"Meglio Capitano della mia zattera di storie di carta che mozzo sul ponte di Achab"

SITO ANTI COPROFAGIA LETTERARIA: MERDA NON NE SCRIVO, E MENO ANCORA NE LEGGO

domenica 21 dicembre 2014

Corso ARRETRATO di tecniche narrative ammorbanti – prima puntanata (doppia), come cadeau natalizio.


WORDS (DON’T COME EASY?)

DUE CONSIGLI MOLTO RARI PER SCRITTORI STERCORARI


Siete scrittorotti scarsottelli e inesperti, e avete intenzione di farlo sapere a tutti? Non dovete far altro che acquisire (anziché sbattervene con orgoglio e accettare almeno di essere – già che ci siete – ingenuamente nuovi e istintivamente avulsi da certe cavolate stantie) le tecniche narrative più stucchevoli e obsolete (che di solito vengono pure insegnate a pagamento. Qui: gratis!)

1 Le sigarette.

Avendo poco da dire, e poca padronanza della scrittura, siete in grave difficoltà nel reperire particolari che riempiano la pagina? Non sapete come gestire i dialoghi fra i due imbecilli protagonisti principali della vostra ritrita storiella? Le sigarette! Le sigarette! Infarcite i dialoghi con “si accese una sigaretta”, “trasse una lunga boccata”, “emise un’ampia voluta di fumo”, “aspirò fumo dalla bocca e lo fece uscire dal naso”, “cominciò a fare cerchietti col fumo”, “scosse la cenere nel posacenere”, “si spense la sigaretta nel culo” (no, questo è sconsigliato), “si accese un’altra sigaretta”…
Attenti però a non perdere il conto e il controllo. I romanzetti da classifica italioti sono pieni zeppi di gente che si accende terze o quarte sigarette senza aver spento o gettato via le precedenti (o senza averci fatto nemmeno un tiro), e di pifferi del put che a pagina 128 “si godono avidamente la prima sigaretta della giornata”, quando a pagina 126 (stesso giorno) ne hanno già spipazzate otto (era un dialogo molto lungo e banalmente noioso, qualcosa bisognava pur fare per non correre a impiccarsi mentre la tizia parlava di borsette firmate).
Fateli sempre fumare anche a letto, ma non fate mai prendere fuoco alle lenzuola, altrimenti la storia finisce.
Nota curiosa: nella vita reale almeno un fumatore su cinque è il classico coglionazzo senza accendino, che di continuo chiede quelli degli altri e poi maleducatamente se li imbosca, per poi perdere pure quelli (filosofi e astrofisici dovrebbero indagare su dove diavolo finiscano tutta quella plastica e tutto quel gas liquido: ormai ce ne sarebbe abbastanza da creare un nuovo universo parallelo…) Nella romanzaglia fumereccia, invece, sono sempre tutti superprovvisti di accendino, nuovo e funzionante. Misteri della creatività non talentuosa.

