’era Amore 1 vestito da superman con due macchinine in mano che andava a farle correre a trecento all’ora sui tavoli altrui urlando Bruuuum Bruuuuum Bruuuuuuum rovesciando bicchieri e sputando tantissimo nelle pastasciutte, e la mamma siccome finalmente lui rompeva il cazzo ad altri invece che a lei aveva smesso di essere isterica, e calmissima si accendeva una sigaretta al carciofo dicendo al massimo, No, dài, Amore no, guarda che sennò ti sgrido, e poi si metteva a parlare di kuoki televisivi e di vacanze ollinclùsiv coi suoi commensali lobotomizzati; c’era Amore 2 vestito da pirla tutto firmato con gli occhiali giganteschi da sole (era una sera buia) che picchiava e sfregava posate una contro l’altra (uno stridore che mi offende le terminazioni nervose peggio del gesso nuovo sulla lavagna, è come se quelle maledette posate me le sfregassero sulle otturazioni dei denti) e urlava slogan da stadio tipo Uccidete questi bastardi nelle orecchie di chiunque tranne che della madre e dei commensali della madre, ragion per cui la sua mammina non più isterica si accendeva una sigaretta elettronica alla camelia dicendo al massimo, No, dài, Amore no, guarda che sennò ti sgrido, e poi si metteva a parlare di kuoki televisivi e di vacanze ollinclùsiv coi suoi commensali lobotomizzati; c’era Amore 3 armato di ipad da cui fuoriuscivano a tutto volume rumoracci insostenibili, doveva avere meno di tre anni e già interagiva fastidiosamente con quel coso, meno bravo invece a interagire col controllo del suo pistolino, ché pure da quello fuoriuscivano cose abbastanza disturbanti: non ci crederete ma Amore 3 ci ha pisciato sotto il tavolo, e non due gocce, una pozzanghera, e la mammina invece di asciugare e di chiedere scusa si è premurata di fotografarla per inondare le amiche fessobukke…

Tornato a casa mi sono iscritto a un nuovo sito per giocare a poker online. Dovevo scegliermi un nickname. Chissà perché mi è venuto da scegliere Erode. Ma Erode il sistema non l’accettava. Perché l’aveva già un altro. Dovevi aggiungerci un numero. C’era proprio la fila. Erode 2 già preso. Erode 3 già preso. Erode 4 già preso. Ho dovuto ripiegare su Erode 7628.
Pensare che una volta i bambini ci facevano tenerezza.


