"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

lunedì 28 dicembre 2020

Qualche racconto in ordine sparso da "L'impozzibile dottor Pezz": MINI EDEN

Era un dio molto minore, non aveva nemmeno il permesso di portare la d maiuscola e nel club degli dèi lo facevano entrare ma di malavoglia e mai di giovedì, e al club subiva spesso atti di bullismo e scherzi da prete. Ma volle cimentarsi anche lui nella creazione del suo mini Eden in piena regola. Il giardino era di quattro metri per sei (di cui due terzi proibiti), e molto ben recintato. L’uomo e la donna creati per viverci dentro si chiamavano Andamo e Indóva. Era proibitissima anche una piantina di pomodorini, abbastanza striminzita, che agonizzava proprio in mezzo all’orto. Va bene, non si chiamava orto. Volevo vedere se stavate attenti. In mezzo a quella roba lì. In mezzo al mini Eden, contenti? In linea di massima stava in mezzo alle balle. Già c’è poco spazio per passare. Se poi la piantina di pomodorini me la cacci proprio lì. Con quella rete di protezione di fildiferro verdescuro bassa e stortignaccola tuttintorno, che mio zio la faceva meglio…


Indova continuava a caramellare la minchia di Andamo per convincerlo a cogliere qualche pomodorino e farci una salsina o peggio. 

Perché non te li cogli tu?

Perché sono una donna. Io rompo i coglioni, tu cogli.

Vabbè, se la metti così.

Così e pomì. Zitto a cogli. Mutismo e rassegnazione. Ràus!

Fammi almeno finire il libro.

Non ci sono libri, lo sai. ‘Sto qui vuol creare direttamente uazzàpp e il 5G, così da rincoglioniti ci controlla meglio, e ci localizza col gps quando vuole fulminarci. Ma ci sarebbero poi sempre da raccogliere quei pomodorini…

Andamo provò a nascondersi, a fingersi un pinguino morto e a cambiare aria, ma non c’era verso, ogni due secondi s’incontravano.

Com’è piccolo il mondo!

Allora, ‘sti pomodorini?

Alla fine lui si ruppe e colse. Che male vuoi che ci sia? Questo dio molto minore sembra avere una mente ristretta, ma non sarà così tignoso! E poi è svagato. Nemmeno se ne accorgerà.


“Porcoqui porcolà!” disse il dio molto minore tre minuti dopo. “Le mie piantine di pomodorini!”

Te pareva.

Non si dice porcolà lo redarguì Andamo.

E non si esagera coi diminutivi! lo redarguì Indova (facendogli balenare l’idea di creare l’editor, questa figura indispensabile che redarguisce gli scrittori, idea che per fortuna accantonò in un cantone).

Avete finito di redarguire, stronzi? Non l’ho nemmeno ancora creato, il verbo redarguire! I miei pomodorini, Cristo!

E quest’altro chi è? si domandò Andamo.

Non si dice porcoqui lo redarguì Indova. E non si inseriscono nuovi personaggi a tradimento, che poi bisogna gestirli!

Dico quel cazzo che mi pare. I miei pomodorini! Bastardi!

Facevano cagare, spiegò Indova. Se lo sapevo mica ci perdevo tutto quel tempo a pelarli e a togliere i semini. Se avessi la gentilezza di levare la piantina e metterci una pozzanghera, potrei fare un poco di acquagym per mantenermi in forma.

“Te tu troia ti cresceranno le unghie, e te tu te le dovrai tagliare con molto dolore, e con forbicine che non ho ancora creato e se non mi viene il buzzo di crearle col cazzo che le trovi all’esselunga!” minacciò il dio molto minore. “E quanto a te, mammalucco, ti verranno sette o otto malattie invalidanti che sto giusto per creare e creperai d’infarto per la preoccupazione, ma prima farai pure il servizio militare obbligatorio, tiè”.

Non vale, protestò Andamo, a lei di meno!

Di meno un cazzo, rispose il dio molto minore, sai quanto soffre una donna se non trova le forbicine? Quasi quanto un dio molto minore se gl’inculano i pomodorini. E se mi gira non creo neppure la limetta e gli smalti colorati.

Allora okkkèèi disse Andamo.


Poi inciampò e morì. 

Ma non prima di aver generato Mastino.

Che ammazzò Ebetino.

Che nel frattempo aveva generato (al volo e per un pelo) Pino.

Che generò Pasquale.

(Come facciano non si sa: magari si scopano i pomodorini femmina, che ne so). 

Pasquale generò Natale detto Natalino.

Natale detto Natalino generò Carne Vale. 

Carne Vale generò Ferro Augusto (ecco perché tutte quelle noiosissime feste).

Ferro Augusto generò Katerpillar. 

Katerpillar generò Quater Pirla.


Intanto il dio molto minore aleggiava, imperversava, metteva alla prova.


“Pasquale! Prendi il tuo unigenito Natalino, sgozzalo per bene, scuoialo e cucinalo!”

“Vaffanculo”.

Per esempio.


“Giobbe! No, lasciamo perdere.”


“Mario!”

“Non c’è”.


Creò la sinapsi, l’episteme e la maieutica (senza offesa).

Non capiva cosa cavolo fossero.

Le discreò.

Non facciamo figure.

Non creiamo cagate per fare il di più.

Che poi al club se ne accorgono e ce la menano.


Porco Giuda!

Veramente… mi chiamo Timmy, disse con timidezza risoluta il porcello.

Ah sì? Allora, per punizione…

Punizione de che?

Lo sai benissimo.

Guarda che io non li ho toccati, i pomodorini del cazzo.

Fa niente, stai punito lo stesso.

Perché?

Perché mi stai antipatico.

Ah, ecco

Per punizione sarai così idiota da farti una loffia casa di paglia, e allora il lupo…

La so già la storia, la so, disse il suino rassegnato e depresso, a grugno basso.

Come, la sai.

È così anche in tutti gli altri mondi. Voi dèi non avete fantasia. Uffa.


Ma senti un po’, piuttosto… mi hai per caso fatto a tua immagine e somiglianza?

Cooooosa?!

No, dico, senza offesa, mi pare che un po’ ci somigliamo, alla lontana.

Questa cosa non mi piace. La chiamerò “bestemmia”. E adesso che mi hai fatto incazzare creo il wurstel. Tiè.


La situazioncina sfuggì al suo controllo.

I Quater Pirla in men che non si tromba diventarono una decina di miliardi. 

Ci avevan preso gusto.

Il piccolo Eden minacciava di esplodere.

E non era più mica tanto Eden.

Se mai lo era stato.

La gente puzzava, si accalcava, si calpestava, si convertiva a religioni sempre più strane, volavano calcioni e manrovesci e la minaccia del cannibalismo si faceva prepotente. Inventarono anche i motori diesel, tanto per rompere il cazzo.

Il dio molto minore non sapeva più che fare. Per tenerli buoni creò il lavoro a maglia e il bricolage. Ma tutti quei ferri aguzzi e quei martelli venivano spesso usati per altri scopi.

La creatività sfuggì al suo controllo.

Venne creata la Sampdoria. Le cozze gratinate. I telequiz. Lo spritz. Il lardo vegano (Timmy esultò, altri un po’ meno). Il tubo di cartone per avvolgerci la carta igienica.


Promemoria: adesso toccherà pure creare questa cazzo di carta igienica. Cosa diavolo sarà?


Vennero fondate associazioni a perdita d’occhio.

Una si chiamava Nessuno Tocchi Mastino.

Troppo tardi: il dio molto minore l’aveva già accoppato a calci nel culo.

(Ogni tanto una giusta la combinava anche lui).


