"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

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venerdì 26 maggio 2023

SE UN POMERIGGIO UN PETTIROSSO (Undici racconti brevi scritti da papà) - La mia prefazione.

 


Prefazione

(di Nicola Pezzoli)


Il papà inaspettato


Chi mi conosce sa quanto io abbia in odio le prefazioni. Ma in questo caso qualche parola s’imponeva. (Anzi, alla fine troverete pure, e spero ne sarete lieti, una postfazione: il testo che pubblicai sul mio blog il 30 gennaio 2023, giorno del mio primo compleanno senza di lui).

Quando muore un uomo anziano, è come se bruciasse una biblioteca, dice un proverbio africano.

Per fortuna da questo immane e disastroso incendio si sono salvati, miracolosamente, undici preziosi brevi racconti rimasti per anni sepolti in cantina, scritti “di nascosto” da papà con la macchina Olivetti regalatami da lui in occasione del mio diciottesimo compleanno. (A sua insaputa ho conservato come una reliquia il primo foglio battuto con quei tasti, una serie casuale di caratteri di prova cui fa seguito un dolcissimo “auguri a Nicola”. A volte, dopo qualche litigata, mi veniva l’impulso di strapparlo, ma una voce interiore e intima mi ha sempre trattenuto.)

E la ricchezza del tesoro di memoria che abitava mio padre – classe 1934 – è indirettamente dimostrata dal fatto che in questi racconti, ognuno a suo modo speciale, unico, irripetibile (proprio come era lui) non compaia una sola delle storie della sua vita che a voce amava ripetere più spesso: l’epico viaggio solitario da Gemonio a Roma in lambretta, o il giorno in cui conobbe la mamma durante una gita in montagna; la volta che rischiò di annegare nel Lago Maggiore per un crampo allo stomaco che lo prese quando s’era spinto molto al largo, e le persone a bordo di un motoscafo che lo lasciarono lì dopo aver risposto salutando festose, fraintendendo il suo disperato cenno di richiesta d’aiuto (si salvò nuotando lentamente a dorso per non vedere la lontanissima riva, e lì giunto, stremato e dopo un tempo che gli parve infinito, sulla spiaggetta deserta si avvolse in un asciugamano e dormì); il meraviglioso viaggio di nozze insieme alla sua Lidia sulla costiera amalfitana (all’avventura in Cinquecento senza prenotazione alcuna, altro che lastminute: pensavano di pernottare a Sorrento ma furono accolti malissimo, allora per puro caso finirono nella paradisiaca Positano, e in una pensioncina da sogno chiamata Casa Maresca), e poi lo stronzo con la Porsche che lo investì quasi uccidendolo mentre in bicicletta si recava a studiare da un compagno delle scuole superiori (risarcimento dopo interminabile degenza ospedaliera: una bici nuova!) o l’uomo di spettacolo che, colpito dalla gradevolissima voce di questo bancario di mezza età, gli propose di mollare tutto e stabilirsi a Roma per iniziare una (tardiva e molto incerta) carriera da doppiatore di film, o episodi di quando andava a lavorare nella vicina Cittiglio in sella alla sua bicicletta verde Radi (ovviamente non da corsa) e i colleghi lo prendevano in giro, perché pedalare non era ancora diventato una moda; non ci sono neppure racconti sui suoi parenti preferiti, come lo zio Enrico, genio degli innesti di alberi da frutto e vigneti (stesso giorno di nascita di mia mamma, il 7 maggio!) e non a caso nonno di un biologo di chiara fama internazionale (questo fratello maggiore di suo padre, che Pierluigi adorava, compare in un paio di racconti ma come discreto e silenzioso comprimario, quasi “di striscio”), o come il buon nonno Ettore che riempiva di gioia il piccolo “Igi” portandolo a vedere “i giupìtt”, il teatro ambulante dei burattini che arrivava dal Piemonte, né ve ne sono sulla bella fabbrica dei fratelli Pezzoli (pentole e altri oggetti in alluminio) messa in ginocchio dai soliti truffatori, che sparirono senza pagare un ordine enorme dopo averne regolarmente pagati diversi più piccoli, così come mancano i ricordi legati alla guerra (di quando un fascista e un tedesco vennero a requisire la batteria dell’auto di mio nonno Abbondio – scomparso prematuramente anni prima della mia venuta al mondo – o del pestaggio subito dagli adulti durante un proibitissimo funerale laico, o di quando il nonno, pur essendo antifascista, impedì ai partigiani di fucilare per vendetta un vicino di casa) o i mille episodi del servizio militare (ufficiale di complemento nel profondo sud), o quello incredibile e sconcertante sull’anziano motociclista svizzerotto del Canton Ticino, sbucato all’improvviso da uno stop, a cui salvò la vita evitandolo per un soffio, e che per tutto ringraziamento gli ringhiò dietro “’Talianàsh bastàrd!”, così come mancano le nascite dei figli, le vicissitudini del trasloco da Laveno a Gemonio del 1974, il viaggio a Parigi coi colleghi e quello a Firenze con la mamma per il decimo anniversario di matrimonio, le felici vacanze al mare con la famiglia, e le sue brevi ferie autunnali per la raccolta delle olive in Toscana presso un piccolo podere di amici carissimi, o ancora le due rapine nella banca in cui lavorava e che non avrebbero potuto essere per lui più diverse, perché in una venne sfiorato da un proiettile partito inavvertitamente dall’arma di un criminale pericolosamente nervoso, mentre nell’altra cominciò tutto mentre era al gabinetto e lì decise con saggezza di rimanere. 