venerdì 24 ottobre 2014

Eresia flash – Asfalto, cemento e figli per la patriA

LA PILLOLA INCATRAMATA

E così è in arrivo, a colpi di Fiducia (che triste destino, anche per questa bella Parola) la purga miracolosa che rimetterà in movimento il Prodotto Interno Lurido italioso. Il nome del farmaco? “Sbloccaitalia” secondo i politici e i giornalisti, “Asfaltaitalia” o “Cementificaitalia” secondo minoranze illuminate e ambientaliste. Le betoniere sono già in movimento, il motore di appalti e tangenti ben oliato e pronto a rombare. Saremo tutti più poveri e più schiavi in un paese più brutto, coi prezzi più alti, le case più tartassate, i ticket più cari, l’istruzione più scadente, la cultura più sclerotizzata, il dissesto idrogeologico più pericoloso, le industrie più inquinanti, la tecnologia più invasiva ma meno efficiente, la criminalità libera di fare impunemente quel che gli pare (perché l’ergastolo – con vacanze premio – è da brutti cattivoni, mentre ammazzare la gente è poco più che un erroruccio di percorso, una svista). E avanti con più spinta all’inflazione, più morti sul lavhorror, più genuflessioni filoputiniane, più erosione banditesca dei piccoli risparmi, più servitù verso una kiesa fintomoderna che ancora ci impedisce di avere una legge sul Testamento Biologico, agli sgoccioli del 2014. Però ci sarà la Krescita! E i soldi che ci porterà (“ci” per modo di dire) verranno reinvestiti in un bel demagogico "bonus bebè" di stampo clericofascista, per portare il nostro contributo-ordigno alla bomba atomica demografica, le nostre metastasi alla proliferazione del carcinhomo pantegan. E se non basterà questo, ci pensarà la sòla dello ius soli, a farci diventare 120 milioni su un territorio che dovrebbe contenerne 10-12… (e già sarebbero troppi: in Svezia, che è MOLTO più grande dell’Italia, stavano da dio quando erano 8 milioni, cioè fino all’altroieri). Nel 1750 eravamo meno di UN miliardo, e già così eravamo capaci solo di fare guerre di merda: adesso la guerra la facciamo direttamente al Pianeta, a colpi di uccello. Far nascere un figlio qui?! Io se avessi una compagna incinta la convincerei a partorire in Islanda o in Finlandia, ammesso che islandesi e finlandesi siano così fessi da concedere pure loro la cittadinanza per nascita, e ammesso che sia giusto andargli a rompere i maroni… 
E questo sarebbe il geniale mago acclamato dalle masse. Quello che doveva prendere 100 dalla rottamazione dei privilegi, e invece ha preso 0,1 da lì e 99,9 dai soliti noti. E bravo lo Sceriffo di Renzingham. Era meglio tenerci Monti. Almeno non faceva finta di essere di sinistra. E forse il male minore sarebbe farsi commissariare dai tedeschi, altro che Piave, governo ladro.

domenica 19 ottobre 2014

BUKOWSKI MON AMOUR



"... e ha un suo seguito e tutto il gruppo scrive allo stesso modo, perdendo di vista l'obiettivo - LA VITA - e aggiungendo storia morta su altra storia morta, giochi schifosi su altri giochi schifosi, bugie schifose su altre bugie schifose... altri sbadigli e merda di cane morto sulla povera anima già in frantumi.
E poi arrivano i soliti zucconi che fanno parte della cerchia esterna e che vogliono entrarvi, e intanto quelli della cerchia interna imbrogliano tutti, fino a quando avremo una poesia morta dello zuccone che come sempre parlerà del nulla, nulla, NULLA..."

"Le riviste maggiori e minori adesso sono tutte allo stesso livello - tutte pubblicano schifezze. Il loro obiettivo principale è farsi pubblicità e arraffare soldi e potere, in qualsiasi dannato modo. Il culo dell'asino ha finalmente raggiunto la bocca dell'asino, che si ciba della propria merda."

"Quando un uomo lavora per anni alla stessa occupazione il suo tempo diventa quello di un altro uomo. Voglio dire, anche con una giornata di otto ore, quella giornata è persa. Sommate il tempo del viaggio per e dal lavoro, il lavoro vero e proprio, il tempo per mangiare, dormire, fare il bagno, comprare vestiti, automobili, gomme, batterie, pagare le tasse, scopare, ricevere amici, ammalarsi, gli incidenti, l'insonnia, preoccuparsi per la lavanderia e i ladri... non resta NEANCHE UN PO' DI TEMPO per se stessi."

"E per cosa, cazzo? E addirittura ci sono settimane di cinque giorni e mezzo, di sei giorni lavorativi, e alla domenica ci si aspetta che uno vada in chiesa o che visiti i parenti, o entrambe le cose. La persona che ha detto "L'uomo medio vive una vita di quieta disperazione" ha detto una cosa parzialmente vera. Ma il lavoro calma anche gli individui, gli dà qualcosa da fare. E impedisce a molti di pensare. Gli uomini - e le donne - non amano pensare. Per loro il lavoro è il rifugio perfetto. Gli viene insegnato cosa fare e come farlo e quando farlo. Il 98 per cento degli americani sopra i ventun anni lavora, morti viventi. Il mio corpo e il mio cervello mi dissero che entro tre mesi sarei stato uno di loro. Mi sono ribellato.
Avevo una macchina da scrivere e nessun mestiere. Decisi di scrivere un romanzo."