Il dio molto minore diventò vieppiù dispettoso:

le serpi velenose

le zanzare

la tartaruga puzzona (subito estinta per autoasfissia)

le merduse

la juventus

le emorroidi

il gesto delle virgolette

di maio

le cimici puzzolenti

i monopattini elettrici

il politically correct

la rana saltafuoco (subito estinta per abbrustolimento)

la canzoncina happy birthday fuck you

fiumi di imbecilli a non finire (implacabili, inestinguibili)

e certe teste di cazzo che mollami


Il piccolo Eden brulicava.

Non ci stava più uno spillo.

La concentrazione e lo sforzo, le venuzze fisiche e metafisiche sul punto di scoppiare.

Bosoni imbufaliti.

Ci fu un Big Bang della mutua, ma spaventoso lo stesso.


Una gran puzza.


Tutto in vacca.


Gli altri dèi gli revocarono il patentino.


© Nicola Pezzoli 2020


domenica 6 dicembre 2020

FAVOLOSA RECE-PEZZ SU POSTODIBLOGGO

«la malinconia intrisa di sarcasmo feroce, l'intelligenza acuta, superiore, la visionarietà assoluta, uno stare avanti quello strato di lava che ci ingloba e ci ingarbuglia mente e movimenti, mentre Nicola, un passo oltre, funamboleggia con le parole e i concetti servendoci le nostre ridicolaggini su pagine meravigliose».

Perdonate la mia vanità, ma essendomi a più riprese imbattuto, soprattutto su Fb, in persone stronzettine e invidiose che mi accusavano (preferibilmente alle spalle) di lodarmi da solo, be', quando a farlo è un Lettore esigente, appassionato e accanito come, in questo caso, Franco Battaglia, non riesco proprio a trattenermi. Fa parte di quella mia immaturità di ragazzino che non posso (non voglio?) scrollarmi di dosso.

E poi, anche se è stato postato ieri, non posso non considerarlo un regalo di San Nicola, che è oggi.

Per rispetto dell'autore di questa meravigliosa recensione, per eventuali commenti vi rimando al suo blog. 

Questo è il link per il teletrasporto.


martedì 1 dicembre 2020

Qualche racconto in ordine sparso da "L'impozzibile dottor Pezz": L'ISPETTORE PETAGNA SUL LUOGO DEL DELITTO

Se il sole non era satana ci mancava poco, e se tecnicamente non era un deserto era per via della strada asfaltata male che ci passava in mezzo per biechi motivi di appalto, subappalto, Pil eccetera.

Carrellata su questa fetenzia di paesaggio incatramato e sabbioso.

Una fetenzia più piccola in mezzo alla strada.

Ma non poi così piccola.

Avviciniamo la macchina da presa, curiosi e sciacalli che non siamo altro.


Arrivò una Panda a sirena spiegata, ma spenta. (Spiegare gliel’avevano spiegato, come accendere la sirena, ma quelli non avevano capito bene. Nel corso di vari tentativi, l’equipaggio aveva comunque dato su al lunotto termico e ai retronebbia).

Scesero il sergente Imberante e l’agente Ignocille.

Chi li aveva chiamati?

Io no.

Si poteva sperare in qualcuno messo un po’ meglio?

No. E basta domande cretine.


Gli avanzi di un uomo giacevano sull’asfalto crivellati di colpi.

Parecchie sventagliate di mitra lo avevano raggiunto. 

Il cadavere doveva essere stato un omaccione, in giorni migliori. Adesso era quella roba lì sull’asfalto.

Anche l’asfalto era crivellato di buche, ma per altre ragioni.

Appalti disonesti (già detto?), incuria, intemperie, sole cocente, sfiga, catrame mescolato con farina scaduta ed escrementi di topo. Vatti a fidare.


Quando giunse sul posto l’ispettore Petagna (con la Punto di sua zia) erano già presenti in loco l’agente Imberante e il sergente Ignocille. [Già detto. E poi “sul posto” e “in loco” te li potevi risparmiare].

La zia di Petagna aveva tolto la targhetta “Punto” e ci aveva messo “Jeep 4x4”. Ma chi se ne frega.

C’erano anche dei suricati curiosi, ritti sulle zampine posteriori per curiosare meglio. Almeno, essendo suricati, non giravano video coi telefonini (“Troppo intelligenti per farlo” avrebbe detto un Konrad Lorenz).

Da dove minchia erano spuntati?

Boh. Erano lì.

Era un luogo desolato e deserto (già detto?). Si vedevano solo cadaveri sforacchiati (uno cadavero: pluralis sforacchiatis), imberanti, ignocilli, suricati, petagne, terra bruciata, quel cazzo di sole cocente. Probabilmente la terra l’aveva bruciata lui, il sole cocente, ma piano con le supposizioni, ci vogliono le prove. 

(Esperienza poliziesca, forma mentis forgiata da mille e mille e mille indagini. Tutte a vuoto).

L’ispettore Petagna appoggiò sul cruscotto il disco orario dopo averlo regolato con cura. Così, per abitudine. Poi scese dalla macchina, e prese ad aggirarsi pensieroso attorno al cadavere sforacchiato di colpi. Era ridotto a una vera fetenzia, un colabrodo infamato dalle mosche.

La Panda della pula aveva ancora il retronebbia destro acceso. L’altro non funzionava. L’ispettore Petagna si domandò se non fosse il caso di elevare contravvenzione. Decise per il momento di soprassedere.


Devono avergli sparato, proruppe a un tratto Ignocille.

(Lo chiamavano Il Perspicace).

Non formuliamo ipotesi azzardate, cazzo!, lo redarguì l’ispettore Petagna.

Domando perdonanza ispettore.

A volte Ignocille, detto Il Perspicace, parlava come il Catarella dei telefilm di Montalbano. Era un suo grande fan e lo aveva eletto a modello, non arrivando a capire che di esagerata macchietta grottesca si trattava.

Aveva comprato anche il poster.

Non era stato capace di appenderlo.


L’ispettore pensava.

L’ispettore mollò una scorreggia.

Salute!, disse Imberante.

Sto pensando!, lo redarguì Petagna.

Domando scusa, ispettore.


Quel cazzo di sole era sempre cocente. Cadavere e mosche non se ne andavano, sembravano intenzionati a rimanere lì per sempre. Una vera seccatura.

I suricati esitavano.

L’ispettore Petagna scorreggiò.

Nessuno disse beh.

Imberante! Chiami e faccia venire il coroner!

Chi?

L’autopsista.

Quale autostoppista.

Insomma cazzo il segaossa!

Ah, De Cabasisis. È in ferie.

Il sostituto, allora.

È mmalatu.

Imberante, sto per incazzarmi: convoca il vice del sostituto segaossa.

Non c’è nessun vice.

Chiama la scientifica.

Stanno in sciopero.

Gesù Cristo.

Cu jè, chillo novo?


Communque!, esclamò senza un vero motivo Petagna (a volte lo fanno).

Poi tacque.

Magari era catafero moribondo e l’hanno abbattuto per pietà, ruppe il silenzio Ignocille.

Proviamo a vedere se ha dei documenti, ruppe i coglioni Imberante.

Silenzio! Coglioni! Le prendo io le decisioni!

Petagna solfeggiò un petino, malriuscito. Si profilava il rischio, vago eppur concreto, di cagarsi addosso. La ben nota minaccia chiamata “scorreggia vestita”.

Ignocille, lo perquisisca!

Le mosche non gradirono. Ignocille forse meno.

C’era un po’ di puzza, tutt’attorno.

Ma un cicinìn.

Sul documento la foto di un cinghiale malrasato.

Il documento diceva: 

Rocco Vito Carmelo Santuzzo Mammasantissima.

Turista finlandese non è, osservò Imberante.

Spiritoso, scorreggiò Petagna.

L’aria si faceva pesante.

Il documento diceva: Nato a: fatevi i cazzi vostri. Cittadinanza: nippo-venezuelana. Residenza: ignota. Segni particolari: pericoloso, vendicativo e fetente. E un tatuaggio a forma di pene eretto sul cuore.


