"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

giovedì 30 gennaio 2014

Un ragazzo gentile



SIGNORI, MI PRESENTO (con piccolo ritardo?)

Solo ora, dopo esser stato blogger per oltre quattro anni, mi rendo conto con spavento di possibili discrepanze, stonature e malintesi fra come io sono e come posso apparire scrivendo qui. Quelli fra voi che non mi hanno incontrato di persona, leggendo certi miei irruenti pezzi al vetriolo potrebbero prendermi per una persona cattiva e aggressiva. Mentre invece sono mite e gentile, sono schivo, sono tenero e affettuoso, sono infantile, sono fragile (fragilità di cui ovviamente mi vanto, in modo MOLTO aggressivo…), come del resto quasi tutti i veri artisti.
Come ho detto in un recente commento dalla mia carissima amica blogger Daffo, le persone mi rendono mille volte più felice e orgoglioso quando mi danno del “ragazzo gentile” che non quando mi danno del “genio”, perché di genialoidi stronzi e maleducati ce ne sono fin troppi, nel mondo, mentre la Gentilezza (se spontanea, disinteressata e sincera) scalda il cuore, di chi la pratica e di chi la riceve.
Per questo mi piace poco, ora che non sono più bambino, il Natale. Perché è l'occasione (una sola all'anno?!) in cui i conformisti provano a sentirsi più buoni. Mentre a me sembra giusto, sembra il minimo provarci (anche se poi magari non ci riesco) tutti i santi giorni...
Ma proprio questa precisazione dovrebbe suonare come ulteriore rafforzativo della necessità e urgenza di certi miei interventi, di certe mie proteste, di certe mie provocazioni: se l’editoria e il giornalettismo scodinzolante riescono a far incazzare così tanto un individuo schivo e gentile, qualche motivo ci sarà. Perché c’è differenza tra il far incazzare un bullo manesco e attaccabrighe, o un sicario mafioso, e il far incazzare un santo. O un monaco della scrittura.
Un bacio grande a voi che mi leggete.


domenica 26 gennaio 2014

Miniracconto in tre movimenti (e un p.s.)

Mo(vi)menti


PERSONE

Un uomo avanza sul marciapiede. Mezzetà, capelli lunghi, mi viene incontro così sicuro e sorridente e spedito che mi chiedo cosa voglia da me, e mi accorgo solo all’ultimo che il suo lungo bastone è bianco. Mi scanso appena in tempo, sentendomi goffo e cretino. Mentre si allontana mi volto come per dirgli qualcosa, scusarmi per aver rischiato di cozzargli contro, ma taccio, per poi chiedermi cos’avrà pensato di me. Come se per lui non fossi stato soltanto un suono di passi, e poi un respiro un po’ troppo pericolosamente vicino. Che poi: sarò davvero tanto più di un rumore di passi e di un respiro?

ANIMALI

Pomeriggio novembrino d’aria tersa. Intervallo fra uno scroscio di pioggia e l’altro. Sei papere fanno anatring lasciandosi trasportare dall’impeto del torrente rigonfio. Con l’ombrello chiuso e ancora sgocciolante cammino al loro fianco nella stessa direzione, e mi chiedo cosa faranno una volta arrivate a quel gradino laggiù, che origina una piccola rapida. Scemo d’un umano! Ovviamente si alzano in volo. Ovviamente si alzano in volo. Non le vedo già più.

COSE

Talkshow. Tema della serata: la tolleranza. Dopo l’intervento di un modello, di quelli chiamati “tronisti”, prende la parola uno scrittore (uno vero, non un deejay). 
 «Talora è doveroso essere intolleranti. Per esempio davanti all’uso scriteriato della parola, del linguaggio. Ogni volta che sento dire “cioè incredibile uau” mi vien da metter mano a una ’44 Magnum».
 «Io prima l’ho detto, “cioè incredibile uau”» insorge il modello. «Vuoi forse spararmi?» 
 «Nel suo caso si può fare un’eccezione, giovanotto: “cioè incredibile uau” è la frase più intelligente che le abbia sentito dire in un quarto d’ora».