"Cominciarono ad arrivare altri scrittori, a bussare alla porta, portando con sé le loro confezioni da sei di birra. Io non andavo mai da loro, però loro arrivavano lo stesso. Bevvi e parlai con loro, ma mi davano molto poco e arrivavano sempre al momento sbagliato... I cattivi scrittori sono inclini a parlare di letteratura; quelli bravi parlano di tutto fuorché di quello. Arrivavano pochissimi bravi scrittori."

"Questo è ciò che guasta il poeta: il trattamento speciale o la sua idea di essere speciale. Naturalmente io sono speciale, ma non credo che questo valga per molti altri..."

"Will Rogers era solito dire: 'Non ho mai incontrato un uomo che non mi sia piaciuto'. Io dico che devo ancora incontrare un uomo di cui possa dire mi è piaciuto veramente. Will Rogers ha accumulato una fortuna; io morirò squattrinato. Ma a me piace pensare: tutti moriamo squattrinati, se non distrutti.
In fondo, scrivere è la mia unica possibilità, e anche se mi mettono sulla graticola non mi considererò un santo. Crederò soltanto che era l'unica possibilità. Si tratta solo di fare quello che si vuole: neanche un uomo su mille fa quello che vuole. La mia sconfitta sarà la mia vittoria. Io sono tutto ciò che potrei essere in questo momento. E adesso 'fanculo a questo discorso sullo scrivere. Questo è per gli scribacchini. Mi sono lasciato coinvolgere solo per farvi piacere. Lasciate perdere. Piuttosto, chi vincerà la quarta corsa a Turf Paradise mercoledì pomeriggio?"


"Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai.
Quelli persi, andati, spiritati, fottuti.
Quelli con l'anima in fiamme."