2 I party (ovvero: le feste del cazzo).

Non sapete più che pesci pigliare? Cosa far fare ai protagonisti prima di decidervi allo snodo di prevedibile action finale, a quella stereotipata sarabanda che i meno intelligenti chiamano “botta di adrenalina” e ci si appassionano pure?
Eccovi pronto l’espediente che non delude mai (tranne forse i lettori più smaliziati e selettivi, che tanto però non vi leggono di certo, quindi che ve ne fotte?): una bella festa del cazzo!
Non importa che festa del cazzo sia – capodanno, la vigilia di natale in ditta, carnevale in una villa, una qualsiasi festicciola per ragazzotti scemi o ricevimento per rincoglioniti danarosi.
Grazie all’espediente festa del cazzo, potrete riempire almeno due pagine del cazzo con stucchevoli e inutili descrizioni di abbigliamento del cazzo! (Se poi la festa è in maschera, ne avrete di cagate con cui ammorbare il lettore!)
E poi, visto che tutti i party hanno una colonna sonora, potrete infilarvi le cuffiette dell’ipod e sfoderare una bella ritrita paginetta-playlist più o meno rockettara, visto che la nostra editoraglia non sarà mai sazia di romanzetti giovanilistici zeppi di mitologia musicocentrica e divismo strimpellatore (gli U2 come profeti, gli Stones come Dèi, i punk come nuovi messia, i rappers come rifondatori del cosmo a suon di rutti e peti).
Sarà inoltre un modo infallibile per far interagire facilmente le vostre varie marionette, che si ritroveranno tutte invitate a diverso titolo (o imbucate) a quel party della mia minchia.
Naturalmente, per non sembrare troppo idioti, dovrete prendere le dovute distanze, da questo materiale narrativo “festa”, maneggiandolo con distaccata e superiore ironia. Bisognerà che il vostro protagonista ben presto senta di annoiarsi, in mezzo a tutti quegli imbecilli! (Che sono uguali a lui, ma questo non scrivetelo). Come primo e originale antidoto alla noia (sua, non del povero lettore) gli farete tracannare alcol a dosi da elefante marino cirrotico (qui stendete pure un elenco di vini e di liquori ad libitum, ma senza rompere troppo i coglioni – alla cui frangibilità avete già attentato con la playlist). Salvo poi inserire l’immancabile coup de théatre del magico incontro con una fatal figona… (meglio se una già incontrata di striscio – con effetto bava – a pagina 12: le agnizioni figonesche coi lettori di bocca buona funzionano sempre!) Il protagonista (un po’ barcollante a causa della damigiana di martini e della botte di champagne) e la fatal figona se ne andranno via insieme alla chetichella ecc.ecc.

Felice Solstizio d’Inverno!

(e ricordate: Babbo Natale forse non esiste o forse sì, ma persone capaci di far diventare Scrittore chi non lo è tramite accesso al suo codice IBAN, sicuramente NO.)


