"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

domenica 22 febbraio 2015

AGONIA DI UNA FATA E ALTRI SFACELI – altri due giorni da quel maledetto diario del 2003 (versione condensata per il blog)



LE TRE PAROLE PIÙ BELLE:
AKSARA, SHRIVE, MAMMA.


23 maggio (venerdì)

Fianco a fianco, affacciati alla finestra della cucina, guardiamo la fioritura deliziosa delle roselline rampicanti. Torna un po’ a letto, finisco di cucinare io. Intanto oggi, per la prima volta, sul corriere cultura si decidono finalmente a parlare di Raimon Panikkar, a proposito di un nuovo libro appena uscito da Rizzoli, non certo il migliore né il più importante dei suoi (ma si sa, nel povero mondo culturale lobotomitalico esisti solo se lo certificano i grandi editori). 

Fra le sue parole che più hanno colpito il cuore della mamma, c’è la similitudine dell’acqua. Panikkar dice che in molte antiche culture si paragona il singolo individuo a una goccia d’acqua. Da cui la domanda, bellissima e decisiva: che cosa siamo noi? Qual è la nostra vera essenza? Siamo la goccia dell’acqua, o siamo l’acqua della goccia?!
Se si capisce che la risposta giusta è la seconda, si accetta l’idea della morte con serenità, ci si divincola dalla trappola malefica dell’Ego.

Ho perso sette chili, nell’ultimo mese, come se il malato fossi io. Un po’ preoccupato, un po’ contento (potrò recuperare pantaloni vecchi, invece di buttar via soldi per dei nuovi). Pomeriggio di letture. Poi ci guardiamo il tenente Colombo (Progetto per un delitto). Si alza con entusiasmo a vederlo. Interruzioni per telefonate della Simo e della nonna, che parlano brevemente con me. La nonna sembra solo preoccupata che in fondo non ci sia nessuno, nel reame, che possa stare più male di lei, che sta benissimo. 

Dopo cena ascoltiamo un po’ di musica. Passa l’Alberto. Film americano stupidissimo (La rivincita della bionde, affanculo). 
Per cercare di vedere le lucciole, esco addirittura col binocolo. Niente.

I modi, e i tempi, con cui Panikkar e i suoi scritti sono venuti da me hanno qualcosa di stupefacente e di sovrannaturale. 
Lo incontrai per caso grazie alla tv Svizzera, una sera sul tardi. 
Mentre da noi andava in onda la solita cacca, loro trasmettevano un documentario intervista dedicato a questo sacerdote filosofo, di padre indiano e madre catalana, un’incredibile figura dolce e carismatica, uno di quegli uomini che ti trasmettono intelligenza e serenità al solo guardarli negli occhi, amico personale del Dalai Lama. 
Era la fine della scorsa estate, e feci appena in tempo a conoscere quest’uomo, e a sapere che aveva curato la traduzione dal sanscrito degli antichi testi della rivelazione vedica, perché poi la tsi, unico canale decente che si captava dalle nostre parti, sarebbe stata oscurata da una televisioncina commerciale italiota che trasmette telepromozioni e televendite, intervallate da qualche filosofico sprazzo di pubblicità. 
Alla fine di gennaio, la mamma mi avrebbe poi regalato, per il mio trentaseiesimo compleanno, le videocassette prodotte dalla tsi, con tutte le quattro puntate dedicate a lui.
Ma la cosa stupefacente è capitata a metà fra i due avvenimenti.
Il 6 dicembre, giorno di San Nicola, mi aggiro senza una meta tra gli scaffali di Pontiggia, la mia libreria preferita a Varese. Nella tasca interna del mio elegante cappotto di seconda mano ho una busta da imbucare, contenente la lettera indirizzata alla tsi in cui chiedo informazioni sulla possibilità di acquistare quei documentari.
In quel preciso momento, non sto pensando né alla busta né tantomeno a Panikkar. Sono inginocchiato per passare in rassegna la fila più in basso nel reparto dei classici, non ricordo in cerca di cosa, forse Thomas Mann, forse La montagna incantata, che non c’è. 
Nel rialzarmi, mi ritrovo dritto davanti agli occhi un cofanetto contenente due volumi. Ci metto un po’ a mettere a fuoco la scritta, anzi, ci metto un po’ a lottare contro la mia pigrizia di non mettere a fuoco per niente. Poi, leggo: Raimon Panikkar. I Veda. Mantramanjari. Testi fondamentali della rivelazione vedica. 
Li compro subito.
Ulteriore stranezza: questo bouquet floreale (manjari) di preghiere (mantra) era lì, fra i romanzi, e non dove sarebbe dovuto stare: al piano di sopra, fra i libri di religione o di filosofia.