p.s.
ci sarebbe stato materiale per un quarto tempo. L’altro giorno, camminando per Varese, mi affiancano due ragazzotte. Una, con in mano un sacchettino verde, illustra all’altra la pazzesca intelligenza del suo perspicace ragazzo: “Se vede che l’ho preso alla Casa del CD, capisce che è un CD”.

giovedì 23 gennaio 2014

Donald Barthelme - LA VITA IN CITTÀ


Donald Barthelme
La vita in città.
Minimum fax
Voto

“In russo Tolstoj significa «grasso». Suo nonno mandava a lavare la biancheria in Olanda. Sua madre non conosceva neanche una parolaccia. Da giovane si rasò le sopracciglia nella speranza che ricrescessero più folte. Contrasse la gonorrea nel 1847. Una volta un orso lo morse in faccia. Divenne vegetariano nel 1885. Per rendersi interessante, ogni tanto si inchinava all’indietro.”

1 Stavo cercando di scalare la montagna di vetro.
2 La montagna di vetro si erge all'incrocio fra la Tredicesima e l'Ottava.
3 Avevo raggiunto il pendio inferiore.
4 La gente alzava gli occhi per guardarmi.
5 Ero nuovo del quartiere.
6 Eppure avevo dei conoscenti.
7 Mi ero legato dei ramponi ai piedi e in ogni mano stringevo un solido sturagabinetti.
8 Ero a 60 metri d'altezza.
9 Il vento era pungente.
10 I miei conoscenti erano radunati ai piedi della montagna per offrire un po' di incoraggiamento.
11"Testa di cazzo".
12 "Stronzo".
[continua fino a 100]

Un grande cameriere morì, e tutti gli altri camerieri si rattrista-rono. Al ristorante venne espressa della tristezza. Fazzoletti neri vennero adagiati su braccia nere. Vennero distribuite tovaglie nere. Svariate strade lì intorno vennero dipinte di nero - quelle che portavano al locale in cui Guignol aveva servito i piatti col suo tatto leggendario. Le medaglie di Guignol (poiché, come una gran-de birra, era stato decorato più volte, in occasione di esposizioni internazionali a Parigi, Bruxelles e Rio de Janeiro) vennero conse-gnate a sua moglie, La Lupe. Il corpo venne messo a bollire per ventiquattr'ore in un bagno di vino bianco, brodo, olio d'oliva, aceto, aromi, erbe, aglio e fette di limone, e infine esposto en Aspic su un letto di foglie di lattuga. Centinaia di perdigiorno famosi si presentarono a porgere l'estremo omaggio.

Come spesso mi accade al cospetto dei libri di questo delizioso Autore, momenti di esaltazione di fronte ad alcune mezze pagine esilaranti, che sprizzano assoluta genialità, come quelle proposte qui sopra, alternati a momenti di noia per altre parti più cervellotiche e poco ispirate, quasi che Barthelme, spaventato dalla troppo elevata gradazione della propria irriverente intelligenza, decidesse di usare di proposito una qualche sorta di intellettualistico “diluente”. Saltabile a piè pari (ma questo vale sempre) la sdottoreg-giante prefazione: far presentare Barthelme da Latronico, con tutto il rispetto, è un po' come far presentare Mozart da Jovanotti. Perché lo fate, o italici editori?


lunedì 20 gennaio 2014

"LO ZIO CIECO E IL CAVALLUCCIO MARINO" su Scrittori precari


Come sempre faccio in questi casi, segnalo a chi fosse interessato la pubblicazione di un mio racconto sul blog "Scrittori precari". Credo potrà rivelarsi assai interessante per i lettori di Quattro soli a motore in attesa della mia successiva fatica: "Lo zio cieco e il cavalluccio marino", infatti, non è esattamente un racconto, bensì (proprio come "L'Alpe del Tedesco", di recente apparso su Vicolo Cannery) un intero capitolo d'assaggio del mio nuovo Romanzo.

