"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

sabato 30 giugno 2012

ERESIA FLASH: Ci stanno facendo due balotte così!

A me tutta questa retorica balotellistica di giornalistozzi e capoclasse civici sta facendo girare le balotte, e mi dà fastidio (quasi) quanto il razzismo.
E capire una buona volta che siamo tutti terrestri, invece di menarla spargendo mamelate deamicisiane e nauseabonda melassa sugli italiani marroni, i tedeschi olivastri, gli svizzeri gialli?
Intanto, per colpa dei festeggiamenti insensati e imbecilli dopo la semifinale, una bambina di dieci anni s’è beccata una pallottola vagante, e sta rischiando la vita. E per cosa? Per una partita del campionatuzzo europeo più brutto e noioso di sempre. (Anch’io, rientrando da una cena a casa di mio fratello, ho rischiato autoscontri con parecchi coglioncelli esagitati e sbandierosi).
Se il muscoloso supereroe avesse fatto un bel paio di autogol, e avesse vinto la Germania, quella povera piccola sarebbe andata a nanna sana e salva.

martedì 12 giugno 2012

ERESIA FLASH: uova e farina, però manca il sale (in zucca)




Di solito non amo cavalcare la retorica dei “bambini che muoiono di fame”. Ho sempre ritenuto assurdo, esagerato, sbagliato, sgridare e far sentire in colpa un figlio o un nipote che avanza nel piatto un boccone di carne grassa e nervosa, perché non gli piace, perché non riesce a masticarla, perché è già sazio (o perché in lui c’è un futuro vegetariano), come se mandar giù a forza quel pezzo di cibo potesse risolvere i problemi di chi cibo non ha, anziché produrre semplicemente qualche grammo di escremento in più.
Ma i vuoti stronzetti che celebrano l’ultimo giorno di scuola con la vergognosa, stupida, indegna, becero-conformista battaglia della farina e delle uova, sprecando quintali di ottimi alimenti, loro no, loro non possono non farmi pensare ai bambini che muoiono di fame. E allora io quei vuoti stronzetti li condannerei a un anno di lavoro socialmente utile. Ma non qui. Nel cuore dell’Africa.




lunedì 4 giugno 2012

BOHUMIL HRABAL - "Una solitudine troppo rumorosa"


BOHUMIL HRABAL
Una solitudine troppo rumorosa
Einaudi
Voto:

Dalla quarta di copertina: “A Praga, nelle viscere di un vecchio palazzo, un uomo, Hanta, lavora da anni a una pressa meccanica trasformando libri destinati al macero in parallelepipedi sigillati e armoniosi, morti e vivi a un tempo, perché in ciascuno di essi pulsa un libro che egli vi ha imprigionato, aperto su una frase, un pensiero…”

Mi piacciono i libri leggeri che posso leggere con la mano a leggìo, la sinistra, sdraiato sul dondolo coi cuscini di rinforzo dietro la testa, e la mano che regge senza fatica il libro leggero, il pollice e il mignolo davanti, le tre dita centrali che spariscono dietro. I libri come questo, leggeri di peso ma pesanti di poesia e pensiero geniale come un sole concentrato in un’unica goccia, come tutte le stelle e le lacrime dell’universo pressate in un unico punto da una pressa chiamata Scrittura.
A volte uno Scrittore ti colpisce così a fondo che ti assale la paura di non riuscire a trovare le parole adeguate per comunicare agli altri quanto è bravo, quanto ha impreziosito la tua vita e corroborato la tua anima con le sue, di parole. Questo è uno di quei casi, in cui capisco che devo sperare che vi limitiate a cogliere l’onestà e l’urgenza del mio consiglio, e a credere in me a occhi chiusi. Vi dico questo: dopo averlo letto, mi vorrete bene per avervelo consigliato. Dopodiché mi faccio da parte e vi propongo qualche estratto preso quasi a casaccio, ché tanto ovunque l’occhio cada, cade bene.

“… non urto contro i lampioni né contro i passanti, soltanto cammino e puzzo di birra e di sporcizia, ma sorrido, perché in borsa porto libri dai quali mi aspetto che a sera da loro apprenderò su me stesso qualcosa che ancora non so.”

“… mi sono raggomitolato e rannicchiato su me stesso, come un gattino d’inverno, come il legno di una sedia a dondolo, perché io mi posso permettere quel lusso di essere abbandonato, anche se io abbandonato non sono mai, io sono soltanto solo per poter vivere in una solitudine popolata di pensieri, perché io sono un po’ uno spaccone dell’infinito e dell’eternità e l’Infinito e l’Eternità forse hanno un debole per le persone come me.”

“… perché Leonardo già quella volta sapeva che i cieli non sono umani e che l’uomo che si occupa del pensiero non è umano neanche lui.”