E se ci fosse di mezzo la mafia?, azzardò Imberante.

Non suggerire!, s’impermalì Petagna.


[Intarsio narrativo. (Leggetelo solo se non vi rompe troppo il cazzo leggere gli intarsi narrativi).

Il sergente Imberante si riteneva pronto a prendere il posto dell’ispettore Petagna quando l’ispettore Petagna avrebbe preso il posto del commissario Lompertegato, che avrebbe preso il posto del sostituto proculatone Lo Ripido, che avrebbe preso il posto del questore Crisantemu, che avrebbe preso il posto del sindaco Loffredo La Loffa, che avrebbe preso il posto del presidente provinciale Mantecato Coppolino Coppola, che avrebbe preso il posto del presidente regionale Rossi (uno con un nome normale ogni tanto ci vuole), che avrebbe preso il posto del sottosegretario l’onorevole Cranioleso, che avrebbe preso il posto della ministronza senza patente dei trasporti Mercedes Benzi, che avrebbe preso il posto del Presidente del Consiglio Sorensen Puddu.

Al nord li chiamano “scarligamenti verso l’alto”.

Ma qui non siamo al nord.

Il sergente Imberante era fiero di aver dato un valido contributo alle indagini sulla ragazza “serviziata, accisa e detestata” (così era scritto nel raporto – c’era scritto anche così, “raporto”) il cui cadavere appunto senza testa era stato rinvenuto nei pressi di una discarica ovviamente abusiva. Il sergente Imberante aveva infatti brillantemente suggerito di andare per prima cosa a controllare l’elenco dei serviziatori tagliatori di teste della zona. L’elenco, come qualsiasi pirla può ben immaginare, era vuoto.

Il suo valido contributo non era servito a un bel niente, ma insomma lui l’aveva dato, era convinto di aver almeno contribuito a far scartare un’ipotesi (cosa sempre molto apprezzata), e che i superiori ne avrebbero tenuto conto per fargli fare carriera.

Sì, probabilmente ne avrebbero tenuto conto. Quasi quanto avrebbero tenuto conto della raccomandazione dello zio stravescovo di Montelupo.]


Guardiamo se ci sono testimoni di testimonianza, azzardò Ignocille.

Sì, i testimoni!, s’entusiasmò Imberante.

Petagna scorreggiò.

Avete guardato se ci sono testimoni?


C’era un pastore sui novantanni che stava controllando il culo di una pecora.

Avete veduto qualcosa, signor pastore?

Pastore lo dici a tua sorella.

Va bene, cancelliamo pastore dal verbale.

Il non-pastore di novantanni controllava il culo della pecora con visibile e aumentevole ansia.

Avete veduto qualcosa?

Ho veduto una minchia.

Petagna si fece pensieroso. I due agenti per prudenza si allontanarono un pochetto dal suo raggio d’azione.

E questa suddetta minchia, ha agito da sola?

Cacciate la cocaina, stronzi!

Come dice?

Avevo messo due etti di cocaina nel culo della pecora, disse accusatorio il non-pastore, e non ci sono più!

E allora vada a sporgere denuncia, ma dopo. Non mettiamo troppa carne al fuoco. Ma chi è l’imbecille che sta scrivendo questa storia?


Ci fu poi un intervallo durante il quale la pecora, a tradimento, raccontò una barzelletta.

Più che una barzelletta un indovinello, di quelli un po’ stronzi.

Sapete che cosa succede a un cane che se ne va a spasso sotto questa canicola?

Gli agenti e l’ispettore si sforzarono per arrivarci, ma non ci arrivarono.

Torna a casa lesso.

Gli agenti e l’ispettore non la capirono.

La pecora non si perse d’animo e rilanciò: 

Oporco ha un cane (era una pecora fissata coi cani. Succede spesso). Di chi è il cane?

Nessuno, per fortuna, fu in grado di rispondere.

L’intervallo finì così, ingloriosamente e senza costrutto.

A volte capita.


Va detto (e se non andava lo dico lo stesso) che la strada terminava una cinquina di chilometri più avanti, in mezzo a sterpi e sabbia.

In buona sostanza, non andava da nessuna parte.

Appaltì, appaltà, trallallero trallallà.

Appaltì, appaltò, ‘sti milioni a chi li do.

Magari la spiegazione del fetenticidio stava tutta lì, a pensarci bene.

Gli investigatori non ci pensarono.

Faceva caldo.

L’ispettore Petagna provò a solfeggiare, a forgiare, diocaro, qualche ipotesi intelligente.

Ragggioniamo: dunque, questo magari i buchi ce li aveva già, era uno che si bucava. E oggi si era fatto un bel po’ di buchi, u novedose, come si dice in greco.

Altro che nove, quelle erano come minimo cinquanta dosi, ribattè Ignocille, Il Perspicace.

Apprescindere. In seguito al novedose, diciamo che il meschino si sentiva un po’ vagamente come rimbecillito, è inciampato su uno di questi bossoli, e c’è rimasto secco. Direi che così tutto quadra!

Già, ma i bossoli chi ce li aveva messi, i suricati?

Nessuna ipotesi è da scartare. Guarda se riesci a interrogarne qualcheduno.


Ignocille annuì. Voleva anche stringersi nelle spalle, ma non sapeva come cazzo si mette in pratica questo stilema letterario inflazionato e stantio, probabilmente maltradotto.

Il sergente Imberante stava per dire qualcosa, ma si vedeva che aveva un po’ paura. 

Ispettore… azzardò infine.

Dica, dica Imberante, non la mangio mica!

No, è che… insomma…

Ma che c’è?

No, volevo dire, ma la biondazza con la minigonna vertiginosa, quanno nesce fòra?

Eh?

La tizia con la minigonna vertiginosa, quando spunta?

Ma di che mminchia mi stai parlando, Imberante?

Ispettore! Gli scrittori scarsi e i raccomandati, a un certo punto, quanno nun saccino più cosa inventari, fanno sempre catafottere in scena una tizia “con la minigonna vertiginosa”!

E chi ti dice che questo è uno scrittore scarso? Ci sono prove?

A bizzeffe ce ne sono! Fin dall’inizio! Gli scrittori scarsi cominciano sempre le storie con un cadavere e la polizia che indaga a vuoto.

Già, in effetti è vero, non ci avevo pensato. 

A vuoto una bella minchia, communque.


L’ispettore Petagna si grattò la testa, senza scorreggiare.


Vado in commissariato a prostituirmi, disse risoluto il non-pastore novantenne. Si sta meglio in galera che sotto questo sole cocente.


La dichiaro in arrosto, disse Petagna al cadavere morto.

Nessuno rise.

Valutarono se multare il cadavere per divieto di sosta.

Ma poi quello stronzo del gip non avrebbe convalidato.

A proposito di Jeep, dove minchia sono finiti il non-pastore e la Punto di mia zia?

Al ladro!


Una mosca scorreggiò, ma nessuno se ne accorse.

I suricati risero, poi si ritirarono in buon ordine.


© Nicola Pezzoli 2020



giovedì 19 novembre 2020

Qualche racconto in ordine sparso da "L'impozzibile dottor Pezz": LETTERATURA ANTIQUARIA

Dài rega, provatemi ‘sta lezione dei Compromessi sposi, che domani la stronza della Mungitopo ‘nterroga.

Cheppalle però. Non puoi ripeterla al tuo criceto?

Quello non capisce mica.

Perché noi invece…

In effetti…

Dài, scialla fra, giochiamo alla play.

No, dài, fatemela dire che ce l’ho tutta qui.

Vabbè. Allora sputa.

Bella zio, vai!

E niente, c’è questo pretozzo che invece di starsene in chiesa va in giro a gironzolare…

Ah, okkèi. Ma dove si ambienta?

Boh, su un ramo, salcazzo. No, cioè, aspè, a Como.