venerdì 17 gennaio 2014

Paggine sgaruppe - LI SPORTE

Lu sporte più migghiore he lu calcio, o futtebolle, pecchè si vincono le velline, e mentre spetti di diventare nu bomber ti puoi fare le seghe su chille dei altri che fanno le sceme in tivù, o che mettono le cosce sul uèbb. Gira così tanto grano che ce nè pe ttutti, anco li proculatoni e li giurnalisti anal-fabbeti che campano col gioco induvina la vellina, che lo chiamano grossip ma a mio molesto parere lo duvribbero chiamare Fantacazzo, che tu cerchi la notizzia del risultato e invece trovi li pezzi di deretano svergugnato e zocculo, che almeno speri nun se mette a far pupù sul tuo piccì. Lu futtebolle he anco molto scompiscioso, pecchè ci stanno giocatori che si chiamano Boyata, Pirlo, Kakà e ‘N Kulu. A fare il calciatone non he molto dificile (debbi mparare a sputare, fare il segno della croce e trucare le partite) pekkùi ci sta ‘na gran fila di racomandati e figli di mafiusi e indranghetani. Poi ci sta lu rebbi che he molto sfigato e porta carenza di romanticismo pattinato, forse pecchè senza ofesa pe lle velline girano nu poco meno soldi. Eppoi a rebbi si gioca con materiali di scarto, come le porte scurnacchiate coi pali cornuti falegnamati male o i palloni difettosi a pera che gli passano gli altri sporte doppo averli ruvinati. Poi ci stanno li lanci: del peso del martello e del gianduiotto, che si chiama così perhò infilza di brutto il fesso che non si sposta, ma a me da questi lanci mi anno cacciato via a pedate pecché volevo lanciare li pesi e li martelli dove pareva ammìa, presempio in copp’a capa dello struttore se mi stava sul culo. Poi ci sta lu baschettebolle, che perhò pennoi scugnizzi malfamati di camorra he pericolosissimo pecché ci giocano le guardie. Lu golfe è da ricchioni ricchi e lu minigolfe da miniricchioni poveri. Poi ci stanno lu tenis feminile che vince chi fa più megghio gli urletti sessuali e lu tenis maschile che vince sempre a Confederer elvetico. Poi ci sta lu ciclismo che he un po come a guardie e ladri e non devi farti beccare che ti droghi con la bumba, e quindi he molto educativo e mozionante. Poi ci stanno gli sporte mericani che a me mi fanno cagare, trane l’okèi che he molto spettacoloso e in tribuna se non ti becchi u disco in faccia ti diverti pure. Invece lu besbòl nun si capisce na mazza, e lu futtebolle mericano pegio. Il bùling lasciamo proppio perdere, pe mme i birilli se li possono cacciare ‘int’u culo, insieme ale frecette e ai tavoli da pompìng. A sproposito: i tuffi gli direi io dove mettersi le palette, e u nuoto he noioso: conta solo nduvinare acchì si sposa la balenottera pellegrina (e sticazzi?). Ci stanno anco palladiqua, palladilà, barcavela, muoribordo e bocs, ma fano tutti bastanza cagà. Poi ci sta la lippica di pòdromo, che he molto dificile pecché per scummetere duvresti sapere primma a chi he lu cavallo drogato o a chi he lu fantino pagato pe ffrenare. Se i cavalli ti fanno senso o paura ci stanno pure le corse cu i cani, i fessicotteri e i bacherozzi. Eppoi ci sta lu sci, che io nun capisco comme fano tante milliaia di persone a stare in coda al fredo che sembra l’ora di punta in una città pe ffurmiche polari pe pprendere gli skìff, pe ppoi tornare subito giù a rotta di culo in equilibrio su dei cosi che servono pe ffrasturnarsi le gambe o farsi venire il dramma cranico, invece di stare su in cima a guardare il panorama. Si vede che li pagano moltobene, pe ffarlo. Ah, ci staressero anco li sullevamenti appesi, ma bisogna tenere la faccia da bulgaro gonfiabile e viene l’ernia, e all’ora, come dice il zio Aristobecco, megghio deddicarsi al sulevamento dell’argano genitale maschile, che perhò nun aggi caputo cu mminchia jè.

martedì 14 gennaio 2014

3 giorni da 5 ore sarebbero il giusto. Anzi, fin troppo.


