"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

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lunedì 1 aprile 2019

MALEDIZIONE DEFINITIVA DEL POLITICALLY STRONZETT - parte seconda e ultima

SENZA PIÙ PAROLE

Se alla quarta volta che uno non capisce cosa gli sto dicendo gli domando (con un sorriso) “Ma sei sordo?”, non ho ovviamente nessuna intenzione, così facendo, di “offendere” i non udenti o di prendere in giro il loro dramma. E di fatto i sordi intelligenti, ne sono sicuro, non si offendono. (Anche perché non mi sentirebbero). Al contrario di quei tafaneschi e autoeletti capoclasse sempre pronti a offendersi per conto terzi. 
Se definisco una prosa “zoppicante”, uso un’espressione dotata della forza di rendere perfettamente l’idea, e che non può in nessun modo “offendere” i veri zoppi. Che non oso pensare come verranno chiamati da certa gente: non linearmente ambulanti? diversamente stabili? claudicanti cronici strutturali? discruralici? 
Ed è inutile che inarchiate le sopracciglia per questa mia impertinente “inzenzibbilità”: avendo dalla nascita una gamba più lunga di qualche millimetro, sono potenzialmente zoppo io stesso! 

Il politically stronzett non è solo un’arrogante e odiosa e petulante forma di censura fascista (di sinistra!). Il politically stronzett, portato alle estreme conseguenze, è la pura e semplice MORTE per imbavagliamento e asfissia del Linguaggio. L’incipit del mio incompreso romanzo “Mailand” recita: «Le parole cadevano una dopo l’altra, i vocabolari smagrivano». Ecco, io temo che neppure le persone intelligenti abbiano ancora capito QUANTO i vocabolari imploderebbero e smagrirebbero (come se già non bastasse l’azione inferiorizzante del mondo televisivo-smerdofonico che sta creando una nuova sottoclasse di ominidi gutturali e misalfabeti che di parole non ne usano più di cento, e tutte brutte), temo che non siano riuscite ad avere una giusta percezione della catastrofe in arrivo, così come politici somari ed economisti coi paraocchi non hanno voluto accorgersi dell’incombente catastrofe climatica. Forse per l’ingenuità manicheista di pensare che “da sinistra” non possa MAI venire, neppure per sbaglio, il Male? Forse perché i nostri “fascistometri” sono anacronisticamente (o poco onestamente) tarati da una parte sola, cioè ZOPPI?
Eppure lo scempio è sotto gli occhi di tutti. Faccio solo tre esempi fra mille: 

i fanatici religioidi vorrebbero abolire qualsiasi parola che “offenda” qualsiasi religione, ma soprattutto, inutile dirlo, quella attualmente più aggressiva e minacciosa (a cominciare dall’eliminazione di TUTTI i nomi di salumi e insaccati vari, e i loro derivati!) e pare ci siano incredibilmente già riusciti con alcuni testi scolastici inglesi, da cui sono state bandite parole come “suino”, “prosciutto” e “salame” (e per fortuna quella religione non è vegana, o non si potrebbe più scrivere neppure “latte” o “mozzarella”, per non offendere lorsignori); 

gli animalisti oltranzisti vorrebbero proibire qualsiasi espressione ritenuta lesiva o sminuente della dignità degli animali, persino quando usate “in positivo”: mai più vigliacchi come struzzi o pavidi come conigli o sudici come maiali o stupidi come galline o muti come pesci (infrazione doppia?) o ignoranti come capre o matti come cavalli (o quel “politici somari” da me usato a bella posta poc’anzi), ma neppure coraggiosi come tigri o laboriosi come api, e addio all’occhio di lince (o di falco) e agli specchietti per le allodole e alla memoria d’elefante, e chi più ne ha più la smetta. 
Ma se siamo così tanto antispecisti, perché dare così tanto peso e valore alle stupide parole della nostra stupida specie? Lo sciacallo non si offende mica, se noi diciamo “sciacallaggio”! Non gliene potrebbe fregare di meno! 
Il nostro Linguaggio è nato e si è evoluto a partire dalla natura che ci circonda: persino i simboli dei geroglifici egizi erano quasi tutti bestioline;

e il gruppo più nutrito e più raccoglitore di facili consensi demagogico-emotivi, cioè i fissati dell’“offesa” a chi soffre, darà (ha già dato) un bel colpo di cancellino squadrista sulla lavagna a ogni qualsivoglia parola o espressione più o meno colorita collegata (in modo quasi sempre indiretto e figurato) a malattie, menomazioni o semplici difetti fisici. (Se inizi a non poter usare “sordo”, alla fine non potrai più usare nemmeno “febbrile”: perché mai dovremmo avere il diritto di “offendere” chi sta avendo una crisi di malaria con la febbre a 40? Suvvia! E perché mai permettere di usare impunemente l’espressione “avere fegato”, che potrebbe urtare la suscettibilità di chi soffre di cirrosi o di epatite? O che dire dell’ingiusta sofferenza provocata ai mutilati dicendo o scrivendo “essere in gamba”, “darsela a gambe”, “avere una buona mano”, o parlando di “braccino corto” per esprimere l’avarizia?) 
Ed ecco i pelati diventare dapprima “scarsocriniti”, per poi, essendo anche la parola “scarso” vagamente denigratoria e discriminatoria, ripiegare (ipotizzo) su “crinoevanescenti”. (Crinoevanescente è talmente bella che già mi vedo persone che si spargono acidi sulla chioma per poterlo diventare…)

So di gente conciata intellettivamente così male da considerare denigratoria persino l’espressione “sindrome di Down”: costoro credono derivi dalla parola inglese che significa “giù”, e non dal nome del medico John Langdon Down!!!!