E dove minchia sta?

È inventato, fra.

Comunque a me i pretozzi mi stanno. Sarà mica un prete suini generis. Se va in cerca di regazzini non la voglio sentì.

Mannò fra, andrà in giro a fare quelle cose da preti, maledire le case, spaventare le vecchie, raccattare quattrini.

Vabbè.

E come si chiamerebbe ‘sto pretozzo?

Se mi lasci parlare. Si chiama Don Abbondio.

Ahah. Vabbè, ma così son capace anch’io.

Capace affà che?

A far ridere coi nomi buffi inventati.

Non è inventato, scemo. È un nome vero, se non lo sai. Anche una mia cugina si chiama Abbondio. Per dire.

Vabbè. Sarà.

Ma come si chiama ‘sto giornalista?

Avete la fissa, dei nomi! Si chiama Manzoni, va bene?

Ecco, vedi?

Vedi cosa?

Se non saresti ignorante, sapevi che Manzoni è uno che ha cagato in un barattolo, poi lo ha chiuso e ci ha scritto “merda” sull’etichetta per non confondersi con la nutella.

Quella sì che è una figata, fra. Altro che Compromessi sposi della mia minchia. Fai una ricerchina sul barattolo di merda, approfondisci le sfumature di oddore.

Rega, vorrei continuare…

E poi inciampa?

Chi.

Il pretozzo.

Non spoilerare, cazzo. La sai già?

No, ma mi piacerebbe se inciampa, lo stronzo.

In effetti in un certo senso inciampa, in due Bravi.

E che cazzo sono due Bravi.

Boh, tipo due picciotti di mafia. Tipo due facce da cazzo che mollami, tipo.

E allora perché non li chiamano picciotti di mafia?

Che ne so, al giornalista piace di più Bravi.

Te l’ho detto che è una roba da Zelig. Solo che tu non lo capisci.

Mavvà.

Umorismo demenziale, lasciati servire.

E invece è drammatica, vi dico. ‘Sti due Bravi lo aspettavano su questo cazzo di ponticello per minacciarlo.

Il prete.

Sì.

Certo che ne hanno di cose da fare.

Eh?

Minchia, è vero fra. Aspettare un cazzo di pretozzo su un ponticello per minacciarlo. Ma che cazzo di storia è?

Me la lasciate dire o no? Eddài.

Vabbè.

E niente, questi due lo minacciano di legnate e calci nel culo se il pretozzo non fa saltare il matrimonio di un certo Renzi Framartino.

E quest’artro da ’ndo cazzo spunta? Non è nemmeno più umorismo, è un cartone animato del cazzo!

Questo Renzi Framartino è un trafficante di capponi di sinistra che vorrebbe sposarsi a Lucia Caldarrosta.

Chiiii?

No, scusa fra, Lucia Mondella.

Daje.

Caldarrosta è come la pensavo io per fare associazione di idee.

Perché invece Mondella è normale. Sempre castagne cotte sono. Poteva chiamarla Lucia Lessa già che c’era.

Lucia Marronglasé.

Già, vero fra, che nomi del cazzo. E poi insisti che non è Zelig. Secondo me ‘sto Manzoni del barattolo ha voluto cagare un’altra volta. 

Dice la Mungitopo che in una prima versione era pure peggio. Renzi è la versione remix del burino dei capponi. Nell’originale si chiamava Fermo.

Ma vammorimmazzato! Ci pigli per il culo? Che minchia di nome sarebbe Fermo? Sembra Immobile che gioca n’aa Lazzio. Ecco cos’è che nun me quadrava! È ‘na storia de lazziali!

Lazziale e demenziale, insisto.

Vi dico che è traggica, invece. La Mondella se la vuole trivellare un porco di un delinquente, Don Rododendro, Don Rosicone, L’Incensurato, come cazzo si chiamava già ‘sto qua…

N’artro prete pervertito.

Macché prete. Si chiama “Don” così, per sport, come a Don Perignòn.

Don Bachi.

Don Lurio.

Donna Rouge.

Il fiume Don.

Sì ma questo è un cazzo di lago.

Domanmattina! Un ponticello su un lago! I ponticelli si fanno sui fiumi. Ripassala meglio, fra, accetta un consiglio.

Non volete proprio lasciarmi andare avanti. Volete che domani quella mi stanga.

E scialla, fra! Te non andarci domani a scuola!

Fra, vai tra! Datti morto!

Vero, non ci avevo pensato, rega. Posso fa’ssega.

Allora basta con ‘sta cazzo de storia de lazziali?

Okkèi, mò basta, mi sono stancato pur’io. Alla lunga ‘sti romanzi antichi annoiano.

Ah perché era pure antico?

1990, credo, o giù di lì.

Pieno Giurassico, cazzo. S’erano già estinti, i dinosauri?

Non c’erano neanche i cellulari, e la play, rega.

Allora vaffanculo.

‘A Lazzio ce stava, però.

Avoja.

Ma ci faranno anche la serie tv su netflixxe?

Speriamo de no.

Boh, se la fanno io me la guardo, rega. Le guardo tutte. Fanno diventare intelligenti.

Vabbè, torniamo alla normalità. Spinelli a gogo?

Spinelli a gogo, fra.

Trap a tutto volume?

Trap a tutto volume, rega.

Giochiamo alla play?

E che altro vuoi fà?

Stante la perdurante assenza di figa, vuoi dire.

Stante la latitanza di figa, rega.

Lucia Caldarrosta! Ma vaffanculo! Una lazziale co’ un nome così nun me la chiavavo neppure se saressi un prete.


© Nicola Pezzoli 2020



sabato 31 ottobre 2020

Qualche racconto in ordine sparso da "L'impozzibile dottor Pezz": ESEQUIE INDISTINTE

Un sindaco cicciottello era venuto a mancare.

Nel senso che insomma avete capito.

Il paese era affranto (non proprio tutti tutti, come sempre in questi casi. Però non si dice, dài, non sta bene).

Il sindaco era molto cicciottello e anche smodatamente basso.

Ma soprattutto cicciottello.

La bara era quadrata.

Per farcelo stare meglio gli avevano piallato via un pezzetto di prominenza panciuta (ma con rispetto) e (sempre col dovuto rispetto) gliela avevano infilata in tasca. 

Come una merendina per l’aldilà.


In chiesa le solite cose, il prete era molto ferrato e il suo lavoro lo sapeva fare. (Su tripadvisor lo portavano bene; i chierichetti erano pettinati come si deve, e solo due di loro facevano i giochini coi cellulari durante la funzione.) La bara quadrata gli parve una cosa strana, al prete, ma tutto sommato non blasfema, quindi perché rompere i coglioni? Aveva già in programma di devastarli parecchio e fragorosamente nell’omelia, per sollecitare offerte generose per i restauri di un paio di madonne o anche tre.

La navata centrale traboccava di fiori. Ai fioristi non dispiace quando le persone importanti vengono a mancare. Anche la navata di sinistra traboccava di fiori. Nella navata di destra c’era il fiorista che si fregava le mani. A sua insaputa, in quella di sinistra s’era già intrufolato un suo concorrente che gli stava fregando i fiori, per un funerale un po’ più in là. Se il fiorista numero uno se ne fosse accorto (cioè se il misfatto fosse avvenuto a sua saputa), avrebbe bestemmiato con la giusta moderazione e un minimo di rispetto dato il luogo in cui si trovava. Poi si sarebbe avventato sul fiorista numero due e lo avrebbe morsicato a morte. 


Anche dopo, fuori dalla chiesa, in piazza, le solite cose.

I conformisti dicevano Condoglianze alla vedova del sindaco.

I miopi, i distratti, gli imprecisi e i poco informati dicevano Condoglianze ad altre signore a caso.

La fila dei conformisti era più lunga, come sempre.