venerdì 19 dicembre 2014

Eresia flash – NEOANALFABETA SARÀ TUA SORELLA

Stamattina è successa una cosa paradossale. Il mio ottantenne padre si è visto dare del neoanalfabeta nientemeno che (in prima pagina!) dal giornale che compra e legge quotidianamente da oltre mezzo secolo, alternandolo a riviste varie e alle decine di ottimi romanzi che si divora ogni anno. È un po’ come se il tuo cantante preferito ti dicesse che sei sordo nel bel mezzo del ritornello della canzone che stai ascoltando…
Secondo l’emerito estensore dell’articolo, approssimativo e superficiale portavoce della nuova arroganza tecnoglionita, è solo questione, ovviamente, di frequentare o non frequentare internet, considerato non un diverso mezzo o diverso luogo, ma nientemeno che un nuovo linguaggio, rivoluzionario ed “escludente” come il passaggio dal latino all’italiano. 
Voi che come me su internet bazzicate eccome, sapete benissimo che non è così: la cosiddetta navigazione non è preclusa a nessuno, ed è una semplice questione di averne o non averne voglia, curiosità, necessità o interesse. Io non sono più alfabetizzato di mio padre, così come non lo sono quei meravigliosi amici blogger più o meno della sua età che frequento, come non lo era quel suo splendido amico quasi novantenne che col computer si dilettava alla grande. A lui piaceva e interessava. A mio padre no. Punto.
Voi ed io lo sappiamo: ci sono migliaia di persone che “navigano” per scrivere cazzate sgrammaticate col (non) linguaggio sms, per twittare rutti e peti, e soprattutto ce ne sono milioni che sul web ci vanno per far circolare video cretini divulgati su uazzàpp come catene santantoniesche per imbecillotti, per sbavare sciacallescamente su filmati cruenti, o per scaricare canzoncelle gratis, di cui a malapena riescono a decifrare il titolo prima di selezionarle, o per chattare mentre si menano l’uccello. 
Mandrie di e-gnu che non leggeranno un libro (né tantomeno un ebook) campassero duecent’anni.
Voi ed io lo sappiamo: ma quale nuova lingua? Una volta entrati con un paio di clic, o peggio ancora di polpastrellate su uno schermo (alla portata di qualsiasi scimpanzé appena nato) l’alfabeto e la scrittura rimangono esattamente gli stessi. Non c’è bisogno di essere programmatori o laureati in ingegneria elettronica, come articolozzi di quel tipo indurrebbero a pensare. Una volta letta una cosa e cliccato su “commenta”, davanti a te avrai la stessa tastiera, con le stesse lettere, le stesse parole da comporre nella stessa vecchia lingua. Il punto è saperla usare, ma questo è tutt’altro discorso.
Ma forse i veri neoanalfabeti sono quelli che ancora diffondono, nei loro puerili temini letti da milioni di persone, e per cui vengono pure pagati, questi assurdi obsoleti cliché, forse legati a un web “sognato” vent’anni fa, che non ha nulla a che vedere col web concreto e reale. 
Un’altra assurda espressione-chiave, che rivela il disarmante livello dell’articolo, è “Analogici fuori tempo massimo”: conosco tante persone intelligenti, ma, fra esse, le tre o quattro in assoluto più intelligenti (gente che insegna alla Sorbona, per dire) sono concordi nel dire che vogliono ri-diventare (nei limiti del possibile) appunto analogici. Il digitale assoluto, idolatrato e acritico è con ogni evidenza una roba da poveri schiavi bovini.
Oggi non c’è nulla di più ragliante del tecnoglionitismo. Ma che questi ragli si trasformino pure in risate di superiorità e arroganza, è veramente il colmo. 
C’è un solo giusto messaggio in tutto quell’articolo: noi alfabetizzati siamo sempre di meno, e forse addirittura scompariremo. Ma la discriminante non è certo la connessione web. Anzi.
Forse sbaglio io a prendermela: in fondo, stringi stringi, era solo il solito vuoto polpettone statisticheggiante: peccènto di qui, peccènto di là, peccènto nel nord, peccènto nel sud… (addirittura ci si preoccupava per la bassa percentuale di connessioni dei bambini fra i 6 e i 10 anni! Roba da matti!) Comunque, se quel giornale avesse una dignità, pubblicherebbe pure articoli in senso contrario, come quel meraviglioso “Miss Appman si pappa il pensiero” (non ricordo l’autore… :D) che solo voi privilegiati avete potuto leggere su un certo blog, naturalmente gratis. E invece, pubblicano menate di questo tipo.
Che sia perché dietro c’è il solito “indotto”? L’altro giorno una gentile ragazzuola mi ha disturbato al telefono per propormi un “corso di computer” a pagamento… Ancora i corsi di computer!!!! Quando se a mio padre venisse la voglia potrei insegnare tutto io in due minuti, e gratis!!!!
Il babbo ha detto che continuerà a comprare quel giornale.
Però c’è rimasto maluccio.


domenica 14 dicembre 2014

Edgar Hilsenrath - BRONSKY RICORDA



Edgar Hilsenrath
Bronsky ricorda
Traduzione dal tedesco di Roberta Gado Wiener
Voto: 9+