domenica 12 ottobre 2014

L'UNICA NOTIZIA CHE TUTTE LE COMPRENDE

HAI LETTO…

Spossato, disorientato e incazzato, e con lo stomaco malmesso, arrivi alla fine della lettura dei giornali con l’impressione (oltre che di esserti fatto inutilmente del male) di aver letto sempre la stessa notizia. Ma ancora non riesci a capire quale, non metti a fuoco, non trovi i collegamenti. La notizia è la stessa, ma il suo modo di manifestarsi multiforme. Sembrano così tante e così diverse… Trovare il denominatore comune è una sfida al tempo stesso da enigmisti, filosofi e scienziati. Ma la soluzione è lì, fra quelle pagine, a portata di mano. Hai letto che a Genova un’altra persona è morta perché i denari stanziati per certi lavori urgenti erano bloccati dalla burocrazia (ne hai cercato notizie anche su un portale web, ma si è sovrapposta la pubblicità di una banca). Hai letto che adesso i terroristi figli di troia sono diventati un esercito che conquista regioni e distrugge città, e che in nome delle solite imbecilli fanfaluche religioidi decapita innocenti mettendo poi le teste in mano ai bambini. Hai letto che in Russia il signor Putin (festeggiato dai suoi lecchini per il suo compleanno) ha riportato i cittadini alla condizione di servi della gleba, hai letto, sempre a proposito di servitù e lavhorror, che presto quegli stessi braccialetti elettronici che non è possibile (chissà perché) usare per neutralizzare i più accaniti e pericolosi criminali bastardi verranno invece tranquillamente usati su vasta scala per controllare le prestazioni degli schiavi. Hai letto che l’Illuminismo, unica speranza di eguaglianza e civiltà, è morto. Hai letto che a Pechino, dove il lavhorror guarda caso c’è, e pure tanto, l’aria è così avvelenata dallo smog che non si può più uscire di casa. Ma, sulle stesse pagine, anzi, sulle primissime degli stessi giornali, hai letto i soliti ragli dell’ekonomia e della politika in favore della krescita indiscriminata e suicida e dell’urgente creazione massiccia di nuovo lavhorror, lavhorror, sempre e soltanto lavhorror: l’incubo della Mobilitazione Totale profetizzato dai pensatori tedeschi. Hai letto, proprio accanto ai disastri di ogni genere provocati dalla sovrappopolazione, che secondo il pretume (compreso lui, il dolce grande capo dei preti così amato dalle folle) fare figli è nientemeno che un DOVERE. Hai letto di città che tartassano i loro cittadini senza nemmeno sapergli dire gli importi (che si arrangino, o paghino un commercialista) ma che permettono poi a racket di schifosi parcheggiatori abusivi di tartassarli ulteriormente quando vanno, non certo per divertirsi, all’ospedale o al cimitero, e che si limitano a denunciare a piede libero chi le case, con la prepotenza, le occupa gratis (forti coi deboli e deboli coi forti, da noi è sempre stato il primo comandamento). Hai letto i pezzi di giornalistozzi che nel descrivere il delirio compulsivo di poveracci che passano mezza vita attaccati a un telefonuzzo (per la gioia dei magnaccia tecnologici) si sentono in dovere (in diritto?) di usare l’antipatico pronome collettivizzante “noi”. Noi chi? Hai letto dei soliti terzomondisti sensodicolpisti secondo cui, se c’è gente che fa quaranta figli dove non c’è acqua da bere, noi che nell’acqua nostro malgrado si marcisce e si annega dobbiamo metterci a risparmiarla anche nel farci il bidé, o nel non farcelo più (e nel frattempo prepararci ad “accogliere” tutti quei campioni e le loro donne incinte, facendo da traghettatori ai desperados, chiedendogli pure scusa perché esistiamo e ci troviamo qui, a farci travolgere dai torrenti a Genova mentre i loro quaranta figli soffrono la sete). Hai letto di gente distrutta e nevrotizzata, perché oltre a passare nove decimi di vita fra lavhorror e tragitti per andare al lavhorror, strada facendo deve pure venire bombardata dalla stronza e rumorosa pubblicità mentre aspetta convogli ritardatari e costosissimi alle varie stazioni. Hai letto della giusta e ovvia decisione della Fiera del Libro di Francoforte di declassare l’editoria italiota dedicandole il posticino piccino che merita, cedendo quello più grande ai Francesi che lo strameritano, e hai letto che la reazione italiota non è stata di farsi un esamino di coscienza, bensì di offendersi e protestare a gran voce. Hai letto di giovinaglia putrida che sevizia i più deboli bofonchiando poi come scusa le risapute parolette “noia” e “scherzo”, così che poi l’altra abusata paroletta “perdono” possa soppiantare la sacrosanta parola “Galera”. Hai letto di imbrattacarte che, siccome una vittima su mille dell’odioso bullismo era, casualmente, sovrappeso, ne approfittano per vangarci i maroni con trattati sulla “lipofobia” (!!??). Hai notato (solo tu?) che dopo ogni sanguinoso fatto di cronaca nera compare sempre l’espressione “noto pregiudicato…” Hai letto che dopo i prevedibili casini scoppiati nella partita fra Real Fiat (o come diavolo si chiama) e Roma, un’associazione di consumatori pretende il rimborso di chi ha perduto le scommesse, fingendo di non sapere che uno scommettitore avveduto deve saper tenere conto anche delle designazioni arbitrali (il migliore, quello che ha diretto la finale dei Mondiali, era stato stranamente dirottato su Empoli-Palermo…) Hai letto che il nuovo Nobel per la Letteratura ha dichiarato di aver letto un solo romanzo di Philip Roth, “da molto giovane”, e che non ricorda bene, però “gli aveva fatto un certo effetto per via dello humor”. Hai letto che il nipponico genialoide che aveva teorizzato “la fine della Storia”, invece di trascorrere il resto della vita muto e imbavagliato è rispuntato fuori per annunciare che “la Storia è ricominciata”. Hai letto di un feto anencefalico a cui i genitori hanno realizzato “tutti i potenziali desideri”, di stampo più o meno grossolanamente turistico, mentre stava nell’utero, e che dopo il parto ha vissuto meno di quattro ore, durante le quali è stato “molto amato” e molto battezzato (chissà se pure questo era un suo desiderio) e ricoperto di doni. Hai letto che i genitori ne hanno ricavato la solita tonnellata di foto con cui hanno inondato la solita pagina fessobukka, visitata dalle solite centinaia di migliaia di persone, e che tutto questo viene chiamato Amore, anziché perversione o esibizionismo (o propaganda antiabortista).
Arrivato alla fine, una lampadina si accende. Hai capito (e in fondo era spaventosamente facile) quale diavolo è la notizia unica, quella che potrebbe venir scritta in modo sintetico e ripetitivo, come un mantra, annullandole e comprendendole tutte: l’uomo è un animale molto stupido, l’uomo è un animale molto stupido, l’uomo è un animale molto stupido, l’uomo è un animale molto stupido, l’uomo è un animale molto stupido…