Un fissato dell’orgoglio gay diceva Condoglianze solo a maschi scelti a caso.

Gli fu detto di piantarla.

Un fiero e storico contestatore del sindaco fece il gesto dell’ombrello. Non una bella cosa, dài. Sei piccino, sei.

La banda attaccò a suonare. I fiati erano dei novantenni senza fiato. Il capobanda un centenne sfiatato. Ma c’erano anche un paio di baldi ottantottenni.

Sembrava l’armata dei Cazzochevecchi.

Abbassava la media un balanzone quattordicenne più largo che alto che ne dimostrava quaranta e che pestava con gran rimbombo e godimento sulla grancassa con la mano destra mentre con l’altra s’ingozzava di mars. 

Era il nipotino del sindaco. Un nipotone, vah.


Un uomo elegante e davvero commosso abbracciò la vedova dicendo Mi dispiace tanto, non ho parole. La vedova gli si avvinghiò addosso come se volesse copulare vestita. L’uomo elegante venne guardato malissimo da quelli che dicevano Condoglianze. Con ferocia mista a invidia, un paio di conformisti tentarono di avventarsi contro l’uomo elegante, ma vennero trattenuti da alcune notifiche in arrivo sui cellulari dai social.

Il consiglio, comunque, in questi casi, è non dire cose troppo strane o fuori dagli schemini. Potrebbero dar fastidio.

In certe zone si rischia il linciaggio per molto meno.

Non eravamo in certe zone.

L’uomo elegante, rendendosi conto del suo errore madornale, chiese scusa a tutti.

Però poi continuava a rifiutarsi di dire Condoglianze.

Allora cerchi guai.


Il corteo fluiva per la discesa, funebre e compatto. 

Qualcuno sudava. Qualcuno evitava di scapperarsi. Qualcuno parlava di calciomercato infervorandosi molto. Qualcuno si vergognava di far parte di un corteo al seguito di una bara quadra, e allora camminava basso, quasi rasoterra, come un soldato in missione. Ma quasi nessuno pensava più al cicciottello verticalmente svantaggiato in persona. Quando uno è andato è andato, inutile fare finta. I conformisti piuttosto si domandavano se una volta giunti al cimitero sarebbe stato il caso di ridire Condoglianze. Solo la banda perdeva colpi e rimaneva indietro. Al contrario, la station del becchino ogni tanto accelerava un po’ troppo e si allontanava oltemisura. Spariva dietro una curva. Ma dove cazzo va? Riappariva a marcia indietro. Travolgeva un paio di dolenti. Ripartiva. Bestemmie. Orapronobis. Riposimpace. Ma quello ha bevuto? Il mio piede, cazzo. Roba da matti. Il mio cazzo, piede. E via andare. A un bambino scappava la pupù. Tienila che la fai dopo, ammòre, sulla lapide di quella stronza, lo istruiva cristianamente la mamma. Lui era molto mammone e si preparava a obbedire. A un certo punto camminavano tutti ingobbiti sui cellulari. Sembravano zombi rancidi. Al confronto i Cazzochevecchi della banda (rimasti parecchio indietro) erano angeli di altri mondi. Se poi magari avessero smesso di suonare, l’ardita similitudine sarebbe parsa un filino più credibile.


Un uomo molto vigile che si chiamava Urbano si piazzò all’improvviso in mezzo alla strada per fermare il traffico e far attraversare il corteo. 

Non avrebbe dovuto farlo.

(Con questo non voglio insinuare che l’abbia centrato un furgone.

L’ha centrato quella cazzo di station del becchino).


L’appalto per le inumazioni l’aveva vinto una cooperativa umanitaria della grande città.

La grande città distava centottanta chilometri. Arrivarono con due ore di ritardo per via del traffico e per via che avevano sbagliato paese e cimitero un paio di volte e per via che erano delle povere teste di cazzo. Arrivarono poco prima della banda, che era rimasta indietro più del previsto (chi per problemi legati all’età e agli enfisemi polmonari, chi per fermarsi a far incetta di mars al minimarket). La cooperativa umanitaria, va detto, aveva messo a disposizione un camioncino anni settanta lievemente sgangherato e con emissioni tipo camera a gas ambulante che passava le revisioni solo perché siamo in Italia. Dal camioncino sgangherato della cooperativa umanitaria vincitrice di appalti zomparono giù un tossico, un afghano e un uomo molto anziano con la faccia da bidello. A nessuno dei tre era stato spiegato cosa dovesse fare. Già non capiscono un cazzo, se poi gli dici che devono fare delle inumazioni invece che delle sepolture… 

Parlagli apertamente del concetto di sepoltura, o ‘mbecille della cooperativa furbina!

Uno dei tre s’era portato un cacciavite a stella.

Un altro si era portato un giornale di ieri da far finta di leggere.

L’afghano non parlava italiano.

Il tossico neppure.

Badili niente.

Cioè, ce n’erano un paio mezzi rotti sul pianale del camion ma li lasciarono lì.


Molti degli astanti (quelli non impegnati col calciomercato) si misero a malignare all’indirizzo della bara quadrata del sindaco cicciottello morto per questa storia scandalosa dell’appalto alla cooperativa furbina della grande città.

Il sindaco cicciottello morto si vide costretto a uscire un attimo dalla bara per spiegare che non era colpa sua ma delle intelligenti leggi italiane che lo obbligavano a rispettare certe procedure di burinocrazia somarocratica e più o meno filomafiosa, a livelli a metà strada fra la combutta e il favoreggiamento.


La banda pensò bene di scegliere proprio quel momento per attaccare a suonare l’inno nazionale. Metà degli astanti, nonostante tutto, si mise la mano sul cuore (statisticamente, facevano quasi tutti parte del drappello dei conformisti). L’altra metà si mise le mani sulle orecchie per tapparle e attaccò a cantare a squarciagola l’inno austriaco, perché avrebbero preferito essere austriaci. Un paio di scaramantici si misero le mani sulle balle, non si capiva bene perché.


Il bambino gravido di prodotto interno lurido cercava pericolosamente la tomba deputata allo sganciamento, barcollando e tenendosi il pancino, pòra stèla.


Individuò il bersaglio e fece cacòty.


© Nicola Pezzoli 2020


mercoledì 7 ottobre 2020

Qualche racconto in ordine sparso da "L'impozzibile dottor Pezz": LA CARTA DEI DIRITTI

Non mi viene niente, disse Franklin.

Oggi proprio non mi sento ispirato, disse Jackson.

Sforzatevi. Spingete, li spronò Washington.

E se bevessimo qualcosa?, disse Wilson.

Io ho un preambolo, confidò Madison.

Un che?, si preoccupò Jackson. Si può curare?

Un preambolo alla Carta, spiegò paziente Madison.

Ah già.

E allora preamboleggia, lo incalzò Washington.

Madison si schiarì la voce.

Visto che nessuno pensa ai drink ci penso io, disse Wilson alzandosi.

Ecco, bravo.

Tutti gli uomini nascono uguali, sentenziò Madison.

Oddio, non proprio, eccepì Jackson. Hai presente quella testa di cazzo di…

Dài, non rompere, lo zittì Franklin. Si fa per dire. Ci tocca generalizzare, no?

Ci va la scorza di lime nel gin tonic?, domandò Wilson.

Il gin tonic… Sicuro che l’abbiano già inventato?, si accigliò Washington.

Lo sto inventando io.

Allora puoi metterci quel cazzo che ti pare.

Giusto.


C’è un problema, annunciò Franklin, l’unico sempre vigile sul web via cellulare.

Di già?, si allarmò/infastidì Washington.

Questa Jenny Pussyclosed, l’influencer femminista vegana, minaccia su twitter che se non mettiamo “gli uomini e le donne” tutte le donne del mondo faranno sciopero.

Vale a dire?

Vale a dire smetteranno di darla. Per un anno intero, dice. Ha già ottenuto 928.672 like. 