In realtà, la cronaca di almeno una delle due rapine doveva far parte di un secondo corpus di racconti a suo dire misteriosamente smarriti, che diventarono il cruccio dei suoi ultimi anni (al punto che adesso spero quasi di non trovarli mai, perché mi sentirei amareggiato e in colpa per non essere riuscito a trovarli prima). Motivo in più per decidere non solo di pubblicare almeno questi undici racconti, ma soprattutto di farlo con un editing praticamente nullo e limitandomi a correggere eventuali refusi (ma non ce n’erano, ci aveva già pensato lui, con una scrupolosità e una dedizione che devo aver ereditato), per rispettare in modo assoluto, con umiltà e con amore, ogni singola parola scelta da lui. 

E poi, forse, questa assenza di storie “maggiori” vuole essere una lezione anche per me. Per ricordarmi che un racconto non deve essere qualcosa di sensazionale, ma un’estemporanea pennellata dell’anima, sanguinolenta e lieve.

Papà Pierluigi nel 1989

Dalle storie che non ci sono, veniamo (Finalmente!, dirà qualcuno, Meno male che odiavi le prefazioni!, dirà qualcun altro) a quelle che ci sono.

Il racconto di apertura, Il Pincìn, dove un bambino perso nelle fantasie della sua battaglia di soldatini viene bruscamente riportato alla realtà dall’intrusione di un rozzo mercante di bestiame che gli calpesta e distrugge le armate senza prestarvi la benché minima attenzione, si conclude con un anatema contro “quelli della sua stirpe”, e mai sapremo se papà intendesse con questo dire tutti i commercianti, o tutti gli energumeni maleducati, o semplicemente tutti quegli adulti incapaci di provare rispetto e considerazione per il mondo dei più piccoli. Gli fa da contraltare Il berretto del Panighini, dove si narra di una visita mille volte più simpatica e divertente (ed è qui che troveremo il magico zio Enrico, nel ruolo di generoso mescitore di vino). Nel riuscitissimo Le scarpe, le querule, insistite e quasi aggressive pretese di un pover’uomo non generano in mio padre ragazzino un senso di fastidio, bensì il dispiacere di non averlo potuto aiutare. Io e il calcio è una chicca che spiega la genesi del cattivo rapporto fra lui e questo sport (solo da molto anziano era diventato interista, per colpa mia e delle partite che guardavamo insieme): come giocatore, da bambino riuscirà a farsi accettare nel gruppo dei compaesani solo nel breve periodo in cui sarà proprietario di un pallone di cuoio, mentre come spettatore di una partita amatoriale verrà redarguito da un giovanotto più grande per aver gridato erroneamente “cornak!” invece di “corner!”, termine a lui del tutto sconosciuto. Una storia di mutande è percorso da una maldestra goffaggine paesana che lo rende vivido e tenerissimo. Nello straniante e struggente La camminata, la poesia e la metafisica della natura diventano consolazione all’angoscia esistenziale di un uomo costretto a fare un lavoro che odia, ma sono anche preparazione di un agghiacciante finale a sorpresa. Nel racconto più vicino a noi nel tempo, Rottamazione, descrive in tono mesto e luttuoso (ma con sviluppi fra l’onirico e il fantastico) il giorno di fine dicembre del Duemila in cui portammo a rottamare la nostra vecchia Fiat Uno, facendo emergere una straziante tristezza nell’anima che io, che condivisi l’esperienza con lui, non fui allora in grado di cogliere, e che anzi ritenni solo mia. Ne abbozzai a mia volta un racconto, intitolato Il portachiavi, di gran lunga meno emozionante del suo. 