lunedì 6 ottobre 2014

Stroncatura del film "Pearl Harbor" ripescata da un mio vecchio romanzino inedito, uno dei tanti.



Quando s’innamorano le persone diventano strane, un po’ matte. 
È capitato a tutti. Ma a Dennis questo non bastava. Non si accontentava, di ammattire. Perché accontentarti di diventare matto, quando puoi diventare anche scemo? Lui, diventava uno scemo. Pensate che anni dopo, innamorato (e anche qui, prima incoraggiato e poi respinto) di una cameriera di nome Rosemary, l’infatuazione l’avrebbe conciato talmente scemo da arrivare a farsi piacere un filmozzo (che andò a vedere da solo, ma sognando di essere lì con lei) intitolato Pearl Harbor!
Avete presente quel colossale film di guerra sceneggiato da Liala, massì, quello col bombardiere dislessico, Ben Affliktu, che vive per bombardare, e se non potesse bombardare si suiciderebbe, si lascerebbe morire d’inedia, si bombarderebbe i coglioni, e nonostante ciò, alla decisiva e inappellabile visita di abilitazione bombardiera rischia di mandare tutto a puttane perché, pur di farsi siringare dalla Figa Perfetta, non esita a farsi rifare la stessa iniezione già fatta, e poi sviene?
Avete presente?
Quel film che guardandolo, soprattutto la prima ora, ti chiedi se il regista non sia per caso tedesco e filonazista. Nel senso che vedi questi giovani americanozzi così odiosi, spocchiosi, vuoti di cervello, così già pronti per le discoteche nasciture, così Cretinagers Duemila con sessant’anni d’anticipo, che ti aspetti di veder comparire qualche telefonino, qualche pasticca di ecstasy, qualche raccapricciante sms, e d’improvviso ti viene quasi da tifare per gli altri, ti viene da tifare per i giapponesi.
Scusami, Liala, ma quando bombardano, i giapponesi?
Poi, finalmente, i giapponesi bombardano. 
E cazzo, se bombardano. 
Sulla ricostruzione del bombardamento, niente da dire. 
Se non che forse, con tutti quei miliardi, si poteva finanziare una milionata di giovani registi muniti di oneste e originali idee.
Figurarsi.
Ma coraggio, ci aspettano altre delizie:
il bombardiere dislessico, quando dalla vecchia Europa scrive alla Figa Perfetta, d’improvviso diventa Petrarca (però banale, pausinizzato diciamo); in compenso, nel rispondergli, la Figa Perfetta è Leopardi con la parrucca e la cipria (e la figa). 
Poi il Dato Per Morto, cioè sempre lui, Ben Affliktu, ritorna dopo mesi e per prima cosa le dice: “Come sei bella!”, così, come uno che ricomparendo dal nulla facesse: “Cucù!”
E che altro poteva mai dire. S’eran veduti per mezza giornata! S’erano scritti coi testi della Pausini! Erano due perfetti sconosciuti. E imbecilli. Due perfetti imbecilli sconosciuti.
Alla fine, prevedibile al millimetro la sceneggiatura di Liala. 
Ben Affliktu farà da padre al figlio dell’amico, John Consolanza, cui naturalmente tocca di morire davvero (cioè, in linguaggio più tecnico, levarsi dai coglioni narrativi), dopo aver salvato il Dato Per Morto per riscattarsi dall’avergli consolato seminalmente la Figa Perfetta quando lui, per l’appunto, risultava un po’ morto…
Ebbene, Dennis sarà così ubriaco d’amore per Rosemary, che quest’offesa all’intelligenza umana e all’arte cinematografica se la farà quasi piacere!