Lo so, siete baciati dalla fortuna: avete avuto la buona sorte di nascere (o diventare) lettori esigenti e golosi, e quindi non vi interessano le biografie dei kuokuzzi superstar, i rutti dei teleguitti, il vuoto blabla dei giornalisti politici, le muffe eruditoidi dei baroni feudali, i risaputi temini degli scolari di Editoria Ideologica, né tantomeno gli ultimi romanzi dei cosiddetti “big” italioti, che magari differiscono dai penultimi solo per i nomi dei protagonisti o per la toponomastica stradale…
Ma siete anche schiaffeggiati dalla sfiga: perché una volta grattata via tutta quella roba illeggibile, non è che resti molto da regalare o regalarsi per le festività natalizie!
Ebbene, ho una buona notizia: uno “nuovo” l’ho scoperto. In dannatissimo ritardo. (L’editore italiano, nel risvolto di copertina, fa il ganassa dicendo che un’altra opera dello stesso autore è uscita “nel 1971 negli Stati Uniti ma solo nel 1977 in Germania”… dimenticando di aggiungere che invece questo capolavoro, che è del 1980, da noi non è arrivato che nel 2010 – forse perché del nostro essere degradata periferia mafiosella s’è ormai preso atto con rassegnazione?)
Non mi dilungherò, togliendovi il gusto della sorpresa. Inoltre, di un libro così faccio prima a dirvi che cosa NON mi sia piaciuto: non mi è piaciuto che dal titolo italiano insensatamente puritanello e scialbo (Bronsky ricorda) sia sparita per magia la prima parte di quello originale: Fuck America. Tutto il resto è musica, intelligenza, coraggio, energia, indignazione. 
Hilsenrath è divertente, spudorato, mai noioso, disperato, non ha peli sulla lingua, ed è politicamente scorrettissimo. [Eddài, Nick, quest’ultima affermazione è superflua: gli scrittori intelligenti sono SEMPRE politicamente scorrettissimi!] Per dare una vaga idea, è un misto di Donleavy, Hemon, Bukowski e John Fante, ma leggermente più incazzato. I suoi dialoghi sono essenziali e secchi, ridotti all’osso, ma alcuni sono fra i più esilaranti che abbia mai letto. Uno dei libri più graffianti di sempre. Non fatevelo mancare! Non fatemi incazzare!
Parola di Scriba.

p.s. Mi dicono che il vero, principale capolavoro dello stesso scrittore sia Il nazista e il barbiere. Be’, io non l’ho ancora letto, ma facendo 1+1 (il livello dell’autore più la genialità della trama che ho già adocchiato) mi sento di poter fare una cosa che non ho mai fatto: vi consiglio pure quello, a scatola chiusa!

martedì 9 dicembre 2014

Eresia flash: ci mangavano i videosciacalletti…

Una volta la più grande paura per un uomo era “morire solo”. Adesso bisogna solo augurarsi che non ci accada in pubblico, con gli Sciacalli Alfa che riprendono con la videocamera o il telefonuzzo escrementizio (rinunciando magari a soccorrerti!) e gli Sciacalletti Beta a gustarsi l’agonia su youtube, magari fingendo con se stessi di scambiarlo per un atto di “partecipata commozione”.
Poi dicono che l’umanità non sta buttando l’anima nel cesso…
A darmi più fastidio, in questi casi, è che quasi nessuno chiami mai le cose con il loro nome. Ricordo un bollettino sul traffico autostradale. Diceva: “Al chilometro 26, code in direzione est per incidente. Sempre al chilometro 26, code in direzione ovest per curiosi”. Curiosi?! Ci voleva così tanto a dire “stronzi”?

lunedì 8 dicembre 2014

In morte della capacità di giudizio nell’Era della Noia Digitale

GIOCATECI VOI

Nell’estate del 2008, dopo aver sentito vari marmocchi della fascia d’età fra i dodici e i cinquanta ripetere fino alla nausea che i nuovi giochini elettronici erano “uguali in tutto e per tutto alle partite di calcio vere”, e telecronistelli da quattro soldi urlare, in preda all’orgasmo e in senso elogiativo, che una certa azione di Barcellona-Real era “come la playstation” (non viceversa!!) mi decisi a comprare il primo joypad della mia vita.
In fondo, l’asserzione era quasi credibile: considerati gli anni luce tecnologici che ci separavano dai primi videogiochi, che per me erano stati anche gli unici (come il mitico Space Invaders di Tormod Tjaberg e Nicola Salmoria – questi almeno i nomi che apparivano sui monitor) c’era davvero la concreta possibilità che la nutrita schiera di bamboccini e bamboccioni adepti del moderno monodivertimento monomarca dicesse il vero.

