Ho trovato un tesoro in cantina: una grande busta piena di racconti brevi scritti “di nascosto” da mio padre tanti anni fa, e ambientati nella sua infanzia, fra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. Fra i miei preferiti ce n’è uno molto breve. Ve lo propongo qui, solo leggermente “rieditato” da me…
IL PINCÌN
di Pierluigi Pezzoli
Sotto la pressione dei gialli, i verdi abbandonavano la prima linea di difesa e ripiegavano disordinatamente per attestarsi sulla seconda. La pallina di legno che fungeva da artiglieria picchiava e picchiava, staccando anche qualche testa ai soldatini di cartapesta.
Ma ecco che d’improvviso su attaccanti e difensori si scatenò la furia micidiale di un tornado.
In ginocchio, chino sui miei soldatini e totalmente preso dal gioco, non avevo visto irrompere il Pincìn, e le sue grosse scarpe chiodate stavano facendo strage di tutto. Impotente, e con gli occhi rigati di lacrime, guardavo da sotto in su quell’uomo con tutto l’odio di cui ero capace. Quello, preso com’era dai suoi argomenti – piombato in casa senza un saluto, era subito partito a magnificare le grazie della mucca che intendeva rifilare a mio padre e a mio zio – non s’era accorto di nulla, e del resto dubito che i giochi di un bambino potessero aver a che vedere seppure da lontano con la sfera dei suoi interessi.
Le donne si erano ritirate nell’attigua veranda – la loro seconda linea – e di lì, sferruzzando, osservavano con curiosità l’energumeno che, paonazzo in volto, parlava con foga e ora avanzava ora indietreggiava, sempre facendo scempio dei miei poveri soldati.
Il Pincìn portava intorno al collo color terracotta un fazzoletto candido, segno distintivo dei commercianti di bestiame. Il cappello, rovesciato all’indietro, lasciava intravvedere la calvizie.
Erano le sei del pomeriggio di una domenica d’inverno, e il nostro doveva esser reduce da abbondanti libagioni nelle osterie del circondario, perché all’offerta di un bicchiere rifiutò con gesto perentorio.
Manifestò invece gradimento per un caffè, che gli fu presto preparato e servito, dopodiché, con grande meraviglia, lo vidi versare poco alla volta il liquido nero e bollente dalla tazzina al piattino, e sorbirlo da questo con gran risucchio.
Per bere aveva almeno dovuto fermare i dannati piedi, e io ne approfittai per raccattare e porre in salvo quel poco che restava delle mie armate.
Quando dio volle se ne uscì com’era entrato, cioè senza salutare. Era riuscito ad appiopparci la mucca e s’era già messo in tasca la caparra.
Mestamente, raccolsi i miei giochi in una cassetta che sapeva tanto di urna funeraria, giurando vendetta al Pincìn e a tutti quelli della sua stirpe.
Ecco da chi hai ereditato la passione per la scrittura. Potresti pubblicarli, no?
RispondiEliminaDirei di no: la passione per la Scrittura include anche il Rispetto per il Mestiere di Vero Scrittore. A casa mia ce l'abbiamo, altrove in Italia un po' meno. Di mitomani ne girano anche troppi: ho già dovuto insistere con mio padre per pubblicarlo qui sul blog, e lui è contentissimo così. ;)
EliminaIl mondo dei bancari è estremamente variegato: ci sono i carrieristi, gli arrivisti, le spie e furboni d'ogni genere... però ci sono anche persone estremamente fantasiose e creative: scrittori, poeti, pittori, cantanti, musicisti e... chi più ne ha più ne metta. Non solo un modo per scappare da un mondo arido in cui il denaro la fa da padrone ma soprattutto un modo per esprimere una sensibilità che, qualsiasi cosa si faccia nella vita, alla fine, deve sempre emergere. Saludos a te caro Zio.
RispondiEliminaAnche perché ci sono quelli come mio padre che ci sono finiti per ripiego, perché costretti dai casi della vita (l'impossibilità di continuare gli studi a causa della prematura morte di SUO padre, con due sorelle più piccole sul groppone...) Rischiavo di fare la stessa fine, ma la mia follia mi ha salvato...
EliminaTempo fa ho conosciuto un altro bancario dalle grandi doti artistiche: si chiama Giancarlo Tramutoli, e ha pubblicato un romanzo assai carino dal titolo meravigliosamente autoironico: "Uno che conta".
Saludos pure a te, carissimo.
Vedi, da ciò che scrivi per rispetto a tuo padre si vede che gran figlio che sei.
RispondiEliminaÈ un bel racconto: la mela non cade mai lontano dal suo albero. E il tuo albero è una gran roccia.
Ti abbraccio.
L'importante è che la mela trovi gente, come te, in grado di gustarne la bontà, o tanto varrebbe essere... una ghianda.
EliminaScherzi a parte, grazie per le tue parole, come sempre dolcissime.
Ti abbraccio anch'io.
bellissimo!!!!
RispondiEliminaGrazie Marina! :)
Elimina...Tale padre , tale figlio :D
RispondiEliminaeheh... Anni fa ti avrei risposto a vangate sui denti, ma col tempo mi ci sono affezionato (al mi babbo, non alla vanga)... :-))
EliminaCiao!!
Molto bello! C'è tutto sull'infanzia e su mondo adulto in poche righe.
RispondiEliminaUn caro saluto a te e al tuo papà:-)
Grazie, carissima amica!
EliminaA te un abbraccio e un baci8. :)