giovedì 2 ottobre 2014

Due Nick-eresie al prezzo di una

FRA POCO CI TASSANO ANCHE IL GAS DI SCARICO ANALE…
Gustose news umoristiche. Alla puntuale e prevista notizia del solito aumento autunnale del gas (avviene tutti gli anni, Russia o non Russia, Ucraina o non Ucraina, balle o mica balle), dopo che come sempre era invece simpaticamente diminuito durante il periodo estivo, le agenzie di stampa ci tengono ad aggiungere che comunque “L’Autorità ricorda che nel 2014 il risparmio sul gas sarà di 84 euro”. 84 di risparmio per chi? Per la famiglia di Taormina che, beata lei, usa il metano solo per accendere i fornelli? Qui nel gelido nord ci andremo in rovina, col riscaldamento invernale, che è una necessità vitale ma si continua a far pagare come un lusso (e non è certo su questa ingiustizia che mi aspetto migliorie dallo Sceriffo di Renzingham, anzi…) E così molti ci danno dentro con la legna, mille volte più inquinante (per non parlare dei disboscamenti selvaggi). 
E se fra uno starnuto e un reumatismo qualche pensionato in bolletta per le bollette osa protestare, perché si sente preso per il culo, si becca pure del leghista… 

PRONTO, CHI PIRLA?
Il telefonuzzo alla mela verde numero 6, comprato da milioni di persone (e quindi anche da molti di coloro che frignano miseria e maledicono la Germania cattivona), sarà di sicuro, questo non lo discuto, portentosamente superiore al modello 5. Così come il telefonuzzo 7 (già pianificato se non addirittura già pronto e furbinamente congelato) sarà, dopodomani, portentosamente superiore a questo (non oso pensare alle megatonnellate di scorie tossiche di roba ancora perfettamente funzionante che creeranno discariche più voluminose dell’intera catena alpina: questo non è consumismo, questo è suicidio ecologico). Dicono che dal numero 8 sgorgherà pure il succo di frutta. Alla mela, s’intende. A me però sono bastate quelle foto coi dipendenti telefonuzzistici in uniforme schierati ad appaludire i primi acquirenti (neanche avessero vinto una guerra stellare, un concorso per cervelloni, un premio per grandi artisti) a certificare in modo irreversibile e definitivo il passaggio dell’uomo nell’Era della Non Intelligenza. Io quella roba non la compro, ma anche se l’avessi comprata e per assurdo fossi stato fra i primi, non sarei riuscito a non fermarmi per dirgli: cazzo ti applaudi, soldatino ammaestrato e telecomandato? Mi stai prendendo in giro? O credi di avermi arruolato in una setta di indottrinati, solo perché ho comprato a caro prezzo un coso che mi serviva o credevo mi servisse? Nello stipendio te l’hanno almeno calcolata, l’indennità-dignità (perduta)? Lo stesso vale per i cacanotizie, e i loro noiosissimi articoli tutti uguali e banalmente enfatici (e mai minimamente critici, ci mancherebbe!) sulla ”telefonuzzo mania”.

Ed è quindi per favorire e incrementare deliri consumoidi come questo (e poi l’inflazione, e poi lo sfacelo totale) che lo Sceriffo di Renzingham sta partorendo la bella pensata di sbattere il TFR in busta paga!