Raimon Panikkar mi ha regalato una delle due Parole capaci di commuovermi nel profondo. È un termine sanscrito, AKSARA. Significa, al tempo stesso, la Sillaba e l’Imperituro. 
L’altra è un verbo biblico, SHRIVE. Me l’ha fatta conoscere Raymond Carver, e anche questa ha un multiplo significato: essere uno scriba, ma anche ascoltare la confessione, assolvere, purificare.
Sono due Parole che mi fanno pensare agli Scrittori come a una stirpe sacerdotale, che mi stanno spingendo a diventare un Monaco della Scrittura. 
Questo non vuol dire che io ne sia all’altezza.
Vuol solo dire che me ne sento attratto, mi sento chiamato, pur sapendomi indegno.

24 maggio

Ha di nuovo mal di gambe. Ha dovuto ritornare a letto dopo colazione, non trova una postura che vada bene. 
Invece di lamentarsi mi chiede E tu come stai. 
E tu come stai!

Vengo un po’ a scrivere, poi torno in camera sua e c’è lì l’Alberto con in mano delle cesoie enormi. Si scherza un po’. La mamma ricorda quando da bambina andava a giocare di sera attorno ai covoni di fieno, e arrivava il contadino in bicicletta gridando “Ve taj via i urécch!” 

Poi papà ha bisogno d’aiuto per stendere le lenzuola, viene anche l’Alberto a tendere nuovi fili con una pinza, insomma sembriamo un battaglione, lì in mezzo al prato, una squadriglia di tre uomini per stendere due panni. La cosa ci fa sorridere, ci mette di buon umore, ci fa sentire uniti, oltre che stupidi. Parliamo un po’ dei fiori, delle piante del giardino, di ciò che va bagnato, di ciò che va estirpato, forse oggi l’Alberto va dal Donghi a comprare qualcosa da piantare qui sotto al balcone, dove ci sono solo erbacce. 

La convinco a telefonare al dottore: infatti le dice di ricominciare a fare due punture di fraxiparina, una ogni dodici ore. Poi lunedì da lui, che la manderà dall’angiologo (pensare che è un così bel nome, sembra il medico degli angeli!) 

Do da mangiare al pesciolino. Sparite le macchie nere sulla coda che facevano pensare a una brutta malattia: forse un segno buono degli Dèi? 
Devo piantarla, di vedere segni dappertutto.

Spunta il Ciaomama, questo africano furbetto ma simpatico che ha fatto della questua una professione. Arriva qui in treno ogni due mesi dalla provincia di Bergamo! Deve avere un tabulato clienti (che lui chiama “persone che aiutano”) di cui facciamo parte, e che usa anche per spedire biglietti d’auguri. I primi tempi, faceva almeno finta di vendere fazzolettini di carta. Adesso prende i soldi e basta, quei pochi che possiamo dargli. La mamma a volte ci aggiunge una scatola di pasta o altro. Un giorno lo abbiamo invitato a pranzare con noi. “Grazie mama! Grazie fratélo!” Mio padre lo prenderebbe a calci, se potesse. E stiamo parlando di un uomo fin troppo buono e in queste cose generoso, un vero cristiano ateo, l’unico che abbia mai visto in spiaggia dare monete a chiunque, zingari compresi. Ma ‘sto Ciaomama proprio non lo regge, è più forte di lui. Comunque, oltre alla solita offerta, gli offro da bere. La mamma che è a letto mi dice di dirgli che abbiamo ricevuto il suo biglietto di Pasqua. 