Spesi dunque una non indifferente cifra per equipaggiarmi, poiché sapevo che un mio giovane amico del mare, da anni vicino di cortile estivo, possedeva la fatidica fonte di tutte le delizie digitali, ma, non so se per il fatto di appartenere a una famiglia avarognola o a una generazione di egotici totali, aveva soltanto il suo joypad personale, e gli sfidanti dovevano portarsi appresso il loro (cosa che peraltro per l’homo omologatus non costituiva un problema, visto che esserne sprovvisto comportava la squalifica, o per meglio dire la radiazione, sociale).

Non vi dico la delusione: la tanto lodata grafica dava l’idea che anziché nel 2008 ci trovassimo ancora nel 1982, davanti allo schermo dello Space Invaders, coi suoi verdi ripari friabili, provvisori, insicuri e ingannevoli (ma almeno lì nessun pirla veniva a dirti che sembrava davvero una battaglia spaziale!)

Altro che emozionante e realistico match di football: le possibilità di movimento erano schematicissime e ripetitive, e sia le combinazioni d’attacco che i gesti difensivi avevano un millesimo delle possibilità dinamiche e di variazione che mi sarei aspettato. Una cosa a dir poco ridicola, non di per sé stessa, ma in raffronto a quello che la mia totale e orgogliosa astinenza, unita agli elogi unanimi che mi ero per troppo tempo sorbito, mi aveva indotto pensare. 
In nessun modo, nemmeno per un millesimo di secondo, nemmeno ubriacandomi, avrei potuto pensare di trovarmi dentro una partita di calcio vera, anziché alle prese con una patetica e stilizzata simulazione, con una pacchianata sopravvalutata e pochissimo lontana da quelle delle sale giochi della mia tarda adolescenza. Erano arrivati a così tanto con la persuasione di massa, con l’indottrinamento tecnoglionito?

Sulle prime pensai che in parte potesse dipendere dal mio scarso livello, anche se in realtà con quell’agguerrito ragazzo avevo venduto cara la pelle, ed ero stato sconfitto di misura. Sia come sia, per meglio valutare la cosa, ben volentieri feci un passo indietro, e sollecitai una partita fra coetanei – lui e un altro dello stesso estivo cortile – per farmi un’idea definitiva e spassionata.

La delusione raddoppiò: il gioco fra loro si fece un po’ più intenso e leggermente più vario, ma restava farraginoso, discontinuo, macchinoso, ripetitivo: continuava a essere chiaro che si trattava di uno stupido giochino per computer, e non della tanto decantata “partita come quelle vere” di cui tutti si riempivano la bocca da anni.
Per non parlare della pena per i due ragazzetti (e quindi per il me stesso di poco prima) che potei provare osservandoli “da fuori”: i gesti compulsivi, frenetici ma sempre dello stesso tipo, più da scimmiette ammaestrate che da umani intelligenti, più da automi alla catena di montaggio che da uomini liberi intenti a Giocare, e la fissità degli occhi, gli sguardi ottusi e superconcentrati tipici dell’individuo mentalmente offeso che cerca di applicarsi a qualcosa e magari meccanicamente, tenta e ritenta, ci riesce, ma senza davvero capirla. Erano in procinto di iscriversi all’Università, ma sembravano più degli scimpanzé da esperimento, o gli ospiti di qualche penoso istituto. E soprattutto non davano l’idea di divertirsi. Ma neanche un po’.

Alla fine, regalai quell’inutile e insulso joypad al mio giovane amico avarognolo. Quello non sapeva più come ringraziarmi, sembrava impazzito di gioia. Non era in grado di capire che quella che a lui sembrava la più folle generosità del mondo, non era per me che un atto di pigrizia: avrei evitato di riavvolgere il cavo attorno a quel coso, di rimetterlo dentro una borsa, di riportarlo a casa a fine vacanza per farlo ammuffire in cantina, o di dovermi occupare dello smaltimento in discarica di quel costosissimo pezzo di plastica.

