"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

giovedì 31 gennaio 2013

NICK ON THE ROAD, secondo giro: minitour del Veneto


prossime presentazioni del romanzo
QUATTRO SOLI A MOTORE


venerdì 22 febbraio PADOVA ore 18.30 presso Corte dei Leoni
evento sugarSPRITZ promosso da Associazione Culturale Sugarpulp
con Paolo Zardi, Francesco Coscioni, Nicola Pezzoli.

sabato 23 febbraio VERONA ore 11 libreria laFeltrinelli,
via Quattro Spade n°2
Guariente Guarienti, Francesco Coscioni, Nicola Pezzoli.

mercoledì 30 gennaio 2013

N'oublie pas l'anniversaire de Nicolas!




Da bambino mi capitò di emozionarmi sentendo alla radio una canzone francese che alla fine del ritornello sembrava parlare proprio del mio compleanno. 
Io e la mamma cercammo il disco disperatamente, solo che ai venditori dicevamo “quella canzone francese che fa… che dovrebbe intitolarsi… L’anniversaire de Nicolas”, e quelli ci guardavano come se fossero stati sul punto di chiamare la neurodeliri.  
Finché adesso, grazie a youtube, l’ho trovata, poco tempo prima di compiere 46 anni. S’intitolava Voici les cles, (non ci sarei arrivato mai!) e la cantava Gérard Lenorman.
Qualcuno aveva caricato anche il micropezzetto di pochi secondi che dice soltanto “Et n'oublie pas l'anniversaire de Nicolas”, e così avevo pensato di usarlo per fare gli auguri a questo bambinetto quarantaseienne… 
Ma poi, per le misteriose dinamiche del web, quel pezzettino è stato rimosso, e così, se vi va, beccatevela tutta, anche se il frammento che mi intenerisce e mi commuove è soltanto quello, mentre la canzone intera può persino sembrare un po' stucchevole...
Contrordine: è appena miracolosamente ricomparso anche il pezzo breve . :)
"E non dimenticare il compleanno di Nicola..."

martedì 22 gennaio 2013

Assaggi di romanzi inediti - da "LA CAMPAGNA PLAXXEN": prima parte del PROLOGO


(di alcuni Cristi fuggiti via dal carrozzone)



Avevo promesso alla mia amica blogger Knitting Moon di dare soldi a un clochard. Uno a mia scelta. Non la solita monetina: una banconota blu. È che s’era discusso sulle offerte alle associazioni che poi non sai mai dove vanno a finire, e allora la mia amica propose di fare la carità a qualcuno dopo averlo scrutato negli occhi. Lei, in cambio del gesto che mi impegnavo a compiere, mi spedì un pacchetto con dentro un sorridente marzianino di lana sferruzzato da lei. Chissà che non ne venga fuori una bella storia da film, le dissi allora nella mia ingenua ma sempre lucida idiozia. E cominciai a fantasticare di incontri con barboni di stampo hollywoodiano, quelli col cappottone lungo e il carrello della spesa. Be’, sapete come vanno queste cose. Quando non hai voglia di essere disturbato i mendicanti spuntano fuori dai tombini, ti si aggrappano alle ascelle, si materializzano a ogni cantone coi loro cartoncini in stampatello sgrammaticato che millantano caterve di figli tutti da sfamare ma solo dopo averli operati, di emorroidi asmatiche o di tumore alle unghie dei piedi. Il giorno che sei tu a cercarli per dare un contentino alla coscienza, provare per credere: tutti spariti, trasferiti ignorasi dove, evaporati.