Una cosa curiosa del telefonuzzismo, poi, è che per anni si è identificato, e giustamente, il progresso con la miniaturizzazione. Adesso invece si impongono (in via molto provvisoria) alle masse patacconi sempre più grandi. Perché si vuole che in treno guardino tv e video musicali, o uazzàppino con maggiore libidine e intensità e soddisfazione cromatica, invece di leggere libri, o di pensare. Poi, nel giro di un quarto d’ora più o meno, le stesse web-cazzate si potranno ragliare con un paio di occhialetti, o tramite un microchip impiantato sottopelle o direttamente nel buco del culo, e quelli che andranno ancora in giro col pataccone verranno compatiti come poveracci fuorimoda, come i possessori dei primi telefonuzzi che se ne andavano ancora in giro con quei simil-walkietalkie di quattro chili e con mezzo metro d’antenna, quando i modelli nuovi erano poco più ingombranti di un accendino. Ma per il momento, ancora per una dozzina di minuti (lasciamogli il tempo di passare alla cassa), applausi. Anzi, APP lausi. Non dimenticarti di scaricare l’app dell’auto-standing-ovation per la gratificazione del tuo ego! 
Solo l’ennesima app cretina il cui brufoloso inventore diventerà milionario alla faccia vostra.

lunedì 29 settembre 2014

Dieci buoni motivi per NON leggere "Quattro soli a motore"


Oggi sono ospite del simpatico blog libri.tempoxme.it., dove sono stato sfidato a un gioco stimolante: elencare dei validi motivi per NON leggere il mio romanzo. Per chi fosse interessato e avesse tempo, questo è il pulsante da premere per il teletrasporto.

martedì 16 settembre 2014

Eresia flash – chi sale e chi scende: come sempre una questione di punti di vista.


1

Quando, agli albori della tv commerciale, il Famoso Presentatore cominciò a piazzare il banchetto di vendita prosciutto nel bel mezzo dei suoi quiz, per il telespettatore italiota medio ciò significava che il prosciutto saliva al livello del Famoso Presentatore, e poi correva a comprarlo. Per me invece significava che il Famoso Presentatore scendeva al livello di un prosciutto, rinunciando a orgoglio e onore, e smisi per sempre di guardarlo. Ma naturalmente non ero io il bersaglio del dardo prosciuttato, e nemmeno voi 25 che mi leggete. Gli intelligenti, per il mondo, sono solo un effimero incidente di percorso. Abbiamo mille incresciosi difetti, ma uno li sovrasta tutti, e vale la nostra scomunica: siamo antieconomici.
(Leggo che alcuni sorcial si preparano a chiedere ai loro sorcini "il feedback della pubblicità"! Ma ce lo metteranno il bottone del VAFFA, o si dà ormai per scontato che la pubblicità faccia piacere a tutti?)

2

Adesso che l'unico modo di porgere notizie di tanti giornalistozzi televisivi sembra diventato mostrare stupide schermate di futili discussioni su twitter o robetta simile, sempre più spesso nella schermata si notano patetici intrusi che si intrufolano, e senza nemmeno far finta di partecipare al dibattito si limitano a scrivere "seguitemi, ricambio". Motivi per cui dovrei seguirti, e per cui tu dovresti seguire me? Non specificati. Non indispensabili. Ininfluenti. Conta solo fare numero. Ragliare in compagnia. Condividere foto di gente che si lava i denti o fa la cacca.
Siamo all'accattonaggio dell'attenzione. Alla grande svendita della dignità. All'amicizia in saldo a colpi di mipiace. A me non piace neanche un po'.
Magazzini del cervello. Grande liquidazione per fine attività. Sconti del 70%.
Presto l'unico modo di essere "in" sarà Non Esserci.



lunedì 25 agosto 2014

INKAZZO SPORADIKO VINTAGE n°2 - L'OMINO DI MERDA, diarroic version remix (una merdàfora italiosa?)