“Io, se facessi il bagno, io mi ammalo subito, io con l’igiene devo andarci cauto e graduale, perché lavoro solo a mani nude, così a sera mi lavo le mani, io lo so, se mi lavassi le mani più volte al giorno, allora mi si screpolano i palmi, ma a volte, quando mi prende il desiderio dell’ideale greco del bello, mi lavo un piede e a volte anche il collo…”

“… la invitai a una gita, avevo vinto al lotto cinquemila corone e siccome non mi piacevano i soldi, allora volevo rapidamente farli sparire dal mondo, per non aver problemi col libretto di risparmio.”

“E poi si è allontanata da me quella servetta, perché ieri mentre pagavo mi è saltato fuori dalla manica un topo.”

“Ventuno girasoli erano accesi nell’oscuro rifugio del magazzino e alcuni topi che tremavano dal freddo perché in nessun luogo c’era più carta, uno di quei topi si avvicinò e mi attaccò, il topo piccolino saltava contro di me sulle zampe posteriori e voleva uccidermi con un morso, o forse rovesciarmi, forse voleva soltanto ferirmi, con tutta la forza del suo corpicino di topo saltava e mi mordeva la suola umida, ogni volta lo spostavo teneramente, ma il topo si gettava di nuovo contro la mia suola, per sedersi infine tutto sfinito in un angolo e guardarmi, mi guardava negli occhi e io presi a tremare, vidi che in quegli occhi di topo c’era in quel momento qualche cosa di più che il cielo stellato sopra di me, di più che la legge morale dentro di me.”

“… una luce ricciolina che nasceva dalla morte del legno.”

“Ma qui era incominciata una nuova era con nuovi uomini e nuovi procedimenti di lavoro, una nuova epoca che durante il lavoro beve latte, sebbene ciascuno sappia che una vacca crepa magari di sete piuttosto che bere latte.”

“… sbigottivo di fronte alla fede di quel venditore, che un monco si sarebbe comprato uno scarpino col calzino viola, il venditore credeva che da qualche parte esistesse uno storpio con la sola gamba destra e col numero quarantuno e col desiderio di recarsi a Stettino a comprare una scarpina e un calzino che accrescesse il suo fascino… come s’era chiuso il cerchio, quella mia scarpina e quel calzino viola, come avevano girato il mondo per frapporsi al mio cammino come un rimprovero.”

“… e se ne andò infelice, sognante, forse era quella stessa persona che un anno prima, vicino al mattatoio di Holesovice, m’aveva puntato contro a notte un coltello finlandese e dopo avermi costretto in un angolo aveva estratto un foglio e mi aveva letto una poesia sul bellissimo paesaggio di Ricany e poi si era scusato, che un modo diverso di costringere la gente ad ascoltare la sua poesia finora non lo conosceva.”

“… guardai la macchina con quel sorriso spasmodico e poi sentii lo scatto della macchina che non aveva mai avuto nelle sue viscere la pellicola, così compresi che al mondo non dipende proprio nulla da come le cose finiscono, ma tutto è soltanto desiderio, volere e anelito…”


La seconda parte del quinto capitolo, che narra dell’amore per una piccola zingara poi uccisa dai criminali nazisti, è Poesia allo stato Puro, che più puro non si può, che più triste e più tenera e dolce non si può. Eppure accanto a essa troverete, in questo Gioiello di ottantasei pagine (che si assapora all’inizio con voracità, e poi sempre più centellinando, nella speranza di farlo durare di più), anche tanta, tanta Intelligenza. E tanto Umorismo. Come succede coi veri Scrittori. E florilegi di microstorie che improvvise sbocciano e appassiscono, ognuna un piccolo grande romanzo di una pagina e mezza, a volte meno. Che meravigliosa, tardiva scoperta è stato in questi giorni per me mio Fratello Bohumil Hrabal. Sono quelle scoperte di cui sei grato alla vita, grato con le lacrime agli occhi, di quel genere di gratitudine che ti fa capire che vivere, comunque vada, valeva la pena.
Non fatemi incazzare. Non fatevelo mancare. Vi fareste non dico del male, ma di sicuro del non-bene.
Parola di Scriba.

p.s.
solita avvertenza: questa è Ambrosia per degustatori della Scrittura, non per i fissati della trama. In questo incantevole libriccino non troverete serial killer, indagini, autopsie, effbiài, cia, banda bassotti, mafia, clarabella e quiquoqua. Per fortuna. L’ultimo capitolo mi ha strappato lacrime di piacere e gratitudine, e questa scoperta è stata una gioia che non potevo non condividere con chi la merita: vedrete, verrà voglia anche a voi di continuare a frequentarlo, questo nuovo amico!
Buona lettura, e buona vita.