IL LAVORO È VIETATO
 (DOVREBBE ESSERLO!!)
AI MINORI E PUÒ CAUSARE
 DIPENDENZA PATOLOGICA

Secondo le esternazioni americane di fine estate del nostro presidente del consiglio Letta, dovrebbe essere nientemeno che l’ONU a dichiarare nientemeno che GUERRA “alla DISOCCUPAZIONE mondiale” (!?!). 
E io che credevo che il problema del pianeta (oltre a quello ovvio che dimentichiamo troppo spesso: la SOVRAPPOPOLAZIONE) fosse lo schiavismo, la mobilitazione totale e compulsiva sotto le insegne sataniche del lavhorror! E io che pensavo si dovessero spendere parole per la tragedia di milioni di schiavi-bambini, di milioni di automi adulti sfruttati per pochi centesimi dentro fabbriche-lager e laboratori-sgabuzzino (o per la costruzione di stadi e infrastrutture per i mondiali di calcio nel catarroso Qatar), di milioni di persone che si beccano il cancro nel nome del Pil, di milioni di pendolari che passano più tempo fra sgobbo e carri bestiame (o dentro auto trasformate in pericolose cabine telefoni-che per distratti servi della GLEBAlizzazione) che a VIVERE, di milioni di genitori stressati che vedono i loro figli per pochi minuti, peggio dei divorziati di una volta (e vorrebbero, a malincuore, vederli ancor meno, perché sono così disperati da pretendere la sqhuola a tempo pieno aperta tutto l’anno!), e che fanno fatica a resistere ai ritmi infernali persino con l’aiuto dei (poveri) nonni, e della piaga del rigenitoraggio geriatrico obbligatorio! 
Tutti precettati a produrre ricchezza (ALTRUI) e un sacco di roba inutile, senza mai un minuto libero, depredati del Tempo di esiste-re. E tutto questo delirio per cosa? Per diventare ogni giorno più tecnoglioniti e griffati, più indebitati e truffati, più inferiorizzati dalla tv, più abbrutiti e banalizzati da fessobukko e cippicippi e più app-anculo-dipendenti, più viaggiatori coatti e consumisti folle-mente spreconi, cioè più sprechisti (mostri che buttano la pasta avanzata nel cesso invece di riscaldarla per cena, o di farne meno). Ogni giorno più debilitati dalla frenesia e più minati dall’inquinamento (non c'è trombone di destra, centro o sinistra che non consideri il "dare lavhorror" prioritario rispetto all'ambiente, alla salute, alla vita stessa, come quelli che pregano i russi - i russi! - di venir qui a produrre acciaio). Sempre più spremuti e tartassati da governanti allo sbando. E resi sempre più insensibili, cattivi e maleducati dagli avidi maestri che anche dall’oltretomba insegnano: “Be shark! Be strunz!” 
Sembri una persona onesta e intelligentina, gentile presidente, e hai pure la mia stessa età e la mia stessa passione per il subbuteo. E allora leggiamoci Bertrand Russell e John Maynard Keynes (che già per la fine del secolo scorso prefiguravano, con l’aiuto di una tecnologia usata per aiutarci anziché per incularci da soli, settima-ne lavorative di quindici ore), leggiamoci Serge Latouche, e poi proponiamo qualcosa di NUOVO, invece di fare i galoppini del pro-fitto e dei profittatori! E invece di agitare lo spettro della FAME (come fanno quelli che si fingono terzomondisti per meglio asservi-re il terzomondo, inesauribile miniera di nuovi schiavi e futuri con-sumisti, a loro volta colpevoli di proliferazione irresponsabile) impa-riamo ad agitare qualche benedetto PRESERVATIVO!


DIVENTA ANCHE TU OBIETTORE DI CRESCITA!

p.s.
Un piccolo (e impietoso) confronto:
"Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché quando compro qualcosa non lo compro coi soldi ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi esser sobrio nei consumi. L'alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui che però ti tolgono il tempo di vivere. Lo spreco è funzionale all'accumulazione capitalista che per essere alimentata ha bisogno che compriamo di continuo e ci indebitiamo sino alla morte... Chi non è felice con poco non sarà felice con niente".