Oddio, guardate che da un punto di vista prettamente demografico non sarebbe neanche male, ammonì Jackson. Siamo già parecchie centinaia di milioni, su questo pianeta, e tutti caganti. Se va avanti a ‘sto modo la vedo male per il clima. Se diventiamo un miliardo sarà la fine.

Non cediamo!, esclamò col punto esclamativo Washington.

Non si arretra di un millimetro!, esclamò col punto esclamativo Jackson.

Fa’ assaggiare ‘sto gin tonic.

Toh.

Mmm… buono.

Ehi, minacciano anche di sospendere i pompini.

Sarà forse meglio approntare una modifica, si ammorbidì Washington.

Valutiamo varianti, convenne Jackson.


Va bene, disse Madison. Però “gli uomini e le donne” è ridondante, stucchevole, petulante, stupido e banale. Sarebbe come pretendere quote rosa fra di noi. Mica è colpa nostra se siamo Padri Fondatori e non Madri Fondatrici.

Non diciamo scempiaggini.

E se mettessimo i pompini fra i Diritti nella Carta?

Zitto.

Noi volevamo, riprese Madison, un termine collettivo che includesse ovviamente tutti e tutte. Se si impuntano su “uomini”, mettiamoci “esseri umani”.

Mi sembra ragionevole, osservò Franklin.

Ok, approvato, disse Washington. Metti “Tutti gli esseri umani” eccetera.

Metto scorza?

Metti gin.

Ok. Jackson?

Molto più gin, Wilson.

Franklin?

Togli la tonica.

Ok.

Dove eravamo rimasti?

Allora pompini niente?

Cosa?

I pompini à la carte.

Maddài.


Fanculo, proruppe Franklin con un pugno fragoroso e scassatavolo.

Che c’è, adesso?

Triturano la minchia pure su “esseri umani”. Pretendono “gli esseri umani e le esseresse umanesse”. Oltre un milione di like.

Sempre quella cazzo di Jenny Pussyclosed?

No, questa qui è un’altra. Sondra Bighorn, l’influencer femminista crudista.

Bisognerà farsi venire qualche altra idea, Madison.

Mò non esageriamo: ne ho già avute addirittura due, adesso magari toccherebbe un po’ anche a voi.

Stavo pensando di aggiungerci dei cetrioli, disse Wilson, meditabondo e visionario.

Alla Carta?

Al gin tonic.

Quello è il moscow mule, mi pare. Una roba così.

Non esageriamo. Secondo certi studi la verdura dà alla testa.

Siete sicuri? Secondo me nel moscow mule ci va lo zenzero.

Ma la Carta varrà anche per i cinesi e i russi?

Sì, se non fanno troppo gli stronzi.

E gli inglesi?

Naa, troppo stronzi.

Secondo me ci va anche il cetriolo, però.

E gli italiani?

Glielo insegni tu a leggere a quelli?

Franzusi?

Quelli ce la copiano.

O viceversa.

Eh?

Eh!

Bah.


Intanto la disputa su twitter s’era molto animata e divisa su due fronti che guerreggiavano fra loro. Jenny Pussyclosed e i suoi follower femmivegani contestavano vivamente a Sondra Bighorn (e ai suoi follower femmicrudisti) persino “esseresse umanesse”, perché umanesse conteneva pur sempre l’odiosa radice fallica “man”. Bisognava assolutamente virare su “esseri umani ed esseresse udonnesse”. Un milione e 171mila like. I commenti, poi, erano unanimi e concordi nel proporre l’inversione di precedenza: prima esseresse udonnesse e poi esseri umani, se non altro per una questione di cavalleria (“Non ci sono più gli uomini di una volta” ecc, commentavano alcune, incapaci di cogliere la contraddizione insita in questi formalismi veterosessisti di comodo). 

Radice fallica?, s’incazzò Jackson. Mi sa che queste di radici falliche non ne beccano su da un bel po’!

Zitto, lo zittì Washington, che poi i cacanotizie delle tv ci sputtanano coi fuori onda!


La disputa deflagrava, dilagava, andava alla deriva.

Sondra Bighorn chiese a Jenny Pussyclosed se non avesse per caso le sue cose. (635mila like)

Jenny Pussyclosed replicò “Sei scema o mangi i sassi?” (724mila like)

“Mangio i cazzi” replicò Sondra Bighorn. (2 milioni e 015 like, record mondiale assoluto per l’epoca). “Crudi, naturalmente”.


Un delirio!, riassunse la situazione Franklin sfruculiando lo smerdofono. Adesso alcune femministe boscimane avanzano critiche pure su “La Carta dei Diritti”. 

Quindi?

Quindi propongono “La Carta dei Diritti e delle Diritte”.

Però “Carta” gli va bene, alle stronze. Mica propongono “La Carta e il Carto”.

Versamene un altro, vah.

Ma perché non si fanno i cazzi loro? I boscimani non sono mica americani!

Non discriminare!

Li bombardiamo?

Lascia perdere.

Merda! E si stanno scatenando i cojoni da tastiera.

Cioè?

Insulti. Nei commenti.

Insulti a chi? Alle fighe di legno crudovegane?

A noi.

Roba pesante?

Il più gentile dice: Grandi Padri dei miei coglioni, andate a lavorare! Un altro imbecille propone: la Carta facciamocela noi e votiamola online, e la loro che se la metterebbero nel culo! Tutti gli altri commenti (decine di migliaia) sono semplicemente irripetibili.

Sapete che vi dico? Fanculo la Carta. Se la scrivano davvero loro, la Carta, se ne sono capaci.

Ma se la scrivono loro poi ci tocca espatriare in Islanda.

Dici?

Dico. Potrebbero metterci cose che neanche ti immagini. Il reddito di cittadinanza, per esempio. 

Mioddio.

Bisognerà organizzare una fuga dei cervelli. 

Tanto siamo pochi. Siamo sempre stati pochi. Basta noleggiare un paio di pedalò e via andare.

Fanculo la Carta. Se Islanda dovrà essere, Islanda sia.

Prosit.

Facciamoci una bella partita a biliardo.

Finalmente una proposta seria.

O a biliarda, scherzò amaro Jackson.

Versami un altro po’ di quel gin, Wilson.

È finito.


© Nicola Pezzoli 2020


venerdì 25 settembre 2020

Il mio "QUELLI CHE" letterario

Quelli che non ti leggono perché sei un maschio del nord

[ma una volta li hai fregati con lo pseudonimo Concettina Lo Licantropu]

 

Quelli che leggono solo Tolstoj

[tradotto in polacco]

 

Quelli che dopo dieci corsi a pagamento imparano davvero

[a pagare]

 

Quelli che “Se ha vinto quel premiozzolone ci sarà pure un motivo”

[certo che c’è, ma non sempre si può dire]

 

Quelli che “Come autore è pure bravo, ma troppo scatologico”

[capacissimi di leggere pupù per evitare la parola pupù!]

 

Quelli che leggono solo mmerda

[e se gli dici che il libro è scatologico: “No, mi hanno dato un sacchetto”]

 

Quelli che ti danno dello snob se non apprezzi le 150 sfumature di mm… (vedi sopra)

Quelli che leggono solo filosofi, per la metalibidine di non capirci una fava

Quelli che leggono fetecchie per farsi coraggio, così da sentirsi scrittori anche loro

Quelli che c’è già tutto nella Bibbia

 

AUF WIE-DER-SEHEN!

Lallallallalla-lallallaa…

 

Quelli che ripetono di continuo “Per non saper né leggere né scrivere”

[senza rendersi conto che stanno confessando]

 

Quelli che “Basta coi Maschi Bianchi Europei Defunti!”

[e allora: Donne Nere Americane Vive, o si smette direttamente di leggere? La seconda, direi]

 

Quelli che “Se è in cima alle classifiche ci sarà pure un motivo”

[certo che c’è: quelli come te!]