Quindici giorni per incrociarne uno. Teneva la faccia da presidente iraniano, però più tollerante e saggio. Un principe del deserto decaduto, sui sessanta, barba di una settimana e gli occhi tenebrosi da buon diavolo. Magari scampato a qualche boia piazzaiolo di laggiù. Eravamo vicini allo studio di un medico condotto a cui volevo rifilare un po’ di pupù (il mio lavoro, lo chiamano informatore medico scientifico, in realtà distribuisco gadgets e viaggi premio per indurli a prescrivere i miei farmaci più cari degli altri e per il resto ugualmente dannosi). Veniva avanti sul marciapiede in direzione contraria alla mia, nei pressi di una mensa delle acli, e ricordai di averlo più volte intravisto nei mesi addietro mentre chiedeva l’elemosina a un semaforo (non proprio al semaforo in persona: agli automobilisti che si fermavano col rosso). Di buon passo, stava ora recandosi a quella sua postazione strategica. Non ne ero sicuro, però. Così, per evitare gaffes, decisi che gli avrei dato i soldi al ritorno, a quell’incrocio che non era lontano. E infatti, un’ora dopo, bevuto un caffè in un bar, rifilata la pupù, gratificata la bocca con goccetto nello stesso bar, torno indietro verso il mio parcheggio ed eccolo lì. Seduto su un muretto, in pausa, per via del verde che fa sfrecciare le vetture, e per il suo lavoro è il colore sbagliato. Mi avvicinai. Sollevato per il fatto di poter onorare la parola data alla mia generosa amica. A venti metri da lui, i miei polpastrelli pizzicavano la banconota già pronta nella tasca della giacca.
Ma appena sceso dal marciapiede allo scattare dell’alt, il persiano non ti si mette a ostentar burattinesca zoppia, a trascinarsi dietro la gamba sinistra come fosse di legno o granito, o più lunga dell’altra di settanta centimetri? Quando l’avevo incontrato poco prima, se la zampettava allegramente. Ah brutto impostore, mi dissi, allora il mio ventone te lo scordi, ahmadinejad del cazzo, infingardo di un furbiciattolo escrementizio.

Due settimane da che il piccolo, morbido marziano dagli occhietti neri m’era arrivato per posta, e per quanto riguardava la parte mia di promessa, nisba. Lo sguardo interrogativo del pupazzetto, che dalla libreria della casa di mia madre in cui avevamo entrambi trovato rifugio mi scrutava, appoggiato alla costa di un libro di Paul Auster, mi metteva a disagio, mi faceva sentire in colpa. E poi io le promesse le voglio mantenere a prescindere. Presi a setacciare la città nei ritagli liberi fra un cliente e l’altro e anzi dilatandoli parecchio, quei ritagli, ché tanto ormai i miei guadagni finivano tutti alla Mantide Livorosa da cui mi stavo separando, per cui sempre più volentieri battevo la fiacca, e mi concentravo semmai sul secondo lavoro, il mio piccolo giro di anfetamine in nero per i dottori più giovani. Da qualche parte dovevano pur esserci, ‘sti accattoni, e forse era stato proprio lo schifoso lavoro a portarmi sempre nelle zone sbagliate. Macché. Niente. Nessuno.

Quella sera, quando scesi nella metropolitana odorosa di acerrimo piscio, a una fermata che non avevo frequentato mai, nemmeno ci pensavo più. E invece eccotelo lì, semisdraiato e con la schiena al muro. L’icona romantica del barbone, un bell’uomo di mezza età alla Nick Nolte ma vestito di cenci, capelli grigi lunghi e bisunti e barba da profeta tra il bianco e il rossiccio. Un Cristo scappato dal circo Togni, avrebbe detto Claudio Lolli. Senza star troppo a pensarci, gli misi in mano i venti euro.
Mi prendi per il culo o sono falsi?
Solo una promessa, risposi.
Lui con mossa svelta e quasi sgarbata mi consegnò una piccola busta bianca, della misura dei messaggi di cordoglio. Sulle prime rimasi interdetto. Non capii. Sembrava di stare in un romanzo di spionaggio. Mi aveva preso per il suo contatto russo? Avevo azzeccato senza volerlo la parola d’ordine? Poi lo vidi tirar fuori un’altra busta da una borsa sgualcita che ne pareva rigonfia, e affidarla a un ragazzotto timido che dopo lunga esitazione aveva sganciato mezzo euro, e allora capii che lo faceva con tutti. Ci teneva a dare qualcosa in cambio, il Cristo. Papiri di beatitudini in busta chiusa? 
Aprii la mia parecchio più tardi, senza vero interesse né curiosità, tanto per far passare il tempo nel rimbombo d’ovatta della carrozza tanfolante, e per distrarmi dall’insulsa conversazione telefonica di una tipa che di degno di nota aveva solo le espressioni, mai sentite prima, “m’è girato il berrettino” e “vacca mao”. 
La busta di condoglianze non listate conteneva un cartoncino con sopra scritta una frase.
A quel punto mi aspettavo una banalità da cioccolataio, di quelle che un giorno ho saputo commissionate alla fervida fantasia di gente come Moccia, e invece era una fior di citazione, scritta di suo pugno: gli specchi, e la copula, sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini. La frase perfetta, Borges ne converrebbe, per una banchina sotterranea sovraffollata di puzzoni. Mi venne da chiedermi se fossero tutte così belle. O era questione di tariffa? Magari in quella da 50 cent del ragazzo c’era scritto chi non lavora non fa l’amore, o più semplicemente vaffanculo.