(Josè “Pepe” Mujica, Presidente dell’Uruguay)

martedì 7 gennaio 2014

AMARCORD LICEALE


K.H. Rummenigge e la filosofia da liceo


Ho sempre avuto in puzza i piciorla che non sanno fare il loro mestiere, ma ci campano benbene sulla pelle e sulle palle degli altri, con gran facciatosta: elettricisti sabotatori dell’impianto di casa, medici che ti fanno ammalare di più, piastrellisti che piazzano nel pavimento cunette o dossi, scrittorucoli senza idee né talento, insegnanti privi di passione e a malapena ferrati nella materia che “insegnano” prendendola paripari dal manualetto in dotazione, speaker televisivi con problemi di dizione e di pronuncia, arbitrelli paraculati che non azzeccano un fischio, e chi più ne ha più gli metta in mano una zappa. Ammesso che sappiano zappare.
La professoressa K era una così. Ce la ritrovammo dietro una cattedra al liceo di Castelprete. Materia: nientemeno che Storia e Filosofia. La professoressa K (che tosto la Commissione Sopranno-mi ribattezzò Svampara, la svampita somara) era la classica persona che anche se sei un pischello proprio non capisci come faccia a stare . Come si sia laureata. Come abbia vinto concorsi. Chi l’abbia raccomandata. Dove cazzo sia finita la professoressa vera, per avere la quale tuo padre pagherebbe pure le tasse. Era anche buffa, poverina: certe mattine arrivava in classe tutta arruffata e spettinata, e con strani vistosissimi succhiotti sul collo. Qualcuno arrivò a sospettare fosse sposata con un vampiro. Di certo non con un filosofo. Altrimenti qualcosina sulle basi del lavoro l’avrebbe imparata.
La professoressa K divenne soprattutto famosa per i suoi incredibili strafalcioni, farfugliati con la bocca a culo di gallina, e pieni di "ecciuetera ecciuetera" (quando spiegava sembrava lei la ragazzotta interrogata, una ragazzotta che non solo non ha studiato, ma che proprio non ci arriva). Mi divertivo a segnarmeli su foglietti o pagine di quaderni, blocchetti e diari, purtroppo in modo dispersivo, troppo alla rinfusa per conservarli bene. (Ero tremendo: segnavo anche con crocette a matita sul banco i tic verbali dei prof. Memorabile la performance di una tizia di Francese, che riusciì a dire in un’ora le bellezza di 106 “Va bene” – e nemmeno un Va bien. Il mio banco pareva un cimitero militare). Ma l’altro giorno ne ho ritrovato qualcuno su un taccuino che prendeva polvere in cantina. La cosa incredibile è che fanno parte della stessa mattinata, non più di un'oretta e mezza fra storia e filosofia:
“Come ho già spiegato la prossima volta…”
“I contadini non pagavano più le tasse in soldi, ma in denaro”.
“La differenza fra le banche inglesi e le banche inglesi delle altre nazioni…”
"... il dilemma ontologico che si risolve nell'ecciuetera ecciuetera".
“Lettere scritte a un pellerossa degli Urali: un Urone”.

La professoressa K spesso interrogava “dal posto”, per continuare non vista a farsi obliqui cazzi suoi sul ripiano della cattedra. Solo che la nostra classe era famosa per la tendenza al brusìo (ci fu una supplente scalcagnata di matematica che scambiava il cestino dei rifiuti per un portaombrelli, e poi passava tutto il tempo a urlare “Bisogna fare silenzio?!”, solo che siccome ci metteva il punto di domanda – ma da dove cazzo era spuntata, pure quella? – non le davamo retta e proseguivamo col brusìo). 
A metà interrogazione le comunicazioni si facevano ardue, bisognava gridare, specie se l’interrogato stazionava, come me, nelle ultime file di banchi. La professoressa K latrava le sue domandine stupide e l’interrogato ululava le zoppicanti risposte. Fortuna che l’ufficio del preside era lontano e fuori tiro acustico. 
Quella volta toccò a me. Interrogato in filosofia. Dal posto. Naturalmente avevo passato il pomeriggio precedente al campetto di basket e non sapevo una minchia, ma era inutile sprecare munizioni per giustificarmi (avevamo a disposizione due “G” a quadrimestre per materia, da considerarsi vere e proprie pallottole antiprof: fra noi non si diceva “Oggi mi giustifico”, si diceva “Sparo!”) La distanza mi avrebbe permesso di consultare appunti a piacimento. 
L’interrogazione filò via abbastanza liscia. Non degnavo di un’occhiata gli appunti e, anzi, con mia grande sorpresa più andavo avanti più mi scoprivo ferratissimo pur non avendo (come sempre) studiato una mazza, talmente fiero delle mie belle argomentazioni da cominciare a indispettirmi davanti all’evidenza che Svampara non si stesse degnando di afferrarne una sillaba, anche se ogni tanto alzava la testolina arruffata dalle sue misteriose carte, mi guardava pensierosa con l’aria di chi ti sta mettendo a fuoco per capire nonostante la miopia chi cazzo sei e cosa cazzo vuoi da lei, e annuiva. Fu così che, dopo aver a fatica intuito la sua ultima domanda (la sua voce un po’ si sentiva perché era stridula e acuta, fastidiosa come un violino suonato male) quasi per protesta presi la decisione di abbassare la mia voce invece di alzarla. E la mia geniale risposta a quella profonda e articolata domanda filosofica che nemmeno ricordo fu la seguente:
“Nel primo tempo l’Inter è scesa in campo schierando:
Zenga; Bergomi, Baresi; Mandorlini, Collovati e Ferri; Causio, Marini, Altobelli, Brady e Rummenigge”.
Presi un bellissimo otto, e per i miei compagni, juventini compresi, divenni un Eroe.