 

Quelli che “Due palle ‘sto libro, sono a pagina 3 e non è ancora morto nessuno”

[ma crepa tu e tua sorella, come disse Totò al giardiniere del sindaco]

 

Quelli che non ti leggono più perché vendi su Amazon

[che abbiano preso LaFeltrinelli per un’Opera Pia?]

 

Quelli che “Su questo argomento (o sul tale periodo) è già stato detto tutto”

[magari da quaranta stronzi senza talento, e che non ci avevano capito una mazza]

 

Quelli che non entrano nelle librerie per non disturbare

Quelli che entrano con un bigliettino che non sanno manco loro cosa cazzo c’è scritto sopra

Quelli che visto ciò che comprano farebbero meglio a non entrarci mai

Quelli come me che ci entravano, vorrebbero entrarci ancora, ma non ce la fanno proprio più

 

AUF WIE-DER-SEHEN!

Lallallallalla-lallallaa…


mercoledì 16 settembre 2020

Strepitosa recensione (non sollecitata e non a pagamento) de "L'IMPOZZIBILE DOTTOR PEZZ"

 AndreaConsonniWrong

«ogni volta che leggo le pagine di Nicola penso che lui sia uno splendido e folle scrittore, un birbante della letteratura»

Dedicato a tutte quelle persone, più o meno stronzettine e lecca-apparato, che snobbano un bel libro che potrebbe deliziarli e divertirli fino alle lacrime solo perché è autoprodotto, o perché venduto attraverso quel "cattivo babau" che è Amazon

Continuate pure a non farvi del bene. 

AND KEEP READING SHIT!


martedì 1 settembre 2020

Nicola Pezzoli - L'IMPOZZIBILE DOTTOR PEZZ


«Mi sento come un due di denari quando la briscola è ladri».

I Grandi Padri Fondatori contestati in diretta su twitter da femministe crudovegane. Le gesta televisive del veterinario più famoso del mondo rivisitate in chiave ferocemente comica. Tutti i cliché del dramma carcerario in una parodia di Fuga da Alcatraz che nessuno vedrà mai. L’esilarante diario di una depressa cronica incazzata col mondo. Un corso di Scrittura Creativa online così pazzesco da sembrare vero. Le rocambolesche esequie di un sindaco verticalmente svantaggiato. L’epopea neanche troppo inverosimile di un mafioso della mutua. Gli ossigenisti, ultimissima frontiera del moralismo applicato all’alimentazione. Le indagini di un ispettore petomane. Il mini Eden di sei metri per quattro creato da un dio molto minore. Una demenziale riunione di creativi pubblicitari. Uno studente del ventunesimo secolo alle prese coi Promessi Sposi. Tutto questo e molto, molto altro nei 26 “racconti da ridarella” de L’IMPOZZIBILE DOTTOR PEZZ.



Solo su Amazon

domenica 2 agosto 2020

Il 2 agosto 1980 nel romanzo IRRENHAUS (quinto capitolo e parte iniziale del sesto)



5

2 Agosto 1980

 
Quel giorno era ben soleggiato, la temperatura fresca e piacevole, così decidemmo di pranzare sul terrazzo, all’ombra del solitario ippocastano che prendeva slancio dallo spiazzo d’asfalto davanti all’atelier di Martina per gareggiare in altezza coi due piani più mansarda, vincendo di parecchie spanne. Sembrava illudersi di essere una sequoia, però più frondosa, e il suo fogliame era una perturbazione placida e benigna di nuvole verdescuro.
Quel giorno era un giorno come un altro, e di sicuro non ci sarebbe stato motivo di mandare a memoria una così insignificante data.
2 Agosto 1980: al massimo avrei potuto ricordarlo come il quarto giorno della mia prima vacanza elvetica, o come quello successivo alla mia prima festa nazionale degli svizzeri.
Il cugino Bernardo era stato lì lì per mettere in cantiere una grigliata di carni miste e salsicciotti, ma poi s’era deciso di rimandare e star leggeri, per via dei postumi della serata da Schnapsy.
Ripiegammo su una raclette: formaggio fuso con patate lesse, cetriolini, cipolle e altri contorni a volontà. Non poi così leggero, a essere sinceri.

Gli uccelli cinguettavano melodie d’amore, e avevamo acceso anche la radio, sintonizzata su un canale che trasmetteva musica sinfonica intervallata da notiziari flash. Niente pubblicità a guastare i maroni.
Gustando la mia raclette e bevendo il mio sidro, e pregustando una doppia razione di gelato, il caffè con panna, e una partita a qualche nuovo gioco, mi stavo rendendo conto di come questo così semplice momento della mia vita fosse vicino alla perfezione. Mi sentivo felice. Masticavo e sorridevo, il sorriso così scolpito, così fisso, da sembrare fesso, da sembrare un ebete congenito.
A furia di sorridere, sentivo male alle mandibole.
Ma poi, portato dalle onde radio, irruppe un notiziario strano, in orario non previsto, interrompendo brutalmente Chopin.
Pochi istanti, e vidi il cugino Bernardo sbiancare, vidi Martina Weckerli smettere di masticare e posare la forchetta, li vidi scrutarsi negli occhi, poi me poi ancora fra loro, con facce a lutto che parevano chiedersi e adesso chi glielo dice – sarà il caso di dirglielo?
La verità è che avevo già intuito tutto quello che c’era da intuire, perché nel mezzo degli “skrùmpfete” e “shtrònfete” e “shdrànfete” dell’ostica lingua germanica (a loro volta più concitati del solito) mi erano giunte all’orecchio due parole fin troppo comprensibili, entrambe ripetute più volte.
La parola “Bologna”.
E la parola “Explosionen”.
A quanto pareva, era saltata per aria la sala d’aspetto della stazione di Bologna. C’erano decine di morti. Una strage assurda, provocata da infami. E l’esplosione era stata così violenta, così micidiale, da mandare in mille pezzi un treno in transito su un binario vicino, allargando la carneficina ai suoi passeggeri.
In contemporanea con l’interruzione della musica e col notiziario, Damien s’era svegliato nella sua culletta portatile e s’era messo a piangere come un disperato, lui che non piangeva mai, come se avesse avuto cognizione di cos’era successo.