mercoledì 16 gennaio 2013

SE IL "BIG BROTHER" È STRONZO, BIGOTTO E IGNORANTE. E UN POTENZIALE ISTIGATORE DI SUICIDI.


FREE THINKING IS DEAD?

Leggo che in una putrida sqhuola “cattolica” americana un crotalo (pseudo)educatore ha convocato i genitori di un ragazzo, dopo aver spiato un post con idee pro-gay scritto dall'adolescente (una cosa sua privata, fra l'altro, non è che fosse sul giornalino online della sqhuola).
Avete capito bene: idee pro gay, non pro terrorismo stragista.
Ora, se quel ragazzo (come mi tocca pure sperare, in questo potenzialmente tragico caso) fosse etero, e avesse scritto quella cosa solo per intelligente solidarietà nei confronti dei “Diversi”, il danno che subirà sarà poco grave. Anzi, questa schifosa e violenta violazione della sua privacy e della sua Libertà di Pensiero e di Espressione potrebbe aiutarlo ad aprire definitivamente gli occhi su chi siano i suoi genitori, e su cosa siano la sqhuola che hanno scelto per lui e le belle personcine che la dirigono.
Ma se il poveretto fosse gay, un giovane gay di quelli fragili e impauriti, non oso pensare il terrificante inferno di repressione che si scatenerà contro di lui per colpa della velenosità dell'edukatore a sonagli: genitoraglia, parentaglia, pretume, psicologi bacchettoni del menga (o del Mengele)…
Del resto, nell’aprile del 2012 (DOPO Cristo, a quanto pare) la nationaL catholiC educationaL associatioN (le maiuscole finali spregiative sono d’obbligo) ha consigliato ai prof di sorvegliare gli studenti anche sui social media: «È un diritto delle scuole, tanto quanto ispezionare gli armadietti» (il corsivo in marroncacca è d’obbligo).
Forse, in quel paese così tanto “cristiano” da avere ancora la pena di morte (ma dove in compenso nominano Dio persino sulle fottute lerce banconote) farebbero meglio a controllare che negli armadietti non vi siano droghe pesanti o armi da fuoco semiautomatiche, invece di cagare il cazzo su ciò che i ragazzi pensano, su ciò che i ragazzi scrivono, su chi i ragazzi desiderano amare, o anche solo “permettere” ad altri di amare.
Merdosa tempora currunt.