(Curioso, però: due separati racconti, l’uno all’insaputa dell’altro, sulla stessa comune esperienza, mentre fra di noi, ancora vent’anni fa, l’abisso d’incomunicabilità spalancatosi nella mia adolescenza continuava a essere quasi totale. Meno male che la vita ci ha concesso tanto tempo per rimediare, e per volerci finalmente bene. Come se solo dopo lunghi anni di attesa si fosse rotto un incantesimo maligno, e noi due ci fossimo alla fine ritrovati e conosciuti. Una sorta di parabola del figliol prodigo raddoppiata, perché valida in egual misura per entrambi: “Bentornato, figlio”. “Bentornato, papà”. Ma peserà sempre in me il rammarico di non essere riusciti a capirci e apprezzarci anche prima. Forse perché – ed è questa la vera, folgorante rivelazione finale – eravamo troppo uguali?)

Completano la raccolta Il Ricu Bel, Viaggio a Milano e Verme della terra, sui quali non mi soffermo non perché siano meno significativi, ma per non rendere la prefazione più lunga del testo. A voi scoprirli e gustarli in tutta calma.

Il racconto che ho voluto lasciare per ultimo, Il pettirosso, è talmente bello e toccante da non aver bisogno di una sola sillaba di presentazione.

Anche visto da fuori, mio padre appariva alle altre persone per quello che era: un uomo buono, dall’indole generosa e sensibile, un ateo più “cristiano” di tanti sedicenti cristiani, insomma quello che si dice un buon diavolo, magari elusivo, riservato e un po’ burbero ma rispettoso di tutti, lavoratore non fanatico ma impeccabile e preciso, capace di ogni sacrificio per il bene di sua moglie e dei suoi due figli. Da lontano però – e ahimè per lungo tempo pure da vicino – tutto questo poteva venire adombrato dal depistante cliché del bancario arido, privo di romanticismo e incapace di esprimere le emozioni, quando invece era, come capita purtroppo a tanti, eroico prigioniero di un lavoro che non c’entrava niente con lui. Immaginatevi il mio sbalordimento allorché, qualche anno fa, emersero dalle polveri della cantina questi inaspettati racconti tutti suoi! Perché invece, in queste pagine, salta fuori la sorpresa di una profonda tenerezza, di un genuino e infantile stupore nei confronti della natura e di tutto ciò che è bello, ma anche una sincera e accorata attenzione per le persone meno fortunate, per i poveri diavoli schiacciati dalla povertà, dalle circostanze o dal lavoro (il Ricu Bel, il Panighini, l’uomo dalle scarpe rotte) e insieme a ciò si rivela un animo fragile, travagliato e sentimentale, spesso malinconico, e un luminoso talento per la narrazione che riesce a farlo essere un tutt’uno col figlio scrittore. Che abbia sacrificato questo scrigno di potenzialità per me (anche per me) è qualcosa di talmente immenso che non mi basterebbero sette vite per ringraziarlo, ripagarlo e rendergli l’omaggio che merita.

Leggetelo e vogliategli bene, allora, perché il mio adorato vecchiettino, anche se apparentemente schivo e refrattario alle carezze, meritava tutti gli abbracci e tutti i baci del mondo.

Per lavorare a questo progetto ho posticipato di mesi il mio nuovo romanzo. Felice di dedicarti il mio tempo e le mie energie. Perché era il minimo che potessi fare per Te. E allora accetta, papà mio, questo libriccino come un regalo di compleanno che ancora una volta ci facciamo a vicenda. Mentre lo confezionavo, con le mie mani e le tue parole, il cuore pompava lacrime al posto del sangue. Ma in fondo erano lacrime bellissime, e dolci. Colme d’amore e di riconoscenza. Un distillato di affetto.

Che altro dirti, se non che il più grande onore, per me, è portare il tuo cognome, insieme al nome, insolito da queste parti, che proprio tu hai voluto darmi? 