Come sempre accade con la cecità vigliacca dei bombaroli (gente che non andrebbe messa in carcere, ma fatta brillare analmente nei poligoni militari), non era stato colpito un consesso di potenti prepotenti. Era stata colpita una stazione zeppa di poveri cristi che andavano al Mare in treno invece che in macchina. Non potei evitare di pensare che sui vagoni ridotti a scatole di tonno bruciate di quel treno in transito avremmo potuto benissimo esserci io e la mamma, in un poco diverso e non certo impossibile destino che avesse semplicemente previsto, al posto dell’invito di Martina Weckerli, pochi soldi in più nel borsellino materno, e la scoperta dell’offerta speciale di una pensione economica a Rimini o a Riccione. Anche se poi, più avanti, avrei saputo che il convoglio distrutto procedeva in direzione opposta, ed era un treno con destinazione Svizzera: il diretto Ancona-Chiasso.
Il gelo e lo sgomento furono totali, ma sarei reticente e disonesto se non dicessi che passarono in fretta. Sembrava una cosa così lontana, così remota, pur in tutta la sua incredibile atrocità, ad ascoltarla da lì… In fondo, erano le inevitabili notizie di sciagure puntualmente in arrivo da paesi dimenticati, disgraziati, maledetti, sottosviluppati, facili prede di bastardi, di fascisti, di sciacalli, eterni teatri di massacri o cataclismi: Italia, Somalia, Cile, Bangladesh… che differenza faceva, lì sulle rive del paradisiaco Zugersee, non fosse stato per il sangue italiano che bene o male, volenti o nolenti, avevamo tutti nelle nostre vene, io (purtroppo) più di loro?
Nel mio triangolino di Nord Italia, il confine svizzero non stava solo sopra, ma te lo ritrovavi anche di fianco, a oriente e a occidente.
Se i confini li facessero dritti, mi dicevo certe volte, sarei nato svizzero italiano!
La Svizzera mi faceva sentire così lontano, e così al sicuro, che mi trovai a pensare con stupido, egoistico sollievo al fatto che la mamma, due settimane dopo, sarebbe venuta a prendermi a Lugano, e non su suolo italico. Perché in Svizzera le stazioni non saltavano per aria, e i treni neppure. E io per fortuna in quel momento mi trovavo a Zug, il più sicuro dei treni. Ma soprattutto mi trovai a sperare che quelle due settimane nella città che si chiamava Treno si dilatassero magicamente e durassero almeno una ventina d’anni. Pensieri leciti ma al tempo stesso disgustosi, per i quali probabilmente gli Dèi o chi per essi si apprestavano a processarmi e a punirmi. Per direttissima.
Tornammo alle nostre cose lentamente, ma ci tornammo.
Il sole, l’ippocastano, gli uccellini, la raclette, la vista sui bei palazzi di Zug, il ritorno della radio alla musica sinfonica (adesso era Gershwin)… tutto era lì per rassicurarci, per coccolarci, anche se quella musica, adesso, sapeva inevitabilmente di nenia funebre. I nostri occhi vedevano, le nostre vie respiratorie respiravano, le nostre papille gustative gustavano. Eravamo ancora abbastanza vivi, per quanto sconvolti, e piaccia o non piaccia dirlo o sentirlo dire era bello trovarsi nella Confederazione Elvetica, un posto dove perfino i fuochi artificiali erano sussurro lieve, decorazione silenziata, deflagrazione innocua da salotto, carezza colorata per l’anima, supernova per bellezza senza danni collaterali.
E ci fu il gelato. E ci fu il caffè con panna. Ci fu il ritorno, quasi per autodifesa, alle nostre più rassicuranti sciocchezze.
«Corradino» disse Dora: «“Kukicashli”».
Uffa. Non ci caddi e rilanciai: «Trentatré trentini entrarono a Trento tutti e trentatré trotterellando».
«Wie
«Trentatré trentini entrarono a Trento tutti e trentatré trotterellando», ripetei in tono di sfida.
«Trentattré trentri…»
«Nein!»
Tiè.

Sarei tornato a pensarci solo a tarda sera, nel mio giaciglio, il libro di Gianni Rodari ancora aperto fra le mani, davanti a me un racconto geniale che però non riuscivo a leggere (la vista rimbalzava sulle parole invece di comprenderle), perché troppo divertente, troppo leggero, troppo sereno, così poco italiano.
Quanto durerà ancora, mi chiedevo, questo nostro mondo umano? Quanto tempo prima che una nuova e migliore civiltà si sviluppi dall’evoluzione dei delfini, dei felini, dei corvi o delle api, sempre che non si finisca con lo sterminare anche loro come stiamo facendo coi rinoceronti?
Alcuni dicono “pochissimo”, pensando ai missili atomici sovietici.
Altri dicono “poco”, pensando alle guerre sante nucleari di quando (molto presto) le testate atomiche le avranno quei simpaticoni degli arabi.
Altri ancora rispondono “troppo”, pensando che il genere umano è una malapianta delle più infestanti, e che l’erba grama non muore mai.


6

Chiavi in meno


 Il 3 di agosto era domenica, e avemmo parecchi ospiti a pranzo. Qualche faccia già vista alla fattoria di Schnapsy (lui e la moglie non c’erano) e qualche altra no, ma solo coppie sul maturotto, niente ragazzini con cui giocare. Un noioso consesso di vecchi barbagianni (Bernardo e Martina erano stranamente molto più giovani di tutti i loro invitati) che parlavano solo in svizzerotto tedesco, e mi squadravano impietositi e furtivi come fossi stato una specie di profugo, e scopo della riunione raccogliere fondi per comprarmi vestiti, e scatolette di cibo per italiani. Se ponevano domande su di me, lo capivo dagli sguardi sospettosi (avrà mica bombe in tasca, il ragazzino?) e dai toni da cospirazione.
Per buona misura, alcuni di questi barbagianni terùn dei tùder (“terroni dei tedeschi”, come sentii dire una volta dallo zio Clemente Zancopè) continuavano a ripetere Bologna, Bologna, e ancora Bologna, sempre pronunciato a modo loro (“Und shtrìmpfete, und shtrùmpfete, Pullonie, shdràmfete…” o “italienish… Pullonie… kaputt…”), e nel farlo secernevano commiserazione, poraccio, sembravano dire in svizzerotto, viene da quei posti là, e mi guardavano come si guarderebbe un negretto che muore di fame in quei filmini pro Missioni.

Pare che nelle prime ore, in Italia, qualche spiritoso fosse riuscito a ipotizzare l’esplosione di una caldaia a causa di un semplice guasto. Le famose caldaie a tritolo. Depistaggio o imbecillità che fosse, ciò aveva rallentato l’abbrivio delle indagini di polizia, e concesso ai bastardi assassini ore e ore di vantaggio per dileguarsi e far sparire ogni traccia. Per certi aspetti, che potremmo chiamare onorabilità internazionale, essere italiano era pure un po’ peggio che essere un negretto che moriva di fame. Non avevano proprio tutti i torti, i barbagianni, a guardarmi così.
Che s’inculassero, però.


martedì 16 giugno 2020

Elogiare il libro e stroncare spietatamente l'insopportabile autore? Qualche volta si può!



Racconto storico (Praga, 27 maggio 1942, attentato alla belva nazista Heydrich ad opera di due paracadutisti, uno ceco e l'altro slovacco) interessante, avvincente, capace di emozionare a fondo, pieno di rivelazioni che mettono i brividi, anche se lontanuccio dal capolavoro assoluto per cui viene fatto passare, e che in troppe occasioni viene autosabotato dalla verbosità dell’autore, e dalle sue continue, assai irritanti spiegazioncine su documentazione, scelte di stile, libri letti o non letti o sul perché non li ha letti, e sulle cose che sa e che non sa e il perché non le sa, persino accenni alle belle ragazze che si è fatto, per non parlare delle insistite tirate realistiche e antinarrative (quando parla di “carattere puerile e ridicolo dell’invenzione romanzesca” lo prenderei a pedate nel culo), con tanto di ridiscussione degli errori arbitrariamente commessi nella pagina precedente (e qui si fatica a capire dove finisca l’autocritica e dove cominci un umorismo alla francese francamente stucchevole, sciocchino e saputello). Il suo parlarsi addosso, la sua vocina ipercritica, diventa per alcuni tratti insopportabile, e rovina ogni cosa, al pari dell’invadenza della sua vita privata mentre si documenta e scrive (anche se mi rendo conto del fatto che questo che per me è un grave difetto per altri potrebbe costituire la “marcia in più” della narrazione: vedere l’autore al lavoro, con tutte quelle annotazioni e parentesi e tutti quei distinguo, quelle continue puntualizzazioni e ripetizioni – magari a qualcuno piace così…). Quanto a me, raramente mi è capitato di provare così tanta simpatia per un libro, appassionante, toccante e commovente, e così tanta antipatia per il suo autore, presuntuoso, pedante e maniaco. Un bravo editor avrebbe tranciato via di netto i suoi commenti stronzetti contro i romanzi e i romanzieri. Stai scrivendo di Storia? E fallo, ma non romperci i coglioni con le tue fisime! Piuttosto balzana, poi, l’idea di scandire la scena finale con date di… giugno 2008. Ma a parte questo direi che è un libro da leggere, senza alcun dubbio. Anche se col suo autore non intendo avere più nulla a che fare. 7+