domenica 13 gennaio 2013

ERESIA FLASH: Ma vaffanbù



Ma gli stucchevoli capoclasse da stadio, e il pecoronismo me(r)diatico annesso, si rendono conto che per proteggere una superstar professionista milionaria dai pericolosi “bù” di quattro miserabili analfabestie (individuabili e sanzionabili, al pari del professionista permaloso che “prende e se ne va” come un marmocchio all’oratorio), rischiano di falsare competizioni e scommesse legali (e vanificare spostamenti, pernottamenti, acquisti di biglietti da parte di migliaia di persone), provocando assurdi e colossali danni con la loro petulante e caricaturale solerzia da farsa poliziottesca?
Il razzismo è odioso. Ma il modo isterico in cui è gestito l’antirazzismo nel calcio sembra fatto apposta per far venire la voglia di fingersi razzisti, per dispetto.
Fa pensare a quei maestrini poco intelligenti fissati con la (comoda) punizione collettiva, sempre pronti a castigare tutti annullando la gita scolastica solo perché il monello della classe ha fatto un rutto.
Che poi, se proprio abbiamo la fregola di passare il mastrolindo sugli spalti, non è mille volte più dannosa la feccia imbecille che spara petardi e bombe carta? Perché non se ne parla? Forse perché il temino già svolto “antibùm” non è reperibile in rete, al contrario di quello coi predicozzi “antibù”?
Ed ecco che lo stadio diviene così ancora una volta simbolo della gestione "all'italiana" delle cose. Zona franca per gli insulti più beceri, grevi, pesanti e violenti ("Uccidete questi bastardi", declamano certi galantuomini torinesi, ma non torinisti, che però non fanno bù). Zona franca per i coltelli e le spranghe e le bombette e i fumogeni e i laser accecanti. Zona franchissima per la (mica tanto) micro criminalità dei parcheggiatori abusivi, delle magliette taroccate e del bagarinaggio. Ma lager di repressione totale (ed erga omnes, anzi, TERGA omnes) per uno sciocco che fa "Bù", magari semplicemente perché di "parole" conosce solo quella e tre o quattro altre, imparate guardando la tv.
Ma vaffanbù.

p.s.
A proposito di vere priorità: oggi, prima della partita Parma-Juventus, una cinquantina di "tifosi" juventini, armati anche di bastoni, hanno preso d'assalto un BAR frequentato da sostenitori del Parma. Una saracinesca prontamente abbassata dal titolare ha evitato il peggio, ma la zona circostante è stata devastata e vandalizzata. Nelle note d'agenzia si parla di un paio di contusi fra gli aggrediti, e di alcuni "bambini sotto shock". Non si parla, o se se ne parla mi è sfuggito, di delinquenti processati per direttissima e finiti in galera per qualche annetto. Ma in fondo, non hanno mica fatto "bù": hanno solo tentato di massacrare della gente...

lunedì 7 gennaio 2013

Exit Nick - TESTAMENTO BIOLOGICO DI NICOLA PEZZOLI



So che nell’arretrata vatikaliA quanto segue è carta straccia, ma trattandosi delle mie libere volontà su me stesso, e sulla mia vita che solo a me appartiene, non vedo perché non avrei dovuto esprimerle, e del resto della vatikaliA me ne sbatto la minchia, ché già la nostra piccola Galassia mi va strettina assai.
Sia per sempre maledetto colui, siano per sempre maledetti coloro, che contribuiranno a disattenderne anche una soltanto, e anche solo in parte.

1 Rifiuto qualsiasi forma di inutile e ingiusto dolore e qualsiasi forma di accanimento. Rigetto l’idea di esser tenuto forzatamente in vita come un ortaggio che si caga addosso, oltretutto pesando su estranei e sulla collettività, visto che figli non ne ho. Se avrò per tempo coscienza del mio declino, provvederò, OVVIAMENTE, da solo, suicidandomi o recandomi in un Paese Civile, ma in caso contrario spero che qualche amico sia abbastanza illuminato, abbastanza pietoso, abbastanza coraggioso e amorevole, da aiutarmi ad andarmene in modo dignitoso e dolce.


2 Non voglio funerali, e alla larga dai cimiteri. Voglio essere cremato, e che le ceneri vengano sparse in natura. 
Niente lapidi, né consimili esteriorità commemorative. Sopravviverò, per un breve periodo, nel ricordo dei pochi che mi avranno davvero voluto bene, e nelle parole scritte che rimarranno come traccia di me.