Partite in tv. Mio fratello con le bimbe e le casse coi fiori da interrare. Telefonata della Lina di Berna, la voce che ci regala più conforto. Poi fuori con l’Alberto e la Marta appena svegliata. Bagno il giardino con l’Alice, io con l’annaffiatoio grande, lei mi imita con quello piccolo. Poi vuole del succo di mela. “Quando guarisce la mia nonna?” 

Dopo cena le do il walkman con la cassetta di Cochi e Renato che mi registrò un commilitone di Modena. Che Felicità sentirla ridere, e poi canticchiare La vita l’è bella!!

Promemoria. Spolverare. Cercare qualcuno per iniezione sul braccio, per non martoriarsi più quella povera pancia. Tavolino per mangiare a letto.

Fantasmi o albanesi nella notte? (Prima un gran colpo in sala, il tonfo di qualcosa che cade, poi parte da sola una cassetta di musica classica a tutto volume!!) No, è il gatto deficiente, che ha raggiunto lo stereo via trave della parete sopra il camino, e con una zampata ha ottenuto questo incredibile effetto. Finisce giù in cantina. Risate con la mamma.

martedì 17 febbraio 2015

UN NUOVO AMICO CHE CAPISCE DI SCRITTURA

Autori poco noti in italiA:

Edgar Hilsenrath

Dan Fante
Donald Ray Pollock

italiano sconosciuto

Vedendo, qui nella colonnina di destra, il modo in cui Francesco, blogger italiano che vive e scrive a Barcellona e pubblica in Spagnolo, si è sbilanciato nei confronti di Quattro soli a motore (“Il miglior libro di uno scrittore italiano dai tempi di Pirandello”) un mio conoscente si è chiesto, in modo del tutto legittimo anche se un po' provocatorio, se e quanto questo signore capisca di Scrittura e di Scrittori.
Credo che verificarlo sia piuttosto semplice: basta guardare quali siano gli altri scrittori e libri che gli piacciono. (Vale anche per Paolo Zardi, che ha messo Quattro soli fra i cinque romanzi più sottovalutati di sempre, e che notoriamente ama Philip Roth, Martin Amis, Nabokov, Gary e Flaubert).
Se Francesco adorasse Moccia, la Tamaro, Coelho, e la sega, volevo dire la saga, delle (1)50 flatulenze vaginali, o certi scialbi e insignificanti italianozzi da classifica, dubbi sul valore del mio romanzo potrebbero nascere, per assurdo e di riflesso, persino in me.
E invece, guarda caso, è stato proprio grazie al blog di Francesco che ho potuto conoscere, negli ultimi mesi, alcuni fra i più notevoli autori della mia recente vita di lettore, per il solo fatto che in un suo post figuravano nello stesso elenco di scrittori audaci e capaci di emozionare in cui aveva messo, bontà sua, anche Nicola Pezzoli: 
Edgar Hilsenrath, Dan Fante, Donald Ray Pollock, Hubert Selby, (i primi due ve li consiglio impetuosamente!) più tanti altri che conoscevo già, come ad esempio Charles Bukowski o Sherwood Anderson.
Tutto questo, oltre a permettermi di passare ore splendide come lettore, mi ha confermato come io stia facendo, con tutti i miei limiti e checché ne dica – anzi NON dica – la bella e onesta gente che mi ignora, un buon lavoro da scrittore.
E anche di questa aumentata consapevolezza ti ringrazio, mio nuovo sconosciuto Amico. Così come ringrazio l’altro Amico che ti consigliò il mio libro. Perché il passaparola sarà pure debolissimo e lento, ma per fortuna esiste e funziona, ed è anzi ormai l’unico appiglio per sperare di leggere libri decenti, in un mondo drogato dal mercato, dalla stupidità e dalla malafede mafiosella, e questa piccola storia lo ha dimostrato.
De nuevo muchas gracias, amigo!