Gemonio, 26 maggio 2023


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12 commenti:

  1. Ultimamente mio padre (classe '36) e io litighiamo furibondamente. Odio vederli vecchi, loro che sono sempre stati svelti come lepri e pimpanti come scoiattoli, odio la loro lentezza e i loro acciacchi che mi suscitano sensi di colpa per non essere lì con loro, odio il loro essersi accomodati sul loro vecchio modo di intendere la vita e la loro mancanza di curiosità per ciò che è la nostra realtà e odio me stessa per la mia incapacità di provare compassione per la loro età che sarà presto la mia.
    Scusa se ho approfittato del tuo post per parlare di me.

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    1. Nessun bisogno di scusarti: trovo sia bellissimo che un post possa fungere da ponte, da pretesto perché altre persone si aprano e dicano quello che vivono e che provano. Non ti darò pedanti consigli che mi farebbero apparire più vecchio di mio padre e del tuo (e soprattutto mi farebbero apparire presuntuoso: io, l'uomo inadeguato per eccellenza, che mi metto a dar consigli agli altri?) ma ti dico soltanto di non perdere una sola minima occasione per provare, magari con grandissimo sforzo, a mettere dolcezza e tenerezza laddove ci sono incomprensione o litigio, perché sono tutti sentimenti - quelli belli e quelli brutti - che poi il ricordo moltiplicherà e renderà indelebilmente intensi per sempre. Un abbraccio, e grazie per la sincerità del tuo contributo.

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    2. So che hai ragione, lo so ma mi fa impazzire!!!

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  2. Dovrei imparare da te l'amore per il mio papà quasi novantenne col quale discuto sempre senza rendermi conto che ora quello saggio dovrei(!) essere io. Ma vengo dritto dritto da lui, ed è inutile che faccia finta di no.. ;)

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    1. Ti capisco caro amico, così come capisco Flo, perché malgrado la concordia e l'amore degli ultimi anni anch'io avevo (e ho) il mio brutto carattere, e adesso rimpiango ogni stupida, maledetta volta che gli ho risposto con poca pazienza o con insofferenza, quando avrei potuto essere più dolce e comprensivo. Ma nessuno di noi è un santo: si può solo cercare di fare del proprio meglio.

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  3. Ciao Nicola, leggerò i racconti del tuo papà come un bel regalo. Già questa tua presentazione mi ha allargato il cuore. Grazie, un abbraccio forte.
    Nou

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    1. Spero tanto che i raccontini di papà ti tengano una piacevole e calda compagnia, facendotelo sentire come un nuovo caro amico. Un abbraccio grande. Ciao!

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  4. Ciao zio, ti ricordi di me? Sto rileggendo il mio vecchio blog con i vostri commenti e mi è venuta nostalgia di voi e tu sei uno dei pochi che ancora scrive, così sono passata per un salutino 🤗

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    1. Ciao carissima! Certo che mi ricordo di te. Bentornata! In realtà sto scrivendo pochissimo, e quel poco è dedicato con tutto il cuore al mio povero papà che mi ha lasciato il 7 dicembre scorso, ma prima o poi tornerò anche al mio blog e soprattutto ai miei romanzi, anche perché lo devo soprattutto proprio a lui, che col suo meraviglioso sostegno mi ha consentito per anni di perseverare nella mia "follia" artistica. Un abbraccio.

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    2. Oh, mi dispiace tanto per la tua perdita, ti mando un forte abbraccio! Ti auguro di tornare presto a scrivere! Baci baci

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  5. Rieccomi caro. Comperato libretto del babbo. Scusami l'assenza ma questi anni mi hanno un po' tanto rinco. Devo finire di leggere anche l'ultimo di Corradino. Un disastro sono... Abbraccio siempre ❤️❤️❤️

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    1. eh, mia carissima, gli anni si fanno sentire anche su di me... Buona lettura, e un abbraccio immenso!

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Questo blog è Nemico dichiarato di ogni censura. Ma sono costretto mio malgrado a ricordare che rimuovere insulti gratuiti, scorregge occulte o minacce vigliacche non è censura: è nettezza urbana. Voglio che qui da me vi sentiate esattamente come a casa vostra: quindi Liberi, ma non di pisciare sul pavimento, o mi toccherà pulire. :)