"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

lunedì 27 gennaio 2020

In memoria di Rob Rensenbrink (e di Pietro Anastasi)


Sei stato uno dei campioni della mia infanzia, e forse, dopo quel palo all’ultimo minuto nella finale Olanda-Argentina, uno dei motivi per cui nella vita ho sempre preferito il fascino degli sfigati e degli ingiustamente sconfitti all’arroganza dei vincitori pigliatutto, alla prepotenza dei dominatori assoluti e magari imbroglioni, ai re delle botte di culo che di avere culo nemmeno lo ammettono. 
Te ne sei andato a 72 anni, e dalle nostre parti se ne sono accorti in pochi. A me dispiace che tu non ti sia potuto accorgere del piccolo omaggio che ti dedicai attraverso un mio romanzo. Chissà, forse, se “Quattro soli a motore” avesse avuto almeno un briciolo della fortuna che meritava, se avesse fatto gol invece di finire sul palo dell’indifferenza (o di un ostracismo peloso nei confronti dell’autore) sarebbe stato tradotto in molte lingue, e ne saresti venuto a conoscenza. Può darsi che non te ne sarebbe fregato un accidente. E può darsi invece che ti avrebbe regalato un fugace attimo di soddisfazione e felicità. Ciao grande Rob, dai tuoi amici sconosciuti, Nicola e Corradino.



Quando ci avviammo verso casa, la luna era conficcata nel cielo nero come un gancio di macelleria, e mi veniva da piangere. Il concerto dei grilli era così bello e assordante che quasi illuminava la notte al pari dei minuetti di lucciole di poco tempo prima, ma io ero contento che di luce ce ne fosse poca, e fioca, e che le mie probabili lacrime non si sarebbero viste. Intanto sfogavo la stizza prendendo a calci tutti i sassi che trovavo. 
Altro che fissare il giallo di Jongbloed! L’avevo seguita sì, la partita. L’avevo vissuta facendo un tifo disperato per la mia Olanda orfana di Cruijff, insultando Passarella che con una gomitata aveva spezzato due incisivi al leggendario Johan Neeskens (l’arbitro italiano, non essendo un dentista, dovette pensare che non fossero problemi suoi). E quel broccaccio di Jongbloed era stato semmai un traditore, il peggiore in campo dopo l’arbitro e il guardalinee, mentre il loro portiere Fillol, di cui mi perseguitava come lampo al magnesio conficcato nella retina un primo piano maestoso in replay, con occhiaie sbarrate da indio dipinto coi colori di guerra, era stato il migliore. Fillol aveva parato tutto, tranne il pareggio di Nanninga. E quando non avrebbe potuto parare, l’aveva fatto per lui il palo alla sua destra, sul tiro ravvicinato che Rob Rensenbrink, di controbalzo, scoccò al novantesimo a colpo sicuro. Lo stesso palo che avrebbe poi invece fatto da sponda per la carambola del 2-1 di Kempes nei supplementari. Il palo destro della porta di destra: un palo fascista, un agente di Videla. 
Mio Condottiero Sconfitto, mio immenso Rob Rensenbrink: poteva bastare, chissà, un’allacciatura di scarpino diversa o un taglio diverso dell’erba a governare il rimbalzo del pallone, e il tuo urlo del Gol, ed il mio, non si sarebbe mozzato in gola, e la Coppa l’avrebbero alzata i miei eroi, Tu, e Johnny Rep e Arie Haan e Wim Rijsbergen e Rudy Krol. E invece, e invece… 
«Non capisco perché te la prendi così» mi fece a un tratto Gianni, squadrandomi con sospetto nell’oscurità di via Roccolo. «Non era mica l’Italia!»



Non avevo invece commemorato Pietro Anastasi. Non perché non ne fosse degno, ma perché troppi altri lo avevano già fatto assai meglio di quanto avrei potuto farlo io. Inoltre non amo trasformare il blog in un luogo di necrologi, che a volte sembra che uno li scriva per farsi bello, per non parlare della sgradevole impressione di aver tenuto il “coccodrillo” già pronto in attesa della dipartita, come fanno molti giornalistozzi. Ma voglio adesso condividere un piccolissimo ricordo che mi lega a lui. Anni fa, mi capitava spesso di incrociarlo nelle mie camminate lacustri, io come sempre solitario, lui in compagnia della moglie. Nell’incontrarci, dedicavamo l’uno all’altro un saluto simpatico e gentile, un sorriso vagamente complice, e poi ognuno per la sua strada. Il significato del mio sorriso era: so chi sei, ma non voglio romperti i coglioni rovinandoti la tranquillità di questa bella passeggiata. Il significato del sorriso suo era: ho capito che sai chi sono, e apprezzo molto la tua discrezione volta a non rovinare la tranquillità di questa bella passeggiata. Ti ricordo così: come un uomo dal sorriso simpatico e gentile, che amava camminare in santa pace negli stessi luoghi in cui amavo camminare io.

mercoledì 22 gennaio 2020

Maiale (NON) lo dici a tuo nonno! (Breve riflessione su uno stupido coro natalizio ragliato alla tv tedesca).


Insegnare ai bambini a cantare “Mio nonno è un maiale inquinatore” è inquinamento della mente, del cuore e dell’anima. In confronto, i porci inquinatori dell’aria diventano quasi dei Santi. I tedeschi, appena usciti dal nazismo della razza stanno forse inventando il nazismo dell’età (altrettanto pericoloso e persino più imbecille, come dimostrato nel secolo scorso da certe teste di cazzo asiatiche, che ti mandavano in un lager se eri over 30 e un po’ istruito)? E poi, perché mai vostro nonno sarebbe più inquinatore dei vostri genitori coi loro Suv diesel-camere a gas ambulanti, di vostro zio che prende l’aereo anche per andare dal barbiere, o della vostra sorellina che cambia smerdofono ogni sei mesi, e scarpe ogni due giorni? Forse perché fuma la pipa?

martedì 7 gennaio 2020

LE ETÀ DI CORRADINO


Nella nuova avventura (che uscirà fra meno di due mesi) il mio impertinente, dolce, sboccato, adorabile Corradino avrà 13 anni. Chi se lo fosse perso undicenne (Quattro soli a motore) e dodicenne (Chiudi gli occhi e guarda) fa ancora in tempo a rimediare.
Senza dimenticare che esiste anche quello ventenne (Mailand) e trentaseienne (Agonia di una Fata e altri sfaceli).

A prestissimo!