3 Se al momento della mia partenza la scienza lo permetterà, non mi oppongo all’eventuale clonazione di un nuovo piccolo Nicky. Ma in quel caso, pretendo che questo nuovo essere portatore del mio stesso patrimonio genetico sia cresciuto da persone (una, due o più, non sono un fissato delle coppiette) intelligenti, anticonformiste, affettuose, evolute, amanti delle arti, di qualsiasi libera tendenza sessuale ma preferibilmente bisex (o in ogni caso non omofobe e non etero-inculcanti) e soprattutto non religiose.

Grazie per l’attenzione.

Scritto nel pieno possesso delle mie facoltà il 7 gennaio 2013.

Nicola Pezzoli

venerdì 4 gennaio 2013

PAUL AUSTER - "Diario d'inverno"



Paul Auster
Diario d'inverno
Einaudi
Traduzione di Massimo Bocchiola
Voto:




Metto le mani avanti: questa non sarà una recensione obiettiva. Paul Auster è il mio scrittore preferito. Gli voglio bene. Gli ho dedicato il mio secondo romanzo. Gliene ho spedita una copia, con doppia dedica, quella stampata e quella aggiunta per lui di mio pugno. (Sperando che i signori dell’ufficio stampa Einaudi abbiano fatto il loro dovere, ma non ho motivo di dubitarne.)
Quindi più che una recensione un personale ringraziamento, per avermi regalato questo diario così intimo della sua preziosa vita (più fragile, tumultuosa e sofferta, anche negli anni del successo, di quanto da fuori si potrebbe pensare).
Come ti sento Fratello in brani come questo:

"Sei senza dubbio un essere menomato e ferito, un uomo che si è portato dentro una ferita dalla nascita (altrimenti perché avresti passato la vita a sanguinare parole su una pagina?) e i vantaggi che ottieni dall'alcol e dal tabacco fungono da stampelle per tenere in piedi il tuo io lesionato e farlo muovere per il mondo."

O quando parli così della morte prematura di tuo padre (66 anni), e mi fai pensare a quella di mia madre (65):

"... e da allora hai sempre rimpianto quella partenza troppo repentina, perché tuo padre non ha vissuto abbastanza da vedere che quel pasticcione privo di senso pratico di suo figlio non è finito all'ospizio dei poveri come lui aveva sempre temuto, ma per vederlo gli sarebbe servito qualche anno in più, ed è triste pensare che quando tuo padre morì a sessantasei anni... tu brancolavi ancora su tutti i fronti, masticavi ancora il fango del fallimento."

In un ritorno di obiettività, vi dico che se in Paul vi fossero più ironia, maggiori dosi di humor, un senso più giocoso e vivace dell’erotismo, ogni suo singolo libro sarebbe da 10+. Ma già così, è uno dei più grandi di sempre.
Il più onesto consiglio finale che mi sento di darvi è il seguente: se già conoscete Paul Auster, non lasciatevi sfuggire questo suo diario narrato in seconda persona. Se invece non siete mai stati suoi lettori, non sceglietelo come primo titolo da assaggiare, perché rischiereste di non ricavarne l'idea del suo immenso talento. In tal caso, prima di accostarvi a questa lettura, leggete almeno un paio fra i seguenti capolavori: Il libro delle illusioni, La notte dell'oracolo, Follie di Brooklyn, Moon Palace, Timbuctu, Trilogia di New York.
Poi però leggetevi anche questo, perché merita.
Parola di Scriba.


martedì 1 gennaio 2013

Orgoglioso di essere un Suo Cittadino, Signor Presidente... dell'Uruguay!!!!



Il discorso è di qualche tempo fa, ma quest'Uomo intelligente e onesto è l'unico Presidente che ieri sera, grazie al blog di un mio nuovo amico, che ringrazio, abbia avuto il permesso di accedere alla mia mente e alla mia casa.

Per i becchini della società di pompe funebri Krescita & Avviluppo, porta chiusa e televisore spento.

(Non tutti loro sono cattivi: alcuni sono solo molto limitati. Ma con me non c'entrano un cazzo).