Poi, in spiaggia, giocammo a carte, a bocce, a racchettoni, a calciobalilla e a pingpong. E ci divertimmo come matti.


lunedì 1 dicembre 2014

ATALAYA DE LA VIDA HUMANA: Nicola Pezzoli candidato al Nobel

l'Accademia di Svezia mi attende? :)

“Atalaya”, in Spagnolo, è una parola bellissima che significa “torre di vedetta”. 
Persino da questa lontanissima torre Francesco Spinoglio, un italiano che per sua fortuna vive e scrive in Spagna, ha potuto accorgersi della bellezza di Quattro soli a motore. E senza che nessuno l’avesse indotto a farlo, pregato di farlo, prezzolato per farlo, ha deciso di omaggiare il Romanzo e il suo autore di una generosa e accorata recensione, che potete trovare QUI
Dalla sua torre di vedetta della vita umana, lo scrittore e lettore Spinoglio mi ha dedicato parole così esaltanti e preziose, così decisive per incoraggiarmi a rimandare il suicidio, e a proseguire il mio viaggio tra i flutti merdosi di un Mar Letamaio in tempesta, che per alcuni mesi ho avuto soggezione a renderla nota, preso da eccessivi scrupoli e pudori (il suo articolo è di agosto: solo a fine settembre mi sono deciso a riportarne una sintesi lassù, sotto la mia copertina gialla, e solo adesso mi decido a parlarne per esteso).
La recensione è in Spagnolo, e io vi invito a provare a intuirla così (in fondo non è un idioma difficile), perché i traduttori automatici la renderebbero, come sempre, incomprensibile e comica (vabbè, ora che l’ho detto è ovvio che vorrete anche divertirvi, ma prima, se vi interessa e avete tempo, leggetela in lingua originale!)
Per chi fosse di fretta, la sintetizzo: questa mente sconosciuta, libera e intelligente, è venuta a contatto col mio romanzo mentre si trovava in vacanza in Liguria, grazie al consiglio di un suo amico. Dopo la prima lettura, ne rimase talmente colpito e incantato da volerlo rileggere di nuovo, per esser sicuro di non essersi fatto influenzare dalle lodi tessutegli dall’altro. La seconda lettura ha confermato la prima: un capolavoro (“obra maestra”), e il miglior libro di uno scrittore italiano dai tempi di Pirandello. Francesco Spinoglio scrive ai suoi lettori spagnoli per dirgli che purtroppo gli sta parlando di un libro disponibile solo in Italiano, ma che, auspicando la possibilità che si facciano avanti traduttori e editori spagnoli, lui proprio non poteva, nel frattempo, esimersi dal condividere con loro questa sua entusiasmante scoperta. Dell’autore dice anche molte altre lusinghiere cose, concludendo con un (prematuro) auspicio di Nobel, ma almeno su queste io sorvolo, per timidezza.
Se c’è una sola, piccolissima mancanza che posso imputare al mio meraviglioso editore, è di non darsi abbastanza da fare (anche se so che è difficile, e poco remunerativo nell’immediato) per provare a far tradurre e pubblicare i suoi autori di maggiore talento in Spagnolo, Inglese, Francese, per aiutarli a spiccare il volo uscendo dall’angusta gabbia del mondiciattolo culturale italiota, dove torri di vedetta non ce ne sono, e se ci sono sono incustodite, e se sono custodite c’è un custode che usa un finto binocolo per guardarci dentro i filmini porno di sua zia.
Ma quello che volevo dire col presente post è solo questo: Grazie, Francesco! 

p.s.
Ne approfitto per annunciarvi, così, al volo, che sono di nuovo incinto. Corradino vi è piaciuto? Ve ne darò ancora!