sabato 14 febbraio 2015

UNA PICCOLISSIMA CURIOSITÀ


Come molti di voi già sanno, per preservare i miei neuroni dallo scempio finale – e il mio esofago dal transito di eccessive mareggiate di vomito – da anni mi tengo alla larga da trasmissioni televisive con esseri umani che blaterano più o meno dal vivo: telegiornali, talkshow, reality, talent, telequiz, pubblicità. Questo isolamento protettivo è una manna, una benedizione, però al tempo stesso mi espone a nuovi stati d’ignoranza. Ignoranza voluta, s’intende. Però a volte mi nascono piccole curiosità impossibili da soddisfare. Perché io in compenso leggo molto, ma leggendo ci vengono precluse (risparmiate?) le “pronunce”. Magari qualcuno di voi può aiutarmi a chiarirne una, davvero piccolissima: i pappagalletti stupidini che si riempiono di continuo il becco con l’insulsa espressione “2.0”, la pronunciano (intendo dire parlando fra “italiani”) “duepuntozero” o, come invece temo, “tudabtziro”?

mercoledì 11 febbraio 2015

SCIACALLI DI MERDA, CHE IL VENTO VI DISPERDA


È successo di nuovo. Stavolta a una mia vecchia cara amica. Funerale del padre, e nel frattempo i ladri a domicilio. Sta diventando un’abitudine. Evidentemente le merde senza onore s’informano sulle persone che muoiono, su data e ora della cerimonia, e vanno a colpo sicuro. Suggerimentino alle forze dell’ordine: quelle date e quelle ore, e quegli indirizzi, sono noti pure a voi. Magari qualche bell’appostamentino in difesa del “sacro e inviolabile” domicilio dei cittadini, e qualche autoveloxino in meno. No?

domenica 8 febbraio 2015

Il Rispetto non è per tutti: bisognerebbe meritarselo...




O brutto porcu puzzi! Non ti puoi lavà?
O capitan du cazzi, cerca di stare luntà
Non mi sta a guardare, non ti stacchi più
Guarda li pesci in mare... buttati giù!

eh... ah... du tu vu ndà? oh oh oh
oh Cavrones... du tu vu ndà?!


Dedicata a chiunque faccia del male a qualcun altro per un pensiero, una parola, un disegno, una musica, una scultura, un modo di essere, un modo di amare. Perché, come ha recentemente detto il sindaco di Rotterdam (musulmano) "Se non vi piace la libertà, ve ne potete anche andare". A cag***.

giovedì 5 febbraio 2015

Eresia flash: GIÀ MANGIATO, GRAZIE. ADESSO VORREI LEGGERE

Sento parlare di un concorsino, lanciato da una nota “scuola per scrittori” (sic!) che si propone di legare narrativa e gastronomia a suon di “mangia & scrivi”. Naturalmente rilanciato ed elogiato dai giornalisti come “idea MOLTO originale”… 
Già, se ne sentiva il bisogno: non eravamo abbastanza sommersi da divistico cuocume, non abbastanza minacciati di indigestioni bulimiche da Expo, attorno a cui si annuncia un profluvio di edificanti videotemini politically correct sulla storia del “cibbbo”. Nel frattempo i quotidiani sfruttano la scia e lanciano le loro serie di storie cuciniere da pagare a parte, ingolosendo i lettori con originalissimi e minacciosi slogan del tipo “assaporerai ogni singolo foglio”!
Ma non ci avrete un pochettino trifolato gli zebedei?
Io, oltre a consigliare una bella scorta di citrosodina per la mente e di maalox testicolare, proporrei invece, al contrario, il lancio di uno speciale marchio di garanzia, che potremmo chiamare semplicemente NO FOOD, da applicare ai Romanzi scritti come si deve – cioè senza indulgere alle furbetterie modajole – da Scrittori che non accettano di essere disciplinati scolaretti che fino a ieri scrivevano pappagallescamente di politica e oggi si sentono obbligati a scrivere di trippa e barbabietole. Perché i bei Romanzi magari si “divorano”, ma di sicuro nun se magnano.
(“Questo romanzo è certificato NO FOOD: NON contiene nessuna ricettina del ca***!”)
A garanzia del fatto che in tali Romanzi nulla di volgarmente ricettistico andrà a corrompere il Piacere della vostra Lettura. Perché come tutti sanno la degustazione di quella divina Ambrosia che è la Buona Scrittura è attività che si svolge (di solito DOPO aver fatto il ruttino) preferibilmente in salotto o in camera da letto (o in viaggio, o sotto l’ombrellone), e non certo nel cucinino mentre le cipolle bruciano e i sufflé vanno in vacca.