C’era una volta di merda un omino di merda, totalmente composto di merda: aveva gli occhi di merda, le orecchie di merda, la bocca di merda, insomma era tutto una merda.
L’omino di merda aveva pensieri di merda, mangiava cibo a base di merda, beveva bevande ricavate dalla merda e cagava una merda molto simile alla merda.
L’omino di merda aveva anche un raffreddore di merda, dovuto a emorroidi asmatiche, e passava le sue giornate di merda a soffiare la merda del suo naso di merda con merdosissimi fazzoletti di merda, del tipo smerda e getta.
Questo escrementizio omino di merda abitava in una casa di merda in un paesucolo di merda attraversato da un fiumiciattolo di merda, però non inquinato, alle pendici di merda di Monte Merdoso.
Era proprio una vita di merda.
Un giorno di merda, l’omino di merda andò dal merdaiolo a comprare un po’ di merda, perché aveva paura di restare senza (che testa di merda); poi fece una scappata di merda dal merdivendolo, per vedere se era arrivata la merda che aveva ordinato; quindi si recò dall’aggiustamerda, per sapere se era pronta la merda che gli aveva portato da riparare. L’aggiustamerda gli disse di avere pazienza: si trattava di un lavoro di merda, che richiedeva qualche altra merdata di giorni.
Poco dopo l’omino di merda entrò in un bar di merda per fare uno spuntino di merda, e qui fece un incontro di merda: era quella faccia di merda del suo amico di merda, che naturalmente gli diede un consiglio di merda: 
«Che cera di merda che hai! Prenditi un giorno di merda di vacanza di merda, e fatti un bel giro di merda per conoscere questo mondo di merda».
«Merda!» esclamò l’omino di merda, «ma lo sai che è proprio un’ideona di quelle di supermerda?».
Allora l’omino di merda infilò i suoi piedi di merda nelle sue scarpe di merda, e si mise in cammino su una strada di merda che andava in un posto di merda.
Camminando attraverso distese di merda, l’omino di merda ammirava paesaggi di merda, e ogni tanto incontrava qualche pezzo di merda, che però non lo cagava.
A un certo punto di merda, porca merda, temette di essersi perso. Chiese informazioni di merda a un certo Cambronne, che lo seppe subito indirizzare per benino.
La merda susseguiva alla merda, per poi lasciare il posto ad altra merda.
Stanco di tutta questa merda (era ora) l’omino di merda prese la decisione di merda di concedersi una sosta di merda, e si addormentò in un merdaio.
E fece un sogno di merda.
Sognò di essere un omino di merda, tutto fatto di merda, circonda-to da null’altro che altra merda…
E questa è la fine di merda della storia di merda dell’omino di merda, che è stata scritta con inchiostro di merda, e con la sola merdosissima intenzione di lasciarvi… di cacca.

lunedì 11 agosto 2014

Eresia flash – Chi ha orecchie attenda: prima o poi ridistribuiranno anche i cervelli.

Giordano Bruno
sia Lode agli Eretici e agli Spiriti Liberi

È stata di recente rispolverata una vecchia polemica fra lo Scrittore Martin Amis e colui che un bravo cabarettista di Drive In chiamava “Quello Con Le Orecchie”, al secolo il principecarlo. 
Martin Amis, essendo intelligente e quindi amante della libertà d’espressione, difendeva il (non eccelso) collega Salman Rushdie dai caproni integralisti che volevano scannarlo per colpa di un libro che non avevano neanche letto. 
Quello Con Le Orecchie rispondeva con scempiaggini viscide e stantie del tipo “Chi offende le più profonde convinzioni altrui eccetera eccetera blablabla”.
Sarà bene ribadirlo con forza (anche perché dalle nostre parti non lo dice mai nessuno): non è logicamente possibile “l’offesa delle convinzioni”, così come non esistono lo stupro delle sensazioni, il sequestro delle emozioni o l’usucapione delle paure.
Le “convinzioni” non possono essere offese. Anzi, quasi sempre sono le “convinzioni” a rappresentare un’offesa. Per l’intelligenza.

Che poi non si capisce questa discriminazione di convinzioni, sempre in favore di quelle dei più numerosi, permalosi, prepotenti, violenti, stronzi. Delle due l’una: o le convinzioni sono tutte soggettive e criticabili, oppure sono tutte lecite. Compresa la mia convinzione che le tue convinzioni siano troglodite e cretine.