Naturalmente, c’è modo e modo. In tutti i casi, saranno sempre e soltanto bontà e cattiveria, gentilezza e stronzaggine, a fare la differenza, e le parole di per se stesse saranno sempre neutre, e cattivo (e pieno di coscienza sporca e code di paglia) è chi le vuole sopprimere. Oltre che, va da sé, chi le usa con violenza, e VOLUTAMENTE per far male. Mi pare ovvio che un Lucio Dalla, che prestava assistenza con amore, tenerezza e dedizione a persone che poi chiamava “i miei mongolini” fosse un uomo buono, mentre uno che dicesse “Non sopporto di avere fra i piedi questi con la sindrome di Down, mi danno fastidio!” sarebbe un uomo ignorante e cattivo, pur dicendo “sindrome di Down” in modo korretto e “appropriato”. (Mi torna in mente il poliziotto violento e razzista del film “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, che si vanta nel professarsi torturatore di persone di colore, perché “torturatore di negri non si dice”).

Per concludere, anche se ci sarebbe da scriverci un libro (sperando poi che non venga censurato fin dal titolo):
se io facessi parte di queste odiose persone permalose e arroganti (o con seri problemi psicologici), che stanno al mondo per controllare, proibire, bacchettare e castigare, probabilmente mi scaglierei contro tutti coloro che mi “offendono” usando nei loro scritti parole come spilungone, lungagnone, pirlunga, pampaluga, giraffa, anima lunga, altoalto fessofesso, allampanato, dinoccolato, brindellone, manico di scopa… Ma per fortuna sono intelligentino, e quindi voglio che siano tutti liberi di usarle. Perché un po’, lo ammetto, mi danno fastidio. Ma MAI quanto me ne darebbe la FINE del Linguaggio per mano di quei bulli fascisti e prepotenti che vorrebbero sterilizzarlo per legge.

E comunque, il giorno in cui chiamerete “leona” la leonessa, spero tanto che vi sbrani. Quella sì che sarebbe un’azione corretta.

(Fine)

6 commenti:

  1. L'hai centrata in pieno. Se dovessimo dar retta (e gli angli purtroppo lo fanno) a tutte le categorie di persone che si ritengono offese a nome di terzi per qualsivoglia parola il prossimo vocabolario uscirebbe senza pagine! Fortunatamente, come ho già detto, i professorini fanatici bacchettatori qui da noi sono in minoranza - e sono destinati a rimanerci: la gente normale se deve usare una parola diretta la usa, e anzi prende spietatamente per il culo i bacchettatori professionisti. Sì, sono moderatamente ottimista sulla nostra capacità di rimandare il "politically stronzett" al mittente. Quanto agli angli, quando scopriranno di non poter più nemmeno dire "Oggi è una bella giornata" forse magari la capiranno pure loro!

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    1. Vorrei essere ottimista come te: il politically stronzett è cosa troppo mafiosa, troppo pecoron-modaiola e troppo stupida perché il mondo pseudoculturale italiota se la lasci scappare.
      Da rabdomante dell'imbecillità già ne percepisco le fortissime, e pericolosissime, vibrazioni. Spero, per una volta, di sbagliarmi. :)

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  2. se non ci siamo già dentro ci stiamo per entrare putroppo

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  3. Il giraffo potrebbe pareggiare la leonessa...
    In prima gioventù sono stato ospitato in una specie di collegio, col senno di poi più ghetto che convitto. Che era suddiviso in Famiglie: le nostre, studenti (poco/niente studiosi, ma costretti allo studio con le famigerate 'buone maniere'...) piazzati in tre famiglie distinte, luigini giuseppini tommasini, che prendevano il nome dai rispettivi protettori; ciascuna con la targa di specifica all'ingresso dei cortili di pertinenza.
    Oltre a noi, c'erano le famiglie: Invalidi a indicare gli invalidi (che raggruppavano persone prive di arti, focomeliche, carrozzinate e ciechi); Sordomuti, che erano persone che non sentivano né parlavano; Epilettici, i sofferenti di attacchi di epilessia. C'era anche la famiglia Buoni Figli, che erano persone chiaramente deficienti senza essere pericolose da manicomio.
    Ciascuna con la rispettiva targhetta che, sic et simpliciter, specificava la menomazione che li costringeva in quei ricoveri.
    Da studente poco/niente studioso dalla scuola ho appreso il minimo indispensabile alla sopravvivenza in un mondo di 'saputi'; fuori dalle aule ho appreso che il mondo non è fatto solo di persone stampate in ciclostile (o clonate, si direbbe oggidì), il mondo è un tutto e tutto è il mondo. Ho imparato a non compatire chi 'sembra' stia peggio di me, poiché ho potuto constatare che i cosiddetti handicappati sanno fare cose che io sano e completo, oggi meno di ieri mi sognerei di fare.
    Gli invalidi senza gambe, su una panchetta si spostavano a piacimento salendo pure le scale; i ciechi vedevano e leggevano meglio di noi ragazzini; i focomelici... ci invitavano per gioco a mettere la mano dov'era il giunto dei moncherini... e ce l'avrebbero stritolata senza l'urlo liberatorio. Dei sordomuti meglio non parlare: quando iniziavano un colloquio non la finivano più, le mani erano pale di un mulino a vento, d'estate ventilavano tutto intorno dando quasi frescura.
    Tutti con la loro specificità, del loro essere e del loro essere definiti.
    Scusa il (solito) prolisso; per evitarlo ho ridotto al minimo i miei interventi, qui e... di là.

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    1. I tuoi interventi sono sempre interessantissimi, benvenuti, acuti, mai banali: non limitarli più! :)
      Ti ringrazio, e ti abbraccio.

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