sabato 4 gennaio 2014

Eresia flash: C'ERA UNA VOLTA L'INFANZIA

VIENI AVANTI, PRE-TEEN!

"Un giocattolaio mi ha spiegato che ormai i bambini sopra gli otto anni non giocano più e non si chiamano neanche più bambini: il mercato li chiama pre-teen e li ha trasformati in piccoli consumatori di tecnologia e abbigliamento". 
(Claudio Rossi Marcelli, Internazionale)

Pre-teen. Un film dell'orrore mi avrebbe fatto meno paura di questa rivoltante notizia.
Se poi, aggiungo io, gli sventurati pre-teen hanno pure genitori cre-teen, che li lasciano tutto il giorno in balìa della stronza pubblicità...
Non credo servano ideologie di alcun tipo per capire che quelli compiuti giorno dopo giorno dal "mercato" (o sarebbe più giusto chiamarlo "merDato"?) assomigliano sempre più a CRIMINI contro l'umanità e contro l'intelligenza.
Del resto, sono arrivati a spacciare per "Progresso" l'arrivo degli occhialetti da schiavo...
Un amico mi ha detto che secondo alcune voci la sperimenta-zione avrebbe subìto un rallentamento, perché gli occhialetti da schiavo provocherebbero vertigini e nausea. Speriamo sia vero. Speriamo sia vero. Ché almeno, dove non arriviamo più a ribellarci col cervello, sappia ribellarsi il nostro CORPO!

p.s. fuoritema:
oggi, dalla prima pagina del Corriere della Sera, apprendiamo che New York si trova sulla costa nord OCCIDENTALE degli Stati Uniti. Nel frattempo, una copia del quotidiano è arrivata a costare 1 euro e 40 centesimi, quasi 2.800 vecchie lire. Persino il mio settantanovenne abitudinario padre, che lo acquista tutti i giorni da decenni, si sta facendo venire qualche dubbio...


mercoledì 1 gennaio 2014

Dimmi quanti botti spari e ti dirò quanto intelligente sei



"Si fecero fuochi d'artificio in tutti i continenti. In Italia si spa-rarono più petardi che per la caduta di Mussolini. In Kazaki-stan una combriccola di nomadi avvinazzati si impadronì di una base missilistica e, tanto per far festa, lanciarono due testate nucleari intercontinentali. Un paio di giorni dopo si seppe che una aveva raggiunto l'Atlantico al largo della Mauritania, dove l'esplosione aveva provocato uno tsunami. L'altra aveva colpito Sumatra. Come l'avessero presa in loco, non è dato saperlo."

Arto Paasilinna, L'ALLEGRA APOCALISSE, Iperborea
(Traduzione dal finlandese di Nicola Rainò)


Questa non è una vera e propria recensione, ma già che ci sono vi dico che il mio voto al libro è 8.

Auguro a chi mi legge e a chi mi vuole bene (le due cose, quasi sempre, coincidono) un 2014 traboccante di salute, serenità, affetto, tenerezza, belle letture, emozionanti esperienze artistiche, e tanto Tempo libero per fare ciò che vi interessa, che vi diverte e che vi piace. Tutto il resto è